Il 30 marzo andai nel senese in gita scolastica con la mia quarta ginnasio. Osservavo gli allievi con occhio sano, cioé senza volere nulla per me. Quando fummo entrati in un convento, un vecchio frate mi venne vicino e mi parlò sottovoce: detestava prima i confratelli, poi i Toscani in generale, e infine tutta l'umanità. Ne parlava con odio convinto. "Haud proinde in crimine incendii quam odio humani generis convicti sunt"9 , ricordai . Appena il maledicente si fu allontanato, si avvicinò un secondo religioso per consigliarmi di non dare importanza a quanto aveva detto l'altro: era chiamato "fra' pazzo". La pazzia allora faceva scalpore, oggi è talmente diffusa che è diventata la regola. Pernottammo in un albergo isolato in mezzo alla campagna fiorita e affumicata da un vapore caldo che emanava da una vasca termale. Lo strano posto si chiama Bagno Vignoni. Sembrava una notte afosa di estate matura. Prima di cena i ragazzini correvano intorno alla piscina fumosa sparendo e riapparendo con lieto rumore tra le nuvole nate dall'acqua. Pensavo: "Sono felici di stare insieme poiché hanno qualcosa da dire e da fare in comune: giocare, studiare, contrapporsi agli adulti. Per noi ci vorrebbe una vita politica e culturale. Quando avranno finito il liceo, ciascuno si desocializzerà se allora, nel 1985, non ci sarà stato un rinnovamento in Italia. Cercheranno un partner per riprodursi, e, dopo la laurea, intorno al 1990, un impiego, una casa, e qualche accessorio. Ma avere qualcosa soltanto per sé non può dare gioia. La vita apolitica, egoista invece che impiegata per il bene comune, non è umana nel senso più nobile della parola. L'impolitico, diceva Pericle, noi lo consideriamo non tranquillo ma inutile10. A parer mio è anche dannoso. Finito il liceo Mamiani di Pesaro, quasi morivo, siccome non sapevo adattarmi a una vita senza bellezza, generosità, eroismo, a un vivacchiare teso soltanto alla laurea, allo stipendio e alla produzione di figli. Sono stati i miei auctores accrescitori a salvarmi. E la bicicletta pedalata in salita, nel sole. Se non fossi riuscito a calarmi, come un attore, nelle storie grandi e meravigliose degli scrittori maestri e accrescitoi, mi sarei ammazzato. L'università era un'istituzione di tedio. Doveva allevare dei giovani che si sobbarcavano una congerie pesante di nozioni lontane dalla vita. Non avrei potuto insegnare come facevano quasi tutti quei professori annoiando e annoiandosi; per me insegnare doveva essere interessare, ravvivare, educare. Cultura è natura potenziata. Bravo Carlo Izzo, il professore di letteratura inglese. Mi chiese di biennalizzare il suo esame ma io volevo studiare e insegnare greco e latino. Questo docente comunque mi fece intravedere vedere un metodo che mi piaceva: dava visioni d’insieme di un testo che presentava e lo confrontava con altri testi, mentre altri professoi si fermavano si alcune parole, nemmeno belle né particolarmente significative. Le materie antiche dovevo studiarmele da solo. Non sapevo allora che a 55 anni avrei fatto un concorso e poi insegnato per dieci anni a contratto nell’Università di Bologna, con puntate in quelle di Bressanone e di Urbino. Quindi avrei tenuto conferenze in convegni anche prestigiosi chiamato per la novità del mio metodo. Con il passare dei decenni diverse mode sarebbero mutate e il mio essere a[topo~ non mi avrebbe condotto in carcere o in manicomio né alla condanna a morte come quella inflitta alla ajtropiva, di Socrate. La mia stranezza romita dopo essere stata spregiata e perfino criminalizzata, sarebbe stata apprezzata. Pochi giorni fa una alumna optima della SSIS, poi ottima collega collega, mi ha scritto: “Penso anche all'invidia che - a volte mi hai raccontato - ha pervaso le tue giornate a scuola, perché eri bravo, hai anticipato i tempi con lo studio della letteratura comparata, venivi contattato da case editrici, convegni, università”. Allora mi ero già ritrovato del tutto. Ma dopo il liceo, per un paio di anni ero stato più interessato al mio dolore tragico che allo studio soltanto mnemonico e acritico dovuto molti tra gli esaminatori. Sicché ho indagato me stesso, e ho sofferto fino a non poterne più di soffrire, fino a volere studiare per gli alunni la grammatica, la sintassi, la metrica e i manuali sì, ma in vista della bellezza di Omero e degli altri accrescitori di vita i quali mi hanno illuminato la strada che dopo il liceo si era abbuiata. Per vivere intensamente in mezzo agli uomini bisogna avere uno scopo comune con loro. Così andava nell'Atene di Pericle quando una cittadinanza colta andava spesso a teatro, così a Bologna, a Roma, a Debrecen, a Praga, a Parigi, a Pechino nel '68. Verso le nove telefonai due volte a Ifigenia. La prima non si sentiva niente; la seconda mi diede l'angoscia. Dissi: "Oggi mi sei mancata tanto". "Anche tu mi sei mancato questa mattina". "Ho capito", feci e la salutai. Pensavo: "Ha detto – questa mattina –. Vuol dire che non le sono mancato nel pomeriggio, quando ha visto Gennaro". Sapevo che era stata a lezione di danza. Uscii dall'albergo, pieno di pena dovuta ora credo alla mia pignoleria da persona non ancora guarita dalle tante ferite antiche. Sembrava di sentire i grilli e le rane cantare nella campagna fiorita. Invece era lo stridere delle tubature e il gorgoglìo della superficie bollente. Le fanciulle camminavano, i ragazzini si rincorrevano intorno all'acqua dal fiato fumoso. Feci il giro anche io, più volte, aspettando presagi. L'aria di Marzo era calda e appiccicosa come quella di luglio in una città della pianura padana o della puszta ungherese. Mi aspettavo che i fiori durante la notte divenissero frutti maturi, poi marci, che cadessero a terra con tutte le foglie, quindi dalla putredine tornasse la vita, in un volgersi vorticoso delle stagioni, in una ridda continua macabra, buffa e lieta nello stesso tempo. Tornato in albergo, sentii dire che avevano sparato al guitto divenuto presidente degli U.S.A. L'avevano solo ferito. "Sarà stato un sicario pagato da un potentato economico e finanziario cui la linea dell'istrione dai capelli orrendamente tinti non giova. Se la mia compagna capisse qualcosa di politica, potremmo parlarne. Ma quella pensa soltanto a se stessa. E io penso troppo a lei". Andai a letto accompagnato da questi pensieri, senza conforto. Passai male anche il secondo giorno di gita. Al risveglio osservavo la vasca che vomitava sempre fumo rovente. Sulla superficie acquorea sbocciavano, si gonfiavano, si rompevano, poi si riformavano, gorgogliando, a miriadi, le bolle d'aria, come nell'anima mia i pensieri vani. Pochi giorni prima Ifigenia mi aveva detto: "Abbiamo davanti una nebbia che ci oscura il mondo". La sera, appena arrivato a Bologna, le telefonai. Disse che le ero mancato tanto e che per sentirsi meno lontana da me era stata “a casa nostra” dove aveva lasciato un messaggio. Corsi subito a leggerlo. Diceva: "31/3/81. Gianni, ti amo sempre di più e non vedo l'ora di rivederti per poterti baciare e parlare. Ti adoro, tua Ifigenia. Se non ci sentiamo prima, ti auguro una buona notte e sogni felici ". Ne trassi conforto.
Note 9 Tacito, Annales, XV, 44: e vennero ritenuti colpevoli non tanto del crimine dell'incendio quanto di odio per l'umanità. Si riferisce ai Cristiani condannati dal regime di Nerone dopo l'incendio di Roma del 64 d. C. 10 Cfr. Tucidide, Storie, II, 40.
Bologna ore 19, 21 giovanni ghiselli |
Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
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martedì 22 ottobre 2024
Ifigenia. CCVIII La gita scolastica a Bagno Vignoni
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