La solitudine scelta (Seneca, Nietzsche, il Tonio Kröger di T. Mann) o coatta (il Filottete di Sofocle).
Di fatto, soprattutto in assenza di democrazia, la solitudine e l’isolamento possono costituire una tentazione, o addirittura un modus vivendi, anche per il filosofo o per l’artista.
La compagnia di certi uomini puà renderci più disumani.
Seneca , tornato dal Circo dove ha assistito a mera homicidia , omicidi veri e propri, scrive:" avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui "(Ep. 7, 3), torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini. Il consiglio allora è:"recede in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).
La posizione si radicalizza nell'incipit di un'altra lettera: “ Seneca Lucilio suo salutem. Sic est, non muto sententiam: fuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum” (Ep. 10, 1), Seneca saluta il suo Lucilio. E' così, non cambio parere, evita la folla, evita i pochi, evita anche uno solo.
Sentiamo Nietzsche: “C’è da dir male anche di chi soffre per la solitudine-io ho sempre e soltanto sofferto per la moltitudine”[1].
E poi: “ogni compagnia è cattiva, ad eccezione di quella con i propri simili”[2].
Thomas Mann attribuisce all'artista la tentazione dell'extra umano:"Il dono dello stile, della forma, dell'espressione ha già come presupposto cotesto atteggiamento freddo e schifiltoso verso l'umano, più ancora, un tal quale immiserimento e svuotamento di umanità"[3].
Con Antigone, l’ eroina della solitudine[4], cercata in qualche modo , non del tutto coatta come quella di Filottete che si lamenta di essere movno" (227), e[rhmo" (…) ka[filo" (228), forse Sofocle ha voluto offrirsi un punto di vista esterno dal quale "rappresentare l'umano senza prendervi parte", per dirla con Thomas Mann:" E' necessario essere qualcosa di extraumano, d'inumano, è necessario trovarsi, rispetto all'umano, in una situazione stranamente lontana e neutrale, per essere in grado e anzi solo per sentirsi tentati di farne oggetto di rappresentazione, di giuoco, per raffigurarlo con gusto e con efficacia"[5].
Ma nemmeno Sofocle, visto che la ragazza verrà confutata dal Coro (vv.853-856), vuole perdere quell'amore per l'umano "del quale è scritto che chi ne fosse privo, anche se sapesse parlare tutte le lingue degli uomini e degli angeli, altro non sarebbe che un rame risonante e un tintinnante cembalo"[6].
Non-ostanti i limiti della democrazia ateniese, siamo tutti Ateniesi.
Torniamo all’articolo di Glenn Most che rileva i limiti della democrazia ateniese: “ La forma greca più estrema della nozione di condivisione del potere politico fu chiamato democrazia (“il potere che appartiene al corpo dei cittadini”) e fu associata in particolare a Atene. Chi oggi glorifica la democrazia ateniese non dovrebbe dimenticare i suoi limiti: tutti i cittadini erano maschi (niente donne, dunque); tutti avevano una certa età (dunque nessun bambino e nessun adolescente); tutti erano nati liberi (dunque nessuno schiavo e nessuno schiavo liberato); tutti erano ateniesi (dunque nessuno straniero, anche se residente). Di tutte le persone che vivevano ad Atene, forse il 10 per cento aveva il permesso di partecipare alla vita politica (…) Ciononostante, l’idea che siano i cittadini coloro cui sia permesso di determinare la politica per la loro città (discutendo pubblicamente e liberamente, incontrandosi in assemblea, e votando a maggioranza) fu un’innovazione dell’antica Atene. Questa idea penò a svilupparsi se non in pochi altri posti nell’antichità; ma dopo, fu presa consapevolmente a modello nello sviluppo del nostro senso della politica e resta elemento cruciale della nostra identità politica oggi. Se noi europei sentiamo che le decisioni sul futuro dell’Europa, incluse quelle sulla Grecia, debbano essere messe in discussione apertamente e decise democraticamente, è perché, in un certo senso, siamo tutti ateniesi”
Catullo e la passione amorosa contrapposta ai compiti del civis. Il lavqe biwvsaς.
Nella tradizione della poesia amorosa latina inaugurata da Catullo, l’amore sottrae il poeta ai negotia del civis, del miles, e lo colloca nella nequitia, inettitudina, nell’ otium [7] di chi si sottrae ai doveri politici e militari .
Un articolo pubblicitario
Vediamo allora un articolo di Armando Massarenti collocato nello stesso domenicale di “Il sole 24 ore” del 2 agosto 2015 (p. 19). Il titolo è Viva Catullo! (con Lesbia o no). L’autore nota che i versi del Liber vennero composti “mentre nella vita cittadina di Roma infuriavano conflitti e rivolgimenti tali da dilaniare il tessuto sociale e indurre la “meglio gioventù” del tempo a ripiegare sulla dimensione privata, seguendo per il possibile la lezione epicurea del lathe biosas (vivi nascosto)”
Epicuro suggerisce di astenersi dalla vita politica (lavqe biwvsaς) senza però disobbedire alle leggi per non avere il timore della pena.
Torno a Massarenti: “Contemporaneo-secondo la tradizione-di Lucrezio, ma molto meno abile si direbbe nell’imparare la lezione del “farmaco” di saggezza che solo (secondo Epicuro e i suoi seguaci) permetterebbe di raggiungere la tanto agognata imperturbabilità, il “Miser” Catullo non smette di tormentarsi”.
Come si vede, anche quandi si scrive di libri Latini, non si può mai prescindere da quelli Greci
Il quadrifarmaco di Epicuro dice che gli dei non sono da temere, la morte nemmeno, facile a procurarsi è il bene, facile a tollerarsi è il male.
Catullo dunque-conclude Massarenti-“ offre così facendo (soffrendo, sperando, scrivendo ), al lettore un dono prezioso: una ricchissima, inconfutabile, sempre attuale sintomatologia dell’amore. Una lezione filosofica e poetica per cercare, forse, di curarsi dall’amore.
Curandosi dell’amore. Il sentimento variegato, ossimorico e paradossale che ancora noi, millenni più tardi, al ritmo dei suoi versi conosciamo e riconosciamo”.
Questa conclusione è soltanto pubblicitaria: infatti il sole abbinerà le poesie di Catullo a un numero prossimo del giornale. Le farà pagare 5, 90 euro.
La cura dell’amore, anzi dall’amore si trova in Lucrezio (De rerum natura, IV libro) e in Ovidio (Remedia amoris), non in Catullo.
La pubblicità
Orbene, anche la scrittura pubblicitaria è stata inventata di Greci.
Maurizio Bettini afferma che "anche i pubblicitari sono degli Aconzi"[8]. Il giovane Aconzio obbligò Cidippe, sul punto di maritarsi con un altro, a sposare lui scrivendo delle parole: "La scrittura di Aconzio è il seme di tutte le scritture astute, e l'unico modo per sottrarsi alla sua trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è possibile?"[9].
Nella festa di Apollo a Delo, Aconzio di Ceo si innamora di Cidippe di Nasso e la vincola a sé gettandole un pomo su cui aveva scritto: “Lo giuro per Artemide: io sposerò Aconzio”.
La pubblicità in effetti recupera e utilizza tutto: non solo il metodo di Aconzio, personaggio degli Aitia di Callimaco[10], ma anche le parole del massimo lirico Pindaro[11]: c’è una réclame di magliette che traduce in francese la somma del pensiero educativo del vate tebano: gevnoio oi|o~ ejssiv" (Pitica II v. 72), diventa quello che sei.
La storia di Aconzio e Cidippe è narrata anche da Ovidio nelle Heroides. Aconzio scrive a Cidippe e le ricorda la “volubile malum-verba ferens doctis insidiosa notis” (Heroides, XX, 211-212), la mela che rotolava portando parole insidiose in formule dotte. Queste furono lette nella sacra presenza di Diana e la fides di Cidippe ne rimase vincta.
Cidippe risponde ad Aconzio che sta morendo, si sente sballottata come una nave, ipsa velut navis iactor (XXI, v. 43), veneficiis tuis (54) per le tue parole avvelenate. Ricorda che navigava verso Delo impaziente di arrivare. Aconzio ne vide la semplicità e gli sembrò che potesse essere facile preda: “visaque simplicitas est mea posse capi” (v. 106). Le viene gettata davanti ai piedi una mela con quei versi che Cidippe non vuole ripetere “mittitur ante pedes malum cum carmine tali ” (v. 109). La nutrice raccolse l’ingannevole frutto e lo fece leggere alla ragazza: “insidias legi, magne poeta, tuas” (112). Aconzio non deve essere fiero di avere preso con ‘inganno una puella parum prudens : “ sumque parum prudens capta puella dolis” (v. 124). E’ stata ingannata come Atalanta da Ippòmene. Aconzio avrebbe dovuto convincerla more bonis solito (v. 129), come fanno i galantuomini, non ingannarla costringendola a proferire sine pectore vocem (143), una voce senza anima. Ora invece della fiaccola di nozze ha vicino quella della morte “et face pro thalami fax mihi mortis adest” (v. 174). “mirabar quare tibi nomen Acontius esset” (v. 211), mi domandavo con stupore perché ti chiamassi Aconzio (ajkovntion significa dardo), ora lo so: “quod faciat longe vulnus, acumen habes” (v. 212), hai una punta che provoca ferite anche da lontano. La ragazza ferita sta morendo: “concidimus macie, color est sine sanguine, qualem/in pomo refero mente fuisse tuo” (vv. 217-218), sono estenuata dalla magrezza, il colore è senza sangue, quale, come ricordo, era il tuo pomo.
Il consumista coatto a comprare dalla pubblicità in effetti si identifica con le cose che compra, come l’idolatra biasimato nel Salmo della Bibbia: “:"Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c'è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" (Salmi, 135, 15-18).
La pubblicità smontata
La pubblicità può essere usata a sua volta come bersaglio o idolo polemico. Per lo meno va smontata, come vanno smascherati i personaggi che ne usano il linguaggio.
Questo collegamento incongruo della réclame con la nobiltà del mito può essere controbilanciato con quanto scrive Don Milani:"la pubblicità si chiama persuasione occulta quando convince i poveri che cose non necessarie sono necessarie"[12].
"Il sistema migliore per rendere inoffensivi i poveri è insegnare loro a imitare i ricchi"[13].
Non bisogna dimenticare quanto afferma il Pericle di Tucidide:" non sono le cose che acquistano gli uomini ma gli uomini le cose:"ouj ga;r tavde tou;" a[ndra", ajll j oiJ a[ndre" tau'ta ktw'ntai"( Storie, I, 143, 5).
E' questa un’affermazione di umanesimo che potrebbe essere impiegata come dichiarazione anticonsumistica contro gli astuti consiglieri di acquisti che in realtà spingono gli uomini a vendersi alle cose, o comunque a vendersi, e perfino a uccidere altri uomini, per acquistare le cose.
Cfr. Epicuro già citato sopra
Naturale e necessario è mangiare e bere a sazietà. Naturale ma non necessario è il desiderio di un cacio speciale, non naturali né necessari sono quelli che nascono da vana opinione p. e. il desiderio di ottenere certi onori
Ciò che è vano è difficile da procacciarsi: to; de; keno;n duspovriston.
Bologna 27 ottobre 2024 ore 17, 16.
p. s
E’ già buio. Quello che mi manca e mi mancherà per almeno tre mesi è la luce del sole. I miei autori, accrescitori augusti mi aiutano a superare gli inverni. E le amanti amate. Auguste più o meno anche loro.
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[1] Ecce homo, Perché sono così accorto, 10
[2] Di là dal bene e dal male, Lo spirito libero, 26
[3] Tonio Kröger , p. 236.
[4] Cfr. l'Antigone di Anouilh dove Creonte dice all'ostinata nipote, la vera figlia di Edipo:"L'umano vi fa sentire a disagio in famiglia". Più avanti darò una citazione più ampia.
[5] Tonio Kröger , p.237.
[6] Tonio Kröger , p. 285. T. Mann cita la prima Lettera ai Corinzi (13,1) di Paolo.
[7] (51, 16 s. Otium, Catulle, tibi molestum est;/otio exsultas nimiumque gestis ) l'elegia aveva fatto uno dei temi ricorrenti che corrispondono alla sua scelta fondamentale per la nequitia , e spesso con essa coincidono.
[7] 51, 16 s. Otium, Catulle, tibi molestum est;/otio exsultas nimiumque gestis.
[8]Con i libri , p. 9.
[9]M. Bettini, op. cit., p. 10.
[10] 305 ca-240 ca a. C
[11] 518-438 a. C.
[12]Lettera a una professoressa , nota 56 di p. 69.
[13] Carlos Ruiz Zafòn, L'ombra del vento, p. 187.
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