Tucidide, I, 22.
Per quanto riguarda i discorsi pronunciati, non fu possibile a Tucidide ascoltarli tutti né ricordare con precisione quelli ascoltati direttamente; perciò li ha ricostruiti tenendo conto di come l'oratore avrebbe potuto plausibilmente parlare. I fatti poi li ha raccontati come li ha visti o come glieli hanno riferiti persone non casuali. L'autore ha dovuto comunque aggiungere la propria scelta poiché la simpatia e l'antipatia suggerivano spesso versioni diverse. L'opera potrà apparire meno piacevole di altre per la mancanza del favoloso, ma tale carenza è compensata dall'utilità che potranno ricavare i lettori dal racconto di fatti che si ripeteranno sempre e potranno essere interpretati in maniera proficua alla luce di questo "possesso perenne"
:" e la mancanza del favoloso di questi fatti , verosimilmente, apparirà meno piacevole all'ascolto".-ej" me;n ajkrovasin: Canfora intende il sostantivo come "pubblica lettura" e commenta questo passo inserendolo nel "rapporto con Erodoto" che è centrale anche su piano del "pubblico: un terreno non facile, sul quale anche Tucidide ha affrontato, sia pure-come fa intendere-[1] con scarso successo, l'akroasis , la pubblica lettura, quella che in un celebre passo chiamerà la "gara per il successo effimero"[2].-to; mh; muqw'de" aujtw'n (ossia degli e[rga). Tucidide esclude dalla sua storia quei miti che lo stesso poeta Pindaro aveva criticato nell'Olimpica I : certo sono molti i portenti, e in qualche modo, credo, anche le favole ("mu'qoi", v.29) diceria dei mortali oltre la verità, intarsiate di iridescenti bugie, traggono in inganno.
Il favoloso già secondo Cicerone[3] caratterizzava il racconto di Erodoto e caratterizzerà quelle di Teopompo (380-320 circa), un rappresentante della tendenza retorica, di scuola isocratea, che scriverà le Storie di Filippo di Macedonia e continuerà la Storia di Tucidide fino al 394.
Tucidide rifiuta le fabulae imprimendo sulla storiografia quella svolta pragmatica che "è valsa ad affermare l'identificazione tra storia e politica"[4].
Luciano (120-185) in Come si deve scrivere la storia riconosce la validità della legislazione storiografica di Tucidide e, pertanto, sostiene che neppure è dilettevole ciò che nel racconto storico è totalmente favoloso ("oujde; terpno;n ejn aujth'/ to; komidh'/ muqw'de"", 10). Quindi l'opuscolo lucianeo confuta gli autori i quali, per ottenere applausi anche dalla turba e dalla feccia, trascurano i critici severi e addolciscono la storia oltre misura con favole, encomi ed altre lusinghe.
Tacito segue la lezione di Tucidide, quando scrive:"conquirere fabulosa et fictis oblectare legentium animos procul gravitate coepti operis crediderim "(Historiae , II, 50), crederei lontano dalla serietà dell'opera intrapresa cercare il favoloso e divertire gli animi dei lettori con delle invenzioni
Ma torniamo a Tucidide I, 22
"ma sarà sufficiente che li giudichino utili quanti vorranno esaminare la chiarezza degli avvenimenti accaduti e di quelli che potranno verificarsi ancora una volta, siffatti o molto simili, secondo la natura umana".- to; safe;" skopei'n: è il coraggio di fissare la chiarezza della realtà che abbaglia i più.
Obiettività dello storico
Il fatto di riferire il punto di vista del nemico o di raccontarne le gesta senza infamarlo è presente nell’opera di Erodoto[5], il padre della storia, e testimonia l'obiettività "epica"[6] degli storiografi greci e latini.
Una imparzialità proclamata da Tacito, all’inizio delle Historiae: “incorruptam fidem professis neque amore quisquam et sine odio dicendus est” (I, 1), chi fa professione di veridicità inconcussa deve esprimersi si ciascuno mettendo da parte l’amore e senza odio.
Quindi nel primo capitolo degli Annales dove l’autore dichiara che partirà dagli ultimi anni del principato di Augusto, poi procederà raccontando di Tiberio e dei successori sine ira et studio quorum causas procul habeo (I, 1) senza risentimento e partigianeria, di cui tengo lontani i motivi.
Luciano (120-185) ribadisce la norma dell’imparzialità dello storico. Rivediamolo ampliato: “Toiou'to~ ou\n moi oJ suggrafeu;~ e[stw, a[fobo~, ajdevkasto~, ejleuvqero~, parrhsiva~ kai; ajlhqeiva~ fivlo~…ouj mivsei oujde; filiva/ ti nevmwn oujde; feidovmeno~ h] ejlew'n h] aijscunovmeno~ h] duswpouvmeno~, essere intimorito da dus-w[y) i[so~ dikasthv~…xevno~ ejn toi'~ biblivoi~ kai; a[poli~, aujtovnomo~, ajbasivleuto~, ouj tiv tw'/de h] tw'/de dovxei logizovmeno~, ajlla; tiv pevpraktai levgwn. J O d j ou\n Qoukidivdh~ eu\ mavla tou't j ejnomoqevthse kai; dievkrinen ajreth;n kai; kakivan suggrafikhvn…[7]”, tale dunque deve essere il mio storiografo, impavido, incorruttibile, libero, amico della libertà di parola e della verità…un uomo che non attribuisce per amicizia e non lesina per odio, o uno che prova compassione o vergogna, o si lascia intimorire, giudice imparziale…straniero nei suoi libri e senza patria, indipendente, non sottoposto al potere, uno che non tiene in alcun conto di cosa sembrerà a questo o a quello, ma che racconta i fatti. Tucidide dunque legiferò molto bene e distinse la buona dalla cattiva storiografia.
Luciano prosegue ricordando il capitolo metodologico (I, 22) nel quale Tucidide afferma di avere scritto con la sua storia un acquisto per l’eternità, piuttosto che un saggio di bravura per il presente e di non accogliere come ospite il mito (mh; to; muqw'de~ ajspavzesqai), ma di lasciare ai posteri la verità dei fatti avvenuti.
Tucidide e Nietzsche.
Ammiratore incondizionato di Tucidide, come di Machiavelli, di Tacito, e del realismo il quale fa apparire"più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa"[8] è Nietzsche. Questa scelta ha un correlativo stilistico.
Riferisco una serie di osservazioni che trovo azzeccatissime. In Umano, troppo umano [9] si legge:"Lo stile dell'immortalità . Tanto Tucidide quanto Tacito-entrambi hanno pensato, nel redigere le loro opere, a una durata immortale di esse: ciò si potrebbe indovinarlo, se non lo si sapesse altrimenti, già dal loro stile. L'uno credette di dare durevolezza ai suoi pensieri salandoli, l'altro condensandoli a forza di cuocerli; e nessuno dei due, sembra, ha fatto male i suoi conti. "
Un giudizio non lontano da quello di Quintiliano :"densus et brevis et semper instans sibi Thucydides "[10], denso, conciso e sempre presente a se stesso.
Ma torniamo a Nietzsche. Nel Crepuscolo degli idoli [11] lo storiografo greco è indicato addirittura come terapia contro l'idealismo:" Il mio ristoro, la mia predilezione, la mia terapia contro ogni platonismo è sempre stato Tucidide . Tucidide e, forse,Il Principe di Machiavelli mi sono particolarmente affini per l'assoluta volontà di crearsi delle mistificazioni e di vedere la ragione nella realtà -non nella "ragione", e tanto meno nella "morale"...In lui la cultura dei sofisti , voglio dire la cultura dei realisti giunge alla sua compiuta espressione : questo movimento inestimabile, in mezzo alla truffa morale e ideale delle scuole socratiche prorompenti allora da ogni parte. La filosofia greca come décadence dell'istinto greco: Tucidide come il grande compendio, l'ultima rivelazione di quella forte, severa, dura oggettività che era nell'istinto dei Greci più antichi. Il coraggio di fronte alla realtà distingue infine nature come Tucidide e Platone: Platone è un codardo di fronte alla realtà-conseguentemente si rifugia nell'ideale; Tucidide ha il dominio di sé -tiene quindi sotto il suo dominio anche cose".
Per giunta in Aurora [12] leggiamo:" Un modello . Che cosa amo in Tucidide, che cosa fa sì che io lo onori più di Platone? Egli gioisce nella maniera più onnicomprensiva e spregiudicata di tutto quanto è tipico negli uomini e negli eventi, e trova che ad ogni tipo compete un quantum di buona ragione : è questa che egli cerca di scoprire. Egli possiede più di Platone una giustizia pratica: non è un denigratore e un detrattore degli uomini che non gli piacciono, o che nella vita gli hanno fatto del male...rivolge lo sguardo soltanto ai tipi; che cosa se ne farebbe, poi, l'intera posterità cui egli consacra la sua opera di ciò che non è tipico? Così in lui, pensatore di uomini, giunge alla sua estrema, splendida fioritura quella cultura della più spregiudicata conoscenza del mondo che aveva avuto in Sofocle il suo poeta, in Pericle il suo uomo di stato, in Ippocrate il suo medico, in Democrito il suo scienziato della natura: quella cultura che merita di essere battezzata col nome dei suoi maestri, i Sofisti ". Su Sofocle sofista ho molti dubbi.
A proposito dei rapporti tra Tucidide e Ippocrate sentiamo anche Maurice Bowra:" Ai suoi tempi, la scienza più cospicua sotto questo aspetto era la medicina. Ippocrate di Coo (c. 460-c. 377 a. C.) era alquanto più vecchio di Tucidide, e i nuovi metodi introdotti da lui e dalla sua scuola influenzarono lo storico più fortemente che qualsiasi altra scienza. Da essa egli imparò a trattare il corpo politico come qualcosa di analogo al corpo umano e ad accettare il corollario che è impossibile comprendere le singole parti senza comprendere il tutto. Nel trattare le malattie, Ippocrate raccomandava per prima cosa una completa osservazione di tutti i sintomi, poi una loro classificazione e un confronto con altri casi, e infine la diagnosi. Stabilita la diagnosi, poteva seguire la prescrizione di una cura sperimentale. Questo era un processo veramente scientifico, e quanto appieno lo avesse compreso Tucidide è chiaro dal suo resoconto della peste di Atene, di cui egli stesso ebbe a soffrire"[13].
Secondo Tucidide dunque è utile conoscere quanto è avvenuto poiché è possibile che accada di nuovo. E' quel ripetersi degli avvenimenti che Tacito chiama orbis :"Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur "(Annales , III, 55), forse in tutte le cose c'è una specie di ciclo, in modo che, come le alterne vicende dell stagioni, così girano quelle dei costumi. Sull'orbis tacitiano dovremo tornare studiando Polibio.
Sul fatto che gli avvenimenti si ripetano in una sorta di "eterno ritorno" e che il passato si presti a fare da modello o da contromodello al presente, si trova d'accordo il Machiavelli il quale mette sempre gli esempi antichi davanti agli occhi del suo Principe :" Ma, quanto allo esercizio della mente, debbe el principe leggere le istorie, et in quelle considerare le azioni delli uomini eccellenti...come si dice che Alessandro Magno imitava Achille, Cesare Alessandro, Scipione Ciro...sendo l'intento mio scrivere cosa utile a chi la intende "[14].
Chi invece si oppone a tale concezione paradigmatica della storia è un altro autore politico del Rinascimento, Francesco Guicciardini il quale nei Ricordi (110) scrive:"Quanto si ingannano coloro che a ogni parola allegano e' romani! Bisognerebbe avere una città condizionata come era loro, e poi governarsi secondo quello essemplo: el quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facessi el corso di uno cavallo".
Tucidide I, 22: kth'ma...xuvgkeitai:"Infatti come un possesso per l'eternità più che come declamazione da udire per il momento di una gara, essa è composta". La parola kth'ma, possesso, significa tutta la concretezza di Tucidide; è, come sottolinea opportunamente Savino che ha tradotto La guerra del Peloponneso :"una rocciosa eredità materiale...parola concreta, corposa, che sa di terre e bottini e prede adunate in anni di fatica e trasmesse ai discendenti, beni palpabili, visibili, materiale espressione della famiglia e del sangue"[15].
Bologna 24 ottobre 2024 ore 11, 30 giovanni ghiselli
[1]Tucidide, I, 22, 4:"nella pubblica lettura apparirà sgradevole" Nota del testo citato.
[2]Canfora-Corcella, op. cit., p. 458
[3]"et aput Herodotum, patrem historiae, et apud Theopompum sunt innumerabiles fabulae". De legibus I, 5.
[4]Canfora, Teorie e tecnica della storiografia classica , p. 12.
[5] Il quale indicava sia gli Elleni sia i barbari quali agonisti della grande guerra e autori delle opere grandi e meravigliose, il cui racconto darà visibilità e gloria tanto ai vincitori quanto ai vinti
[6] In quanto già Omero raccontava le gesta eroiche non solo dei Greci ma anche dei Troiani. Si ricordi che nella storiografia questa obiettività riguarda soltanto il nemico esterno: “ Tucidide riesce ad essere "obiettivo", ed anzi entusiasta, quando rievoca od esalta l'opera di Brasida. Ma non può perdonare Cleone", S. Mazzarino, Il Pensiero Storico Classico , p. 250 I vol. Altrettanto vale per Tacito che è obiettivo con Calgaco ma non con Tiberio e per Sallustio, obiettivo con Mitridate ma non con i nobili romani. L’obiettività sparisce del tutto nel V secolo d. C. con la storiografia cristiana di Paolo Orosio: si consideri il titolo programmatico delle sue Historiae adversus paganos , in sette libri che abbracciano la storia dell’umanità dalle origini al 417 d. C.
[7] Come si deve scrivere la storia, 41-42. Il trattatello è del 164 d. C.
[8]Machiavelli Il Principe , XV.
[9] II, p. 179
[10]Institutio oratoria , X, 73.
[11]Quel che debbo agli antichi , 2, pp. 125-126.
[12] p.124
[13]Mito E Modernità Della Letteratura Greca , p. 174.
[14]Capp. XIV e XV.
[15] Tucidide, La Guerra Del Peloponneso , introduzione, traduzione e note al testo di Ezio Savino, Guanda, Milano, 1978. P. XXIV introduzione.
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