Excursus sui Germani.
L’imperialismo velleitario degli Annales.
Dei Germani l'impero romano non ebbe mai ragione . Il pericolo delle popolazioni nordiche è segnalato da Sallustio, che pur confonde i Germani con i Celti, nell'ultimo capitolo del Bellum Iugurthinum :" Per idem tempus advorsum Gallos ab ducibus nostris Q. Caepione et Cn. Manlio male pugnatum: quo metu Italia omnis contremuit. Illimque usque ad nostram memoriam Romani sic habuēre: alia omnia virtuti suae prona esse; cum Gallis pro salute, non pro gloria certari "(114), nel medesimo tempo i nostri comandanti combatterono male contro i Galli e tutta l'Italia ne tremò di paura. E da allora fino ai nostri giorni i Romani pensarono che tutto il resto fosse prono al loro valore, con i Galli si lottava per la salvezza non per la gloria.
Si tratta di una sconfitta dell'ottobre del 105, ma "i Galli vincitori di Cepione, dei quali Sallustio parla, sono in realtà i Cimbri, Teutoni ed Ambroni, tutte popolazioni germaniche e non celtiche (galliche), sebbene fossero alleate con i celtici Elvezii. Ma insistendo sulla "terribilità" dei Galli, confusi in tal modo con le popolazioni germaniche, Sallustio vuole mettere in rilievo questo significato eccezionale dell'impresa gallica di Cesare. Contro gli altri popoli si combatte per la gloria; contro i "Galli" per sopravvivere"[1].
Tacito, nella fase dell'imperialismo che Mazzarino definisce "accorto e moderato (e se si vuole: rinunciatario)"[2], ossia quando scrive la Germania (98 d. C.) attualizza l'ultimo capitolo del Bellum Iugurthinum e prega che permanga la discordia dei Germani:"maneat, quaeso, duretque gentibus, si non amor nostri, at certe odium sui, quando urgentibus imperii fatis, nihil iam praestare fortuna maius potest quam hostium discordiam "(33), rmanga e duri a lungo, speriamo, tra quelle genti, se non l'amor di noi, almeno l'odio tra loro, poiché, incalzando il destino dell'impero, niente di meglio può concederci la fortuna che la discordia dei nemici. Questa speranza della lotta tra i Germani è "un motivo-nota Mazzarino[3]- che arriverà sino ad Orosio: geri bella gentium , Or, VII, 43, 14-15", ossia al V secolo d. C.
Più avanti Tacito, dopo avere riconosciuto che i Germani sono nemici più duri dei Parti ("quippe regno Arsacis acrior est Germanorum libertas ", poiché la libertà dei Germani è più fiera del regno di Arsace), chiude il capitolo (37) facendo dell'ironia sui falsi trionfi di Domiziano:"Nam proximis temporibus triumphati magis quam victi sunt ", infatti nei tempi più recenti (i Germani) hanno subito più trionfi che sconfitte.
Vero è pure che negli Annales, scritti quando " Traiano s'è distinto nelle due guerre daciche (del 101-102 e 105-107)", c'è nell'autore "un imperialismo velleitario, che pretende la sottomissione piena dei Germani, e rimprovera a Tiberio il richiamo di Germanico"[4]; infatti l'imperatore ferma il nipote, che nel 16 d. C. aveva vendicato la sconfitta di Varo, con il medesimo argomentare usato da Tacito nella Germania:"Posse et Cheruscos ceterasque rebellium gentis, quoniam Romanae ultioni consultum esset, internis discordiis relinqui "(Annales , II, 26), si potevano lasciare alle loro discordie interne i Cherusci e gli altri popoli ribelli, poiché si era provveduto alla vendetta di Roma, ma lo storico attribuisce tendenziosamente tale strategia all'invidia di Tiberio:"Haud cunctatus est ultra Germanicus, quamquam fingi ea, seque per invidiam parto iam decŏri abstrahi intellegeret ", Germanico non indugiò oltre, sebbene capisse che quegli argomenti erano falsi, e che per invidia veniva strappato alla gloria già raggiunta.
Quelli di Tiberio invero gli argomenti utilizzati da Tacito nel capitolo 33 della Germania .
Lo storico francese Carcopino rileva gli effetti dell’azione militare traianea sulla “caduta dell’oro”, ma “l’aumento della quantità dell’oro appariva necessario per sostenere, in forme non autoritarie, la politica monetaria iniziata da Nerone nel 64, cioè per sostenere la politica della borghesia e dei soldati…ancora una volta, la storia numismatica ed economica ha un significato solo se essa si configura come storia sociale”.
La riduzione del peso (pondus imminūtum ) e del valore reale delle monete (64) del resto provocò un aumento dei prezzi e un processo inflazionistico che sarebbe continuato fino alla caduta dell’impero.
Un poco alla volta dunque Nerone cambiò atteggiamento e mutò la politica ultrasenatoria in antisenatoria: nel 55 uccise Britannico, nel 59 fece uccidere la madre. Era cominciata la sua carriera di auriga e citaredo.
Racconta Tacito che Nerone aveva la passione di guidare la quadriga nelle corse nec minus foedum studium, una passione non meno ignobile: “cithărā ludĭcrum in modum canere” (14, 14), cantare al suono della cetra come si fa negli spettacoli.
Negatività del teatro.
“The drama, like the four-horse chariot race, is a contest ” (Sue-Ellen Case, Feminism and theater, p. 12), il dramma, come la corsa dei carri tirati da quattro cavalli, è una gara. Gli piaceva dunque gareggiare.
Ma sotto questa passione c’era un’idea: “concertare equis regium et antiquis ducibus factitatum memorabat” (Annales, XIV, 14), ricordava che gareggiare con i cavalli era attività, di re e questa era stata celebrata da poeti e praticata in onore degli dèi.
Si pensi a Pindaro.
Enimvero cantus Apollini sacros, il canto poi era sacro ad Apollo.
Nel 62 Seneca si ritirò nell’otium: dalle cure della res publica si rifugiava nella cosmopoli stoica. Nel 62 morì Burro e gli succedettero Fenio Rufo e Tigellino come prefetti del pretorio.
Dal 62 Nerone ricorre sempre più spesso all’eliminazione fisica degli avversari. La città formicola di spie che riferiscono a Tigellino.
Rufo piaceva al popolo poiché governava l’annona (rifornimento e prezzi de viveri) senza rubare; Tigellino piaceva a Nerone per l’inveterata dissolutezza e la pessima reputazione (veterem impudicitiam atque infamiam).
Tigellino sosteneva il crescente irrigidimento del principe nei confronti dei senatori tradizionalisti.
Burro secondo molti fu avvelenato da Nerone.
Sempre nel 62, Nerone fece uccidere Ottavia e sposò Poppea la quale aveva spinto uno dei servi ad accusare la moglie dell’imperatore di amori con uno schiavo. Un’ancella fedele tuttavia gridò a Tigellino castiora esse muliebria Octaviae quam os eius (Annales, XIV, 60).
C. D. racconta che Pitiade, torturata perché pronunciasse false accuse contro Ottavia, disse kaqarwvteron w\ Tigelli'ne to; aijdoi'on hJ devspoina mou tou' sou' stovmato~ e[cei (62, 13).
Cassio Dione afferma che Nerone decise presto di emulare suo zio Caligola: infatti pensava che fosse proprio del potere imperiale il fatto di non rimanere indietro a nessuno (mhdeno;~ uJsterivzein), neppure nelle pessime azioni (61, 5).
E siccome la folla lo approvava, esibiva in pubblico i suoi vizi.
Svetonio racconta che Nerone laudabat mirabaturque avunculum Gaium (30) lodava a ammirava lo zio Caligola, non per altro merito che perché aveva dilapidato le ricchezze accumulate da Tiberio. Quare nec largiendi nec absumendi modum tenuit. Non ebbe misura nelle elargizioni e nelle spese.
Platone nell'VIII libro della Repubblica, passa in rassegna le forme costituzionali: nello stato democratico gli appetiti (ejpiqumivai) prendono possesso dell'acropoli dell'anima del giovane, poi questa viene occupata da parole e opinioni false e arroganti (yeudei'" dh; kai; ajlazovne"… lovgoi te kai; dovxai 560c) le quali chiamando il pudore stoltezza (th;n me;n aijdw' hjliqiovthta ojnomavzonte"), lo bandiscono con disonore; chiamando la temperanza viltà (swfrosuvnhn [5] de; ajnandrivan), la buttano fuori coprendola di fango (prophlakivzonte" ejkbavllousi), e mandano oltre confine la misura e le ordinate spese (metriovthta de; kai; kosmivan dapavnhn) persuadendo che sono rustichezza e illiberalità (ajgroikivan kai; ajneleuqerivan 560d). E non basta. I discorsi arroganti con l'aiuto di molti inutili appetiti transvalutano in positivo, i vizi, immettendoli nell'anima e chiamano la prepotenza buona educazione (u{brin me;n eujpaideusivan kalou'nte" ), l'anarchia libertà (ajnarcivan de; ejleuqerivan), la dissolutezza magnificenza (ajswtivan de; megaloprevpeian), e l'impudenza coraggio (ajnaivdeian de; ajndreivan 560e-561). L’uomo così corrotto vive a casaccio, e la sua vita non è regolata da ordine (tavxi") né da alcuna necessità (ajnavgkh). Si capovolgono pure i rapporti umani: il padre teme il figlio, il maestro lo scolaro, i vecchi imitano i giovani, per non sembrare inameni e autoritari (563).
Ovidio chiarisce e non disapprova tale cambiamento di valori lessicali e morali.
Il pudor , rusticus, va eliminato e sostituito con la cupido, l'audacia e la facundia. La fides poi va estorta con l'adulazione. Per la conquista è decisivo il desiderio che ispira il parlare bene e l' ardire erotico: la parola audace e suadente metterà in fuga il rusticus pudor :" Conloqui iam tempus adest; fuge rustice longe/hinc Pudor: audentem Forsque Venusque iuvat " (Ars I, 605-606), è già tempo di parlarle; fuggi lontano di qui, rozzo Pudore, la Sorte e Venere aiutano chi osa.
Augusto e Tiberio invece erano temperati nelle spese. Si vede ancora, racconta Svetonio, la parsimonia (73) delle supellettili del primo imperatore. Cibi minimi erat atque vulgaris fere. Mangiava secundarium panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides ( Vita Augusti, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino, premuto a mano e fichi freschi.
“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di Pompei…un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi…L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di cicoria, da vero padrone del mondo”.[6]
Cfr. Alcmane, Catullo, Orazio.
Le temperate spese torneranno di moda con Vespasiano.
Agrippina voleva controllare il figlio e gli rinfacciava di essere stata lei a farlo diventare imperatore, come se potesse revocarlo: non sapeva infatti che ogni forma di potere assoluto (pa'sa ijscu;~ au[tarco~ ), una volta concesso, si separa da chi lo ha donato e diviene proprietà di chi lo ha ricevuto a danno del beneficante kat’ ejkeivnou (C. D. 61, 7, 3).
Nel 55 dunque Nerone fece assassinare Britannico, e siccome la pelle era diventata livida uJpo; tou' farmavkou, per effetto del veleno, lo fece cospargere di gesso: “guvyw/ e[crisen” . Ma durante il funerale si rovesciò un violento temporale che lavò il gesso, in modo che il delitto non fu solo chiacchierato ma anche visto.
Bologna 30 ottobre 2024 ore 20, 35 giovanni ghiselli
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[1]S. Mazzarino, Il Pensiero Storico Classico , II, 1, p. 202.
[2]Il Pensiero Storico Classico , II, 1, p. 461.
[3]Op. cit., p. 462.
[4]Mazzarino, op e p. citate.
[5] Nelle Nuvole di Aristofane il Discorso Giusto dà inizio alla sua parte del disso;" lovgo" ricordando che la swfrosuvnh una volta era tenuta in conto come la quintessenza dell'educazione antica (vv. 961 sgg.). . Al tempo dell'ajrcaiva paideiva (v. 961) infatti la castità (swfrosuvnh, v. 962) era tenuta in gran conto: nessuno modulando mollemente la voce andava verso l'amante facendo con gli occhi il lenone a se stesso (980).
[6] G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali. Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11.
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