NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 20 ottobre 2024

Sofocle- Euripide Settima parte. Dibattito sui rapporti tra donne e uomini.


 

Sofocle.

“Caro Euripide, nei tuoi drammi tratti l’argomento amore come un sentimento malsano, o infelice e perfino deleterio. Eppure dall’amore nasce la vita.

Partiamo dall’Alcesti che hai scritto quando eri ancora giovane, e fin dall’inizio  ti sei espresso sull’amore con un pessimismo assoluto. Ho già ricordato che in questo dramma perfino Admeto, il marito dell’ottima sposa Alcesti sostiene che le nozze portano più dolore che gioia.

Nella Medea  arrivi a suggerire di non mettere al mondo dei figli. In questa tragedia riprendi l'augurio di Odisseo a Nausicaa, cambiandolo con una variazione pessimistica.

Questi sono i versi di Omero:

" A te gli dèi concedano tanto quanto desideri nel tuo cuore,

un uomo e una famiglia e la concordia degli animi vi diano,

 infatti non c'è nulla di preferibile e migliore di questo:

quando concordi nei pensieri reggono la casa

l'uomo e la donna: molto dolore per i malevoli,

e gioie per i benevoli; ma soprattutto ne hanno buona fama loro" (Odissea , VI, 180-185).

 

La nutrice di Medea  nel prologo di questa tragedia informa gli spettatori sull’antefatto: la nipote del Sole fuggita dalla Colchide

“è venuta ad abitare questa terra corinzia

con il marito e i figli, cercando di riuscire gradita

ai cittadini dei quali è giunta esule alla terra

e, pur rimanendo se stessa, di convenire in tutto a Giasone;

e questa appunto è la più grande salvezza:

quando la donna non sia in disaccordo con l'uomo.

Ma ora tutto è odioso e stanno male gli affetti più cari (Medea, vv.  10- 15)

La concordia dunque non è nemmeno presa in considerazione: sarebbe già un grande successo non arrivare a odiarsi attraverso una prolungata discordia.

Invece Medea è talmente carica di odio verso Giasone che scanna i figli comuni spingendo il coro  a considerare una disgrazia la maternità e la paternità :

 "affermo che tra i mortali, quelli che sono

del tutto privi dell'esperienza di generare

figlioli, superano nella fortuna

coloro che li hanno messi al mondo"(Medea , 1090-1093).

Ti faccio ancora l’esempio del tuo Eracle  che, furioso come Medea, ammazza i propri figli, dell’Ifigenia in Aulide dove il padre non si oppone alla richiesta superstiziosa, demagogica e orrenda di condurre al sacrificio la propria figliola primogenita purché la flotta possa avere una partenza “fausta” verso la guerra di Troia, e infine le Baccanti dove la madre del re, Agave e le sue sorelle giocano a palla (1136) con la testa del figlio e nipote Penteo dopo averlo fatto a pezzi.

L’amore e il matrimonio dunque coincidono con il dolore sempre, spesso anche con il crimine.

Oppure c’è una trovata macabra e un tantino pornografica: Admeto arriva a pensare di sostituire la moglie Alcesti morta  non con un’altra donna in carne e ossa ma con un manichino

:"Il tuo corpo effigiato dall'abile mano

di artisti sarà steso nel letto:

 su quello io mi getterò e abbracciandolo

e invocando il tuo nome, crederò di avere

nelle braccia l'amata sposa, pur non avendola;

gelida gioia credo, ma tuttavia allevierei

il peso dell'anima. Allora, andando e venendo

nei sogni, mi allieteresti: dolce infatti

è vedere gli amati, sia pure di notte, qualunque sia il tempo in cui è possibile (Alcesti, vv. 348-356)

 

Nell'esodo di questa tragicommedia Alcesti tornerà in scena velata e silenziosa come una statua e non si capisce se sia  viva o morta: Admeto prima di riconoscerla le tende la mano come se dovesse tagliare il capo alla Gorgone (v.1118) che avrebbe pietrificato Perseo se l'avesse guardata.

Del restoAdmeto come molti tra gli uomini delle tue tragedie non è solo un miserabile ma anche un cretino quando dice:

"E se io avessi la lingua e il canto di Orfeo,

così da poterti strappare all'Ade affascinando

con i canti o la figlia di Demetra o lo sposo di quella,

vi scenderei, e il cane di Plutone né

Caronte, il traghettatore di anime curvo sul remo,

potrebbero trattenermi, prima che avessi riportato la tua vita alla luce"(Al cesti- 357- 362).

In questa evocazione del cantore innamorato  tu rendi ridicolo Admeto, in quanto anche il più ignorante degli spettatori sapeva che Orfeo non era riuscito a portare Euridice fuori dagli inferi.

 

Euripide

Tu non sei più ottimista riguardo all’amore.

Ricordi che cosa ha raccontato Cefalo riferendo di essere stato presente quando  un tale ti domandò:"pw'"...e[cei" pro;" tajfrodivsia; e[ti oi|ov" te ei\ gunaiki; suggivgnesqai;",  come ti va nelle cose d'amore? sei ancora capace di congiungerti con una donna?

Tu allora rispondesti: "eujfhvmei w\ a[nqrwpe: aJsmenevstata mevntoi aujto; ajpevfugon,  w{sper luttw'ntav tina kai; a[grion despovthn ajpodrav"" (Platone, Repubblica , 329c), sta' zitto tu, infatti con grandissima gioia me ne sono liberato, come se fossi fuggito da un padrone furente e selvaggio.

 La vecchiaia significa dunque liberarsi da certi tiranni numerosi e pazzi:"despotw'n pavnu pollw'n e[sti kai; mainomevnwn ajphllavcqai" (329d). Tra questi, in primis,  Eros.

La senilità significa pollh; eijrhvnh kai; ejleuqeriva (339d ) tanta pace e libertà.

Un motto curiale, degno di te.

 

 Del resto nell’ Edipo re fai coincidere il matrimonio e la generazione dei figli con l’incesto. Ha scritto bene Seneca nell’Oedipus: “maximum Thebis scelus- maternus amor est (vv. 629-630). Ma di questo si è già parlato.

 

Ora voglio ricordarti il terzo stasimo della tua Antigone.

La prima strofe fa :

“Eros invincibile in battaglia,/Eros che sulle ricchezze ti abbatti,/che nelle morbide guance/della fanciulla trascorri la notte,/vai e vieni tanto sul mare quanto/nelle agresti dimore:/e degli immortali nessuno ti sfugge/né degli uomini effimeri;/ma chi ti possiede è impazzito" (vv. 781-790)

Quindi ti ricordo l’antistrofe dove alleghi l’amore alle sconfitte nelle guerre.

“Tu anche dei giusti le non più giuste/menti trascini alla rovina:/tu anche questa contesa consanguinea tovde nei`ko~ xuvnaimon-/di uomini hai scatenato;/e vince il desiderio i{mero~   vivace/degli occhi della fidanzata bella nel letto/e siede accanto nella gestione delle grandi /leggi: ineluttabile a[maco") infatti/gioca la dea Afrodite" ( Antigone,  vv. 791-800).

Eros è associato alla follia e non solo nell’Antigone: nelle Trachinie Deianira dice che chiunque si alzi come un pugile per combattere Eros, non ha la testa a posto (  vv. 441-442).

 

 

Eros si associa spesso a Eris, contesa che può essere anche accrescitiva ma il più delle volte è distruttiva. Nell’Antigone  la “contesa consanguinea” -nei`ko~ xuvnaimon- e deleteria, la guerra irresistibile dove nessuno vince- a[maco~- è quella tra Creonte e suo figlio Emone a proposito della ragazza eponima del dramma. Del resto la consanguineità è uno dei punti fissi della tua opera.

Ho dato questa spiegazione non a te, ma per  chi non è addetto ai nostri lavori e magari ha interesse a ripassare o imparare qualche parola greca.

Tu Sofocle non sei benevolo con le donne

Hai presentato una Giocasta blasfema nei confronti degli oracoli e per quanto riguarda  Antigone, una ragazza coraggiosa che molti hanno ammirato nei secoli, in quanto ribelle a un potere ottuso e disumano, non l’hai discolpata del tutto.

Te lo rammento con questi  versi tuoi:

"Avanzando verso l'estremità dell'audacia,/hai urtato , contro l'eccelso trono della Giustizia,/creatura, con grave caduta;/ del resto sconti una colpa del padre" (vv. 853-856).

Come vedi, anche la vittima Antigone nel tuo testo non è del tutto esente da una colpa personale: quella della dismisura e perfino dell’ingiustizia che il Coro le attribuisce dicendole queste parole.

 

Nell’Aiace, il Telamonio, che ha deciso di ammazzarsi, mette a tacere Tecmessa, l’amante da cui aveva anche avuto un bambino, come si fa con un inferiore: "guvnai, gunaixi; kovsmon hJ sigh; fevrei" (v, 293) , donna, alle donne il silenzio porta ornamento. Uno zittimento perentorio utilizzato da Giulio Andreotti, in greco, alla deputata radicale Adele Faccio nel parlamento della Repubblica italiana. Correvano gli anni Settanta quando donne e uomini politici erano meno incolti di oggi e diversi di loro conoscevano i nostri testi.

 

Nelle Trachinie , Deianira si uccide ponendo termine a una vita di orrori passata tra i mostri. Questa donna  infelice, è la sposa di Eracle, il marito assenteista e infedele. Sin da ragazza, quando abitava con il padre, ebbe una dolorosissima paura delle nozze (v. 7-8). Infatti ricorda:"Mnhsth;r ga;r  h\n moi potamov",  jAcelw'/on levgw" (v. 9), il mio pretendente era un fiume, dico l'Acheloo. Insomma era corteggiata da un mostro. Nella lotta contro Acheloo, Eracle ha fattezze ferine. Da questo bestiario, che ha conservato in sé come orrore e come fremito, Deianira non potrà uscire.

 Potrei continuare con altri esempi di questo tipo. Tu non suggerisci la superiorità delle donne su gli uomini come faccio io. Nella mia Medea, in confronto alla protagonista, Giasone è un miserabile.

 

Sofocle: “Come puoi dirlo? Io metto in rilievo il fatto che Edipo amava le figlie Antigone e Ismene molto più dei figli Eteocle e Polinice fin da quando questi quattro erano bambini.

Ti rammento alcuni trimetri dell’esodo. Edipo nell’allontanarsi da Tebe  quale farmakov~ , rimedio della contaminazione, il mivasma da lui portato nella città, raccomanda a Creonte soltanto le figliole:

"Dei miei figli maschi, Creonte, non/prenderti cura, sono uomini, sicché non/avranno mai penuria di mezzi di vita dove che siano  ( Edipo re,vv. 1459-1461) (…)  "ma delle mie due ragazze disgraziate e degne di compassione (1462) (…) abbimi cura; e soprattutto lascia/che io le tocchi con le mani e che piangiamo sui mali (1466-1467).

Nella mia ultima tragedia,  Edipo a Colono,

il vecchio vagabondo assistito da Antigone e Ismene

  dirà che solo dalle ragazze riceve sostegno per vivere (trofa;" e[cw bivou, v.446), mentre i figli maschi al posto del padre loro scelsero il trono, lo scettro e il potere. Quindi (v.1375) li maledice.

 

Euripide

Aristofane allude malignamente al fatto che alle mie tragedie e pure al mio matrimonio avrebbe collaborato Cefisofonte un presunto amante di mia moglie (Rane, 1408).

 Mi permetto di ricordarti  che tu hai  avuto sicuramente almeno un  guaio familiare.

La scena del vecchio Edipo ostile ai figli maschi probabilmente ha dei nessi con il fatto che verso la fine della tua vita venisti citato in giudizio da tuo figlio Iofonte per demenza senile. Tu allora recitasti ai giudici il primo stasimo dell’ Edipo a Colono, quale prova che non avevi perduto il senno. Naturalmente fosti assolto con lode.

 

Sofocle: Come lo sai?

 

Euripide

 L'episodio è raccontato in modo sintetico e vivace da Apuleio nell'Apologia :"Sophocles poeta Euripidi aemulus et superstes, vixit enim ad extremam senectam, cum igitur accusaretur a filio suomet dementiae, quasi iam per aetatem desiperet, protulisse dicitur Coloneum suam, peregregiam tragediarum, quam forte tum in eo tempore conscribebat, eam iudicibus legisse nec quicquam amplius pro defensione sua addidisse, nisi ut audacter dementiae condemnarent, si carmina senis displicerent. Ibi ego comperior omnis iudices tanto poetae assurrexisse, miris laudibus eum tulisse ob argumenti sollertiam et coturnum facundiae, nec ita multum omnis afuisse quin accusatorem potius dementiae condemnarent " (37), il poeta Sofocle, rivale di Euripide e a lui sopravvissuto, arrivò infatti fino alla vecchiaia estrema; allora accusato di demenza dal suo stesso figlio, come se per l'età oramai vaneggiasse, si dice che abbia presentato il suo Edipo a Colono , ottima tra le tragedie, che egli componeva appunto in quel tempo, e l'abbia letta ai giudici, aggiungendo a propria difesa nient'altro che osassero condannarlo per pazzia  se dispiacevano i versi del vecchio poeta. Trovo scritto che tutti i giudici si levarono in piedi davanti a tanto poeta, esaltandolo per la bravura della trama e la grandiosità dello stile tragico, e non mancò molto che piuttosto condannassero l'accusatore per demenza. 

  

Sofocle

tu hai rappresentato la moglie di Ettore come donna sottomessa e sempre compiacente al marito in due tragedie. L’Andromaca e le Troiane.

Del resto hai drammatizzato la vicenda di Medea che fa prevalere la furia sul giudizio per dare un dolore a Giasone fedifrago.

Dov’è la tua coerenza?

 

Euripide

Il fatto è che le donne, come gli uomini, non sono tutte uguali. Non solo: ciascuna persona non è sempre uguale nemmeno a sé stessa. Recitiamo tante parti vivendo e non siamo nemmeno i registi dei ruoli che interpretiamo in questa  farsa della vita

Lo sai bene anche tu che hai rappresentato un’Antigone amorevolissima verso il fratello morto e poco sollecita nei confronti del fidanzato Emone, al punto di dire: “:"Lo sposo, morto uno, ce ne sarebbe un altro per me,/e un figlio, da un altro uomo, se avessi perduto questo,/ma siccome il padre e la madre sono racchiusi nell'Ade,/non c'è fratello che possa sbocciare mai più” (Antigone, vv. 909-912).

Antigone dunque è una sorella modello ma una fidanzata per niente amorevole

La tua Elettra rimpiange e onora il padre Agamennone morto ma  è una virago sanguinaria nei confronti della madre Clitennestra che  ha ucciso e tradito il proprio sposo:  quando la sente gridare. “ w[[moi pevplhgmai (Elettra,1414), ahimé sono colpita, incoraggia il fratello Oreste a colpirla ancora se ce la fa: “pai`son, eij sqevnei~, diplh`n /1415). Eppure secondo me Clitennestra può trovare, se non una giustificazione, molte attenuanti delle sue colpe verso Agamennone: io l’ho messo in rilievo nell’Ifigenia in Aulide dove la madre della ragazza, capretta espiatoria, avverte il marito di non sacrificare la loro figliola se non vuole rendersi nemica la moglie che l’ha partorita

In questa tragedia la Corifea comprende la pena di Clitennestra per la figlia,  ricordando quale prova terribile sia il parto:"deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron mevga-pa'sivn te koino;n w{sq' uJperkavmnein tevknwn" (vv. 917-918), tremendo è partorire e comporta una grande magia d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i figli.

Partorire dunque è una delle cose tremende (ta; deinav).

 

Lo squillo iniziale del primo stasimo della tua Antigone fa: “  Molte sono le cose tremende e nessuna/è più tremenda dell'uomo” (vv.332-333)

 

L’uomo è  to; deinovtaton, la cosa più tremenda quando esercita la violenza

 

Come vedi tutto è relativo e ogni uomo misura le situazioni con il proprio metro che non è nemmeno sempre lo stesso.

Perfino le parole, ogni parola non ha il medesimo significato per tutti.

Ma di questo la prossima volta

 

Bologna 20 ottobre 2024 ore 12, 40 giovanni ghiselli

 

p. s.

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