NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 22 ottobre 2024

Il tiranno nella storia romana e nella tragedia greca. I tiranni di oggi.


 Cfr. Tiberio e Domiziano in Tacito.

Quanto allo fqovno", Tacito attribuisce più di una volta l'invidia e la paura ai suoi Cesari: Tiberio (14-37) temeva dai migliori un pericolo per sé, dai peggiori disonore per lo stato (ex optimis periculum sibi, a pessimis dedĕcus publicum metuebat , Annales , I, 80).

Lo storiografo denuncia anche l’ipocrisia di Tiberio il quale si serviva di formule antiche per nascondere scelleratezze recenti : “Proprium id Tiberio fuit scelera nuper reperta priscis verbis obtegere” (4, 19).

 

  

 

La letteratura greca è percorsa dal motivo antitirannico: da Alceo (VII-VI sec.)  che celebra la morte di Mirsilo con un brindisi (fr. 332 LP), o copre di insulti Pittaco "to;n kakopatrivdan"( fr. 348 L P) dal padre ignobile,

a Platone che certamente non risparmia biasimi al   turanniko;" ajnh;r. Costui, nella Repubblica  (573c) è uomo, per natura, o per le abitudini, "mequstikov", ejrwtikov", melagcolikov"", incline al bere, al sesso, alla depressione; inoltre è di animo sostanzialmente servile:"oJ tw'/ o[nti tuvranno" tw/' o[nti dou'lo""(579e).

Questa  considerazione che sembra paradossale, magari dettata a Platone da un risentimento personale nei confronti dei despoti incontrati, è confermata da uno psicoanalista moderno: E. Fromm in Fuga dalla libertà  sostiene che" l'impotenza dà luogo all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui l'individuo è capace, cioè in grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare e non prova alcuna brama di potere" (p. 144).

 

La paura del tiranno. Metus tyranni: Genitivo soggettivo e oggettivo.

 

Domiziano (81-96) invidiava e odiava Agricola il suocero di Tacito per i suoi successi in Britannia:"Id sibi maxime formidolosum, privati hominis nomen supra principem attolli " (Tacito, Agricola[1], 39), gli faceva paura soprattutto il fatto che il nome di un suddito fosse messo al di sopra di quello del principe.

 

 

Il tiranno  fa paura, come affermano la nutrice di Medea  (119 sgg.), e Antigone a proposito della sottomissione dei Tebani a Creonte (vv. 502-507), e nello stesso tempo  ha paura lui stesso: metus tyranni è genitivo soggettivo e oggettivo, ossia il despota vive circondato dal fovbo" .

Un doppio ruolo sintetizzato bene da Creonte nell'Oedipus  di Seneca:" Qui sceptra duro saevus imperio regit,/timet timentes; metus in auctorem redit " (vv. 703-704), chi tiene crudelmente lo scettro con dura tirannide, teme quelli che lo temono; la paura ricade su chi la incute.

In forma meno sintetica Cicerone fa la stessa denuncia nel De officiis: “Qui se metui volent, a quibus metuentur, eosdem metuant ipsi necesse est” ( II, 24), quelli che vorranno essere temuti, è inevitabile che essi stessi temano quelli dai quali saranno temuti. Cicerone fa gli esempi di Dionigi il Vecchio-405-367 al potere di Siracusa- e di Alessandro tiranno di Fere in Tessaglia al potere dal 369 al 358-il quale sospettava perfino della moglie, non a torto del resto poiché questa era un’altra furente che infine lo uccise “propter pelicatus suspicionem (II, 25), per sospetto di adulterio. La conclusione di Cicerone è. “Nec vero ulla vis imperii tanta est, quae premente metu possit esse diuturna”, non c’è nessuna forza di potere tanto grande che possa essere durare a lungo sotto la pressione della paura.  

 

 Nell'Edipo re   di Sofocle, il tuvranno~ di Tebe, Edipo stesso, teme complotti e chiama Creonte "lh/sthv" t j ejnargh;" th'" ejmh'" turannivdo"" (vvv. 535), ladro evidente del mio potere. Il cognato più avanti ribatte che preferisce riposare tranquillo piuttosto che comandare con paura ("a[rcein...xu;n fovboisi", v. 585).

 

Perfino Eteocle delle Fenicie di Euripide, che teorizza la necessità e la liceità dell’ingiustizia per il potere, rivolge una preghiera a eujlavbeia, cautela, invocata come crhsimwtavth qew'n, (v. 782), la più utile delle dee.

 "La paura e la diffidenza appaiono dunque connaturate al tiranno"[2].

 

Il tiranno ha paura che gli tolgano il bene più grande che per lui è il potere.

Per Eteocle la massima divinità è la tirannide (v. 506) e per essa può essere bellissimo anche commettere ingiustizia:" ei[per ga;r ajdikei'n crhv, turannivdo" pevri-kavlliston ajdikei'n, ta[lla d j eujsebei'n crewvn", (Euripide Fenicie vv. 524-525) se davvero è necessario commettere ingiustizia, è bellissimo farlo per il potere assoluto, altrimenti bisogna essere pio.

Cicerone considera questo Eteocle, o addirittura Euripide, meritevole di pena di morte (Capitalis Eteocles vel potius Euripides ) poiché fece eccezione proprio per quell'unico caso che era il più scellerato di tutti. Questi versi delle Fenicie  li aveva sempre in bocca l'ambizioso Cesare:"Nam si violandum est ius, regnandi gratia/violandum est; aliis rebus pietatem  colas ", (De Officiis , III, 82).

 

 La paura del tiranno è stata messa in evidenza anche dal cesariano Sallustio:"Nam regibus boni quam mali suspectiores sunt, semperque iis aliena virtus formidulosa est "[3], infatti ai re sono più sospetti i valenti che gli inetti, e la virtù degli altri per loro è sempre motivo di paura.

Si ricordi ancora il formidolosum dell'Agricola  (39) di Tacito citato sopra.

 

 Il tiranno è circospetto perché teme. La sua paura accompagna il suo potere: “governare in mezzo alle paure”, questa è la condizione del tiranno (Sofocle, Edipo re, v. 585[4]).

Questo e altro dunque sta dietro alla costituzione del topos che esecra la tirannide ancora deprecata quasi da tutti, anche se può essere attribuita in vari modi a un persona, a un intero governo, o a un’istituzione.

 

Le guerre in Iraq e in Libia sono state rovinose per tutti, eppure si continua a dire che erano necessarie per abbattere i due tiranni.

Oggi i tiranni riconosciuti e infamati sono Putin e il leader nord coreano per esempio.

 

L’idea che abbiamo noi della tirannide risale a questa cattiva stampa elaborata dagli autori greci citati sopra.

 

Esportare la democrazia, ad ogni costo, significa la pretesa di eliminare l’obbrobrio della tirannide quale è raffigurata, come abbiamo visto, da Erodoto, Eschilo, Sofocle, Euripide, Platone e Tacito.

Ma una violenza non si elimina con altre violenze bensì con la cultura e l’educazione

 

 

Bologna 22 ottobre 2024 ore 9, 25 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Del 98 d. C.

[2]D. Lanza, Il tiranno e il suo pubblico., p. 47.

[3]De Catilinae coniuratione , 7.

[4] a[rcein.. xu;n fovboisi (v. 585) ndr.

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