Arrivai all'Antoniano che era circa l'una. Gli aspiranti attori erano scesi in uno stanzone sotterraneo: festeggiavano il compimento del lavoro annuale e aspettavano i voti: avevano l'aria di attendere una promozione generale. Parlavano, o ridevano, mangiavano e bevevano vino. Vicino alle pareti c'erano lunghi tavoli coperti di bottiglie e vassoi con frammenti di pasta fritta. I giovani stavano in piedi nel mezzo della sala con frittelle e bicchieri in mano. Su piccole pozze multicolori sparse dovunque, galleggiavano pezzetti di focacce che formavano minuscoli arcobaleni unti. Erano segni policromi dai colori confusi: erano enigmi difficili da risolvere . Appena mi ebbe notato, Ifigenia mi corse incontro e fece: "Ciao amore, stavo per telefonarti". "Per dirmi che cosa?" "Che mi mancavi tanto. Sono contenta che tu sia tornato". Si era ricordata che in luglio la attendeva un secondo esame, e che per superarlo aveva bisogno di me. Sempre che nel frattempo non avesse trovato un altro supervisore più importante. "Meno male", pensai, e tirai un sospiro di sollievo, ma senza darlo a vedere. Dissi:"Sono venuto per domandarti se ti serve un passaggio fino a casa, o se hai bisogno di me in altro modo". "In ogni modo io ho bisogno di te, gianni, amore. Stai qua mentre attendo il voto", rispose, e mi baciò. Aveva capito di essere stata troppo dura, troppo precipitosa rispetto al compimento, vicino ma non immediato della nostra vicenda e delle parti che vi recitava: amante, Musa e parassita. Parlammo della sua prova. Confessò che il il ragazzo portavoce e mimo di Alfred, durante la scena del bacio, le aveva messo la lingua dentro la bocca. La cosa mi spiacque ma non glielo dissi. Né le parlai dello strazio di poco prima. Aspettava il verdetto della commissione e ne aveva paura. Arrivò verso le tre:era stata promossa con ventitré trentesimi. Nell’ Università ai miei tempi non era un bel voto. Lì non so. Dopo, andammo a casa mia e facemmo l'amore assai bene. Ricordai che nel maggio precedente, quando pure ne ero disamorato, la sera odorosa che la vidi recitare la parte di Nora in Casa di bambola, provai un'attrazione forte , rinnovata, tanto palese che a letto, disse:"Questa sera mi ami molto, quanto una volta; però adesso mi tratti come una pari tua. Ne sono felice. Vedrai che non ti deluderò". Forse, vedendola sul palcoscenico, mi eccitava il pensiero che gli altri uomini presenti in sala l'avevano desiderata, ma lei faceva l'amore solo con me. Le dissi: “una gioia profonda mi prende vedendoti viva”1 La mattina seguente dormimmo a lungo. Il pomeriggio andammo a Marina di Ravenna. Durante il viaggio le svelai la mia pena dell'ultima settimana nella quale mi ero sentito trascurato, e la sofferenza della sera prima per il fatto che, finita la commedia, non si era rivestita subito e mi aveva negletto. Del bacio concesso al collega, il cui pensiero, pur non straziandomi, mi dava fastidio, non feci parola, poiché in fondo poteva essere giustificato come esigenza scenica. Rispose che il mio desiderio di non vederla girare in mezzo al pubblico con quella calzamaglia trasparente poteva essere legittimo, ma la preparazione, la recita stessa, e l'immediato doporecita, l'avevano impegnata tanto che che nemmeno se glielo avessi chiesto avrebbe potuto stare con me più di così. Su questo punto fui io a darle ragione, sicché ci trovammo d'accordo. Arrivati alla spiaggia, ci venne voglia di fare l'amore subito, in un luogo qualunque, purché un poco riparato dagli sguardi altrui. Insomma come ai bei tempi. Ma erano solo gli ultimi guizzi di una fiamma lontana2 e morente .
Ci chiudemmo in un capanno. Mi venne in mente un'espressione carica di amore e odio dei Fratelli Karamazov :"Prima mi facevano languire soltanto le flessuosità del suo corpo infernale, ma adesso tutta la sua anima l'ho trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono diventato un uomo3 !". Per un poco di tempo sperai ancora una volta che i nostri orgasmi si sarebbero elevati fino all'intesa spirituale, alla trasfusione delle anime. Quando uscimmo di lì, stremati per la scomoda posizione e l'aria pesante nella quale ci eravamo scambiati un piacere affannoso, mi domandò: " gianni, perché non facciamo un bambino?" "Quando?" "Subito". "Perché subito?" "Perché io ne ho bisogno subito". "Possibile?" "Sì, adesso mi sento molto infelice". "Non mi sembra un motivo buono. Aspettiamo di essere più soddisfatti, o almeno più equilibrati. Potremo farlo allora. Tu ieri sei stata brava; presto reciterai davvero, a teatro, o al cinema, e ti sentirai realizzata; io ricomincerò a scrivere. Se ci andrà bene, saremo contenti di noi e metteremo al mondo un figlio per renderlo partecipe della felicità nostra". Dissi queste parole pieno di sincero ottimismo, siccome mi inorgogliva il pensiero che Ifigenia volesse un bambino da me. Ancora l'amavo nonostante tutti i sillogismi implacabili della mia povera mente spietata. L’amore del resto non è riducibile a dei sillogismi, soprattutto se son difettivi in quanto prodotti da menti insensate. Sentita la mia risposta negativa, Ifigenia si mise a piangere e continuò a lungo. Quando fu sazia di lacrime, disse:" Non so tu, gianni, ma io sono molto disgraziata. Lasciami, se devo rendere tale anche te". "No-risposi-finché tu vorrai stare con me, e non mi mancherai di rispetto, non ti lascerò, poiché ti amo, e sono convinto che la nostra unione darà altri frutti buoni. Ma da che cosa dipende questo tuo accesso di dolore?" Non seppe o non volle rispondermi. Poco dopo, il suo umore migliorò. Siccome pensavo troppo a me stesso, credetti che avesse dei sensi di colpa nei miei confronti, forse per avere fornicato. Magari era pure rimasta incinta di un altro e voleva attribuirmi il bambino. Questo in effetti non si poteva escludere. Oppure piangeva poiché temeva, o aveva capito, di non avere talento. Non sapeva fingere bene, neanche con me. Tornammo a casa al tramonto. La serata era bella. Bastava una sua gentilezza, un moto d'affetto anche sporadico nei miei confronti, per rallegrami Lei però era triste. Rimasto solo, pensai al mio dolore della sera prima, al suo del pomeriggio, alla nube che oscurava da quasi due anni il cielo del nostro rapporto. Eppure c'era una volta una ragazza che faceva brillare le lugubri, lunghissime sere di novembre e dicembre con una luce più vivida di quella del sole, quando entrava come una giovane dea nel mio talamo, togliendosi gli stivali ancora innevati. Che cosa ci era successo? Quando mi fossi messo a raccontare la nostra storia, avrei dovuto scolpire immagini splendidissime con l'aurea, solida felicità erotica delle prime stagioni, ed estrarre figure significative dalla lugubre oscurità degli ultimi tempi.
Note 1 “E’ accaduto in silenzio. Una gioia profonda prende il buio davanti alla giovane viva”, Pavese, Poesie, Paternità, vv. 14-15.
2Cfr. Foscolo, Notizia intorno a Didimo Chierico:"Dissi che teneva chiuse le sue passioni; e quel poco che ne traspariva, pareva calore di fiamma lontana".
3Trad. it. Bietti, Milano, 1968, parte quarta, capitolo quarto, p.709
Bologna 25 ottobre 2024 ore 19, 42 giovanni ghiselli p.s. Statistiche del blog
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Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
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venerdì 25 ottobre 2024
Ifigenia CCXXIV La festa lugubre.
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