mercoledì 16 ottobre 2024

Ifigenia CCII. L'ultimo viaggio da Bologna a Moena. Cesare e Cleopatra. Il peccato vero: fare sesso per dispetto.



 

La mattina di venerdì 20 marzo, verso le sette e mezzo, mentre

stavo uscendo da casa, sentìi squillare il telefono, del tutto

insolitamente tanto presto.

"Chi può essere a quest’ora?" mi domandai, sperando che

fosse Ifigenia. Il proposito di non amarla più e di prepararmi

alla solitudine era debole. Rimasi deluso dalla voce di mia sorella

che chiamava da Moena e ci invitava a raggiungerla lassù: c'erano

anche suo marito e un gruppo di amici.

"Venite", disse, "così stiamo un poco insieme".

"Io arrivo questa sera, volentieri; Ifigenia non so: oggi è molto

impegnata nella scuola di recitazione", risposi.

Non volevo spiegare le nostre tragedie al telefono, prima di correre al lavoro.

"Aspettala", mi esortò Margherita. "Venite insieme domani

mattina:  noi rimaniamo fino a domenica sera".

"Glielo dirò", conclusi,"comunque tu e io ci vediamo".

Mia sorella non si era accorta che la ragazza non gradiva la

compagnia dei suoi amici, né la sua, anzi oramai nemmeno la mia.

Per strada pensavo che era meglio se a Moena andavo senza di lei:

avrebbe fatto scene odiose, come l'ultima notte dell’anno. Non era

capace di sciare, non sapeva o non voleva osservare, tanto meno

ascoltare; chi avremmo trovato non le piaceva; con me non andava

d'accordo. Non amava neppure il sole, sebbene all'abbronzatura

tenesse parecchio, secondo la solita pretesa parassitaria di avere

tutto, in cambio di niente. E in ogni caso era innamorata di un altro: che cosa voleva ancora da me? Il sangue?

Entrai in classe e assegnai il compito di latino. Mentre i ragazzi

traducevano, cercavo di stabilizzare il vacillante proposito di

terminare il rapporto. Scrissi all'Antonia che l'amore più grande,

 della mia vita era finito. Aggiunsi una frase tratta

da Leopardi "anche io davo il mio contento in custodia alla

malinconia"1.

  Voleva essere l'epigrafe sulla pietra tombale della

relazione che invece aveva ancora davanti due mesi e 24 giorni di vita spesso penosa .

All'inizio dell'intervallo ero incerto se telefonarle, cosa che avevo

fatto sempre, come un rito quasi dovuto, ogni volta che  uscivo di classe e andavo alla cabina telefonica di via Monte Grappa.

 Formai il numero poco convinto, tanto che

lo sbagliai. Lo rifeci con l'intenzione di dirle soltanto che la

salutavo poiché subito dopo la scuola sarei andato in montagna.

Non intendevo invitarla. Ma il telefono era occupato. Allora sentii

una voglia impaziente e nervosa della sua voce. Finalmente

rispose.

"Ciao - dissi -. Ti telefono per salutarti: subito dopo la scuola vado a

Moena. Ci sono Margherita e i suoi amici".

Senza esitare un istante rispose: " Gianni, ti prego,  aspettami fino alle

sei. Ti prego. Ho voglia di venire con te, anche di vedere tua

sorella. Mi sono svegliata di ottimo umore. Mi manchi".

Così mi spiazzò, mi eccitò, mi commosse. Mi vennero le lacrime

agli occhi; ebbi un'erezione immediata. Non fui capace

di mantenermi fedele al primo proposito, di tenerla in rispetto e a

distanza da me, come avrei voluto, siccome immaginavo che a

Moena e in presenza di Margherita si sarebbe comportata da

canaglia. Oppure da disgraziata. O entrambe le cose.

"Sì tesoro, ti aspetto, sì vieni, mi fa tanto piacere davvero", risposi.

Non che fossi acciecato al punto di non prevedere dispiaceri grossi;

il fatto è che in fondo credevo di averne bisogno, per capire

meglio e fare capire a quanti mi avrebbero letto. Non sei curioso, lettore, di

quest'ultimo viaggio da Bologna a Moena dei due amanti

degenerati in quasi nemici?

Nel pomeriggio andai a correre i 5000 metri al campo sportivo: lo

feci in un tempo buono per il mese di marzo. Allora pensai che

portandola in montagna con me, non solo facevo del bene a lei,

siccome la aiutavo a non degradarsi con quel ballerino di mezza

tacca, ma anche a me stesso in quanto frequentandola potevo acquistare

 della consapevolezza pure soffrendo.

Alle sei e mezzo dunque partimmo per la valle di Fassa. Le mie intenzioni erano buone. All'inizio eravamo  in discreta armonia.

Cantavamo  Marinella  di Fabrizio De Andrè, scambiandoci

sguardi per quanto lo consentiva la guida, e sorridendoci, come

due che si vogliono bene, o addirittura si amano. Andava così nel

novembre del '78, il primo mese del nostro rapporto, quando ci

guardavamo nelle pupille con ammirazione reciproca, con allegria,

con gioia, e osservandola io non potevo fare a meno di ringraziare

la Mente dell'Universo di averla messa sulla mia strada.

Appena usciti dal casello di Padova ovest però, mi innervosii

poiché avevo dimenticato di fare benzina nell'autostrada, mentre

fuori le pompe erano già chiuse. Ifigenia intanto, accesa la

radio, aveva cercato e trovato la musica rock, e la teneva a tutto

volume. "Musa drogata"2 pensai. Né mi aiutava a rimediare la

necessaria benzina. Mi domandavo:" Che cosa è venuta a fare in

montagna con me?".

A Borgo Valsugana finalmente vidi un distributore aperto; dopo il

rifornimento mi tranquillizzai un poco. Anche perché erano cessati

quei rumori d'inferno. Rimanemmo in silenzio fino a Trento, dove

Ifigenia disse:

" Ehi, vecchio signore!"

"Che cosa vuoi dire?", le domandai.

"No, tu devi rispondere-Dei immortali!-", ordinò.

Stetti al gioco:"Dei immortali!".

"Vecchio signore,

non scappare!".

Dovevo rispondere:

"Non

scappare? Vecchio signore? A Giulio Cesare questo?". Erano

battute del Cesare e Cleopatra di Bernard Shaw3 . La fanciulla le

aveva provate all'Antoniano, nel pomeriggio. Per un quarto d'ora

fu divertente, ma ripetuta decine di volte la scena divenne

monotona, quindi ossessiva, noiosa e odiosa. Non la finiva più di

ripetere:"Ehi, vecchio signore!". Con voce da bimba. Smisi di

risponderle, ma continuò fino a Moena. "Mancanza di misura",

pensavo,"di educazione, di intelligenza" probabilmente è adatta a

quel ballerino utile solo ad allungare una fila4.

  Si rispondeva da sola.

Con voce da uomo. Piacere depravato.

"Sfinge, tu abusi dei secoli (…)

"Sono più giovane di te, benché tu abbia ancora una voce da

Bimba (…)

Ma che regina d'Egitto!".

Verso l'una arrivammo. Disse:"Buonanotte, vecchio signore", poi

si avviò verso  camera sua.

Mi sentivo così poco amato, così strumentalizzato, e provai tanto

risentimento che pensai:"Se non vado a letto con quella, gliela do

vinta ancora una volta. E' venuta a Moena solo per abbronzarsi e

sfruttarmi: non prova attrazione, né stima, né affetto per me.

Adesso però le faccio vedere cosa provo io per lei".

Mi involgarivo, mi mettevo a un livello più basso e triviale del

suo: Ifigenia non voleva fare sesso con me; il mio cattivo demone aveva

intenzione di esigerlo per dispetto, con rabbia e con odio.

Andai in camera mia a posare il bagaglio, quindi salii la rampa di

scale che ci separava e bussai alla porta della sua stanza.

Mi aprì. Entrai. Le chiesi:"Hai voglia di dormire?"

"No", rispose pur stropicciandosi gli occhi, come faceva, a

qualsiasi ora, quando voleva dare a vedere di essere già mezza

morta di sonno.

"Bene", dissi, "allora neanche io. Quindi facciamo l'amore". Come

se fosse dovuto  farlo comunque: anche senza tenerezza,

né simpatia, poiché era quanto mi spettava in cambio dell'aiuto

per l'esame, e del fatto che l'avevo portata in montagna.

Certo, poteva dirmi che non se la sentiva e sarei tornato subito in camera mia, ma non lo fece e ne seguì un concubito squallido.

 "Ecco il peccato vero", pensai,"non è fare l'amore, come ci inculcavano i preti, ma fare sesso in questo modo che nega la gioia". Quindi cominciai a

vestirmi, senza parlare. Volevo andarmene, ma Ifigenia disse:"Gianni, resta a

dormire con me".

La guardai. Era nuda. Aveva un'aria davvero stanca, quasi

sofferente e malata. Mi diede pena. La sua dignità residua non le

consentiva di cadere con il nostro rapporto in una specie di

semiprostituzione senza reagire con una scena di affetto e con una

simulazione di amore.

"D'accordo", risposi. Volevo contribuire a salvarci la faccia, ma

sapevo che nella sua richiesta non c'erano sentimenti buoni per

me.

Dormii un paio di ore, poi tornai in camera mia, pieno  di

compassione e disgusto . Non doveva succedere più uno schifo del genere.

 

Note

 

1 Leopardi, Zibaldone,  27 Dic. 1820.

2Cfr. Platone, Repubblica, 607a:"

eij de; th;n hJdusmevnhn Mou'san paradevxh/ ejn

mevlesin h] e[pesin, hJdonhv soi kai; luvph ejn th'/ povlei basileuvseton ajnti;

novmou te kai;..lovgou", se invece accoglierai la Mu sa drogata nei canti o nei

poemi, il piacere e il dolore regneranno nella tua città invece della legge e del

pensiero.

3Atto primo, quadro secondo.

4Cfr. T. S. Eliot, Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock, vv. 114-116:"No! I am

not Prince Hamlet, nor was meant to be;/am an attendant lord, one that will do/to

swell a progress, start a scene or two", no, io non sono il Principe Amleto, né ero

destinato a esserlo;/io sono un cortigiano, sono uno/ utile forse a ingrossare un

corteo, ad avviare una scena o due.


 

 

Pesaro 16 ottobre 2024 ore 11, giovanni ghiselli

 

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