NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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martedì 22 ottobre 2024

Ifigenia. CCVIII La gita scolastica a Bagno Vignoni


 

Il 30 marzo andai nel senese in gita scolastica con la mia quarta

ginnasio. Osservavo gli allievi con occhio sano, cioé senza volere

nulla per me. Quando fummo entrati in un convento, un vecchio frate mi venne vicino e mi parlò sottovoce: detestava prima i confratelli, poi i Toscani in generale, e infine tutta l'umanità. Ne parlava con odio convinto.

"Haud proinde in crimine incendii quam  odio humani generis

convicti sunt"9 , ricordai . Appena il maledicente si fu allontanato, si

avvicinò un secondo religioso per  consigliarmi di non dare

importanza a quanto aveva detto l'altro: era chiamato "fra' pazzo".

La pazzia  allora faceva scalpore, oggi è talmente diffusa che è diventata la regola.

Pernottammo in un albergo isolato in mezzo alla campagna fiorita

e affumicata da un vapore caldo che emanava da una vasca

termale. Lo strano posto si chiama Bagno Vignoni. Sembrava una

notte afosa di estate matura. Prima di cena i ragazzini correvano

intorno alla piscina fumosa sparendo e riapparendo con lieto

rumore tra le nuvole nate dall'acqua.

Pensavo: "Sono felici di stare insieme poiché hanno qualcosa da

dire e da fare in comune: giocare, studiare, contrapporsi agli

adulti. Per noi ci vorrebbe una vita politica e culturale. Quando

avranno finito il liceo, ciascuno si desocializzerà se allora, nel 1985,

non ci sarà stato un rinnovamento in Italia. Cercheranno un

partner per riprodursi, e, dopo la  laurea, intorno al 1990, un

impiego, una casa, e qualche accessorio. Ma avere qualcosa

soltanto per sé non può dare gioia. La vita apolitica, egoista invece

che impiegata per il bene comune, non è umana nel senso più nobile della parola. L'impolitico, diceva Pericle, noi lo consideriamo non tranquillo

ma inutile10. A parer mio è anche dannoso.

Finito il liceo Mamiani di Pesaro, quasi morivo, siccome non

sapevo adattarmi a una vita senza bellezza, generosità, eroismo, a

un vivacchiare teso soltanto alla laurea, allo stipendio e alla produzione di

figli. Sono stati i miei  auctores accrescitori  a salvarmi. E la bicicletta pedalata in salita, nel sole.

Se non fossi riuscito a calarmi, come un attore, nelle storie grandi e meravigliose degli scrittori maestri e accrescitoi, mi sarei ammazzato. L'università era un'istituzione di tedio. Doveva allevare dei giovani

che si sobbarcavano una congerie pesante di nozioni lontane dalla vita.

Non avrei potuto insegnare come facevano quasi tutti quei professori annoiando e annoiandosi;  per me insegnare doveva essere

interessare, ravvivare, educare. Cultura è natura potenziata.

Bravo Carlo Izzo, il professore di letteratura inglese. Mi chiese di biennalizzare il suo esame ma io volevo studiare e insegnare greco e latino.

Questo docente comunque mi fece intravedere vedere un metodo che mi piaceva: dava visioni d’insieme di un testo che presentava e lo confrontava con altri testi, mentre altri professoi si fermavano si alcune parole, nemmeno belle né particolarmente significative. Le materie antiche dovevo studiarmele da solo.

Non sapevo allora che a 55 anni avrei fatto un concorso e poi insegnato per dieci anni a contratto nell’Università di Bologna, con puntate in quelle di Bressanone e di Urbino. Quindi avrei tenuto conferenze in convegni anche  prestigiosi chiamato per la  novità del mio metodo.

Con il passare dei decenni diverse mode sarebbero mutate e il mio essere a[topo~  non mi avrebbe condotto in carcere o in manicomio né alla condanna a morte come quella inflitta alla ajtropiva, di Socrate.   La mia stranezza romita dopo essere stata spregiata e perfino criminalizzata, sarebbe stata apprezzata. Pochi giorni fa una   alumna optima della SSIS, poi ottima collega collega, mi ha scritto: “Penso anche all'invidia che - a volte mi hai raccontato - ha pervaso le tue giornate a scuola, perché eri bravo, hai anticipato i tempi con lo studio della letteratura comparata, venivi contattato da case editrici, convegni, università”.

Allora mi ero già ritrovato del tutto.

Ma dopo il liceo, per un paio di anni  ero stato più

interessato al mio dolore tragico che allo studio soltanto mnemonico e acritico dovuto molti tra gli esaminatori.

Sicché ho indagato me stesso, e ho sofferto fino a non poterne più di soffrire, fino a volere studiare per gli alunni la grammatica, la sintassi, la metrica  e i manuali sì, ma in vista della bellezza di Omero e degli altri accrescitori di vita i quali mi hanno illuminato la strada che dopo il liceo si era abbuiata. 


Per vivere intensamente in mezzo agli uomini bisogna avere uno scopo

comune con loro. Così andava nell'Atene di Pericle quando una cittadinanza colta andava spesso a teatro, così a Bologna, a Roma, a Debrecen, a Praga, a Parigi, a Pechino nel '68.

Verso le nove telefonai due volte a Ifigenia. La prima non si

sentiva niente; la seconda mi diede l'angoscia.

Dissi: "Oggi mi sei mancata tanto".

"Anche tu mi sei mancato questa mattina".

"Ho capito", feci e la salutai. Pensavo: "Ha detto – questa mattina

–. Vuol dire che non le sono mancato nel pomeriggio, quando ha

visto Gennaro". Sapevo che era stata a lezione di danza.

Uscii dall'albergo, pieno di pena dovuta ora credo alla mia pignoleria da persona non ancora guarita dalle tante ferite antiche. Sembrava di sentire i grilli e le rane cantare nella campagna fiorita. Invece era lo stridere delle

tubature e il gorgoglìo della superficie bollente. Le fanciulle

camminavano, i ragazzini si rincorrevano intorno all'acqua dal

fiato fumoso. Feci il giro anche io, più volte, aspettando presagi.

L'aria di Marzo era calda e appiccicosa come quella di luglio in

una città della pianura padana o della puszta ungherese. Mi

aspettavo che i fiori durante la notte divenissero frutti maturi, poi

marci, che cadessero a terra con tutte le foglie,  quindi dalla

putredine tornasse la vita, in un volgersi vorticoso delle stagioni, in

una ridda continua macabra, buffa e lieta nello stesso tempo.

Tornato in albergo, sentii dire che avevano sparato al guitto

divenuto presidente degli U.S.A. L'avevano solo ferito.

"Sarà stato un sicario pagato da un potentato economico e

finanziario cui la linea dell'istrione dai capelli orrendamente tinti non giova.

Se la mia compagna capisse qualcosa di politica, potremmo parlarne.

Ma quella pensa soltanto a se stessa. E io penso troppo a lei".

Andai a letto accompagnato da questi pensieri, senza conforto.

Passai male anche il secondo giorno di gita. Al risveglio osservavo la vasca

che vomitava sempre fumo rovente. Sulla superficie acquorea

sbocciavano, si gonfiavano, si rompevano, poi si riformavano,

gorgogliando, a miriadi, le bolle d'aria, come nell'anima mia i

pensieri vani. Pochi giorni prima Ifigenia  mi aveva detto:

"Abbiamo davanti una nebbia che ci oscura il mondo".

La sera, appena arrivato a Bologna, le telefonai. Disse che le ero

mancato tanto e che per sentirsi meno lontana da me era stata “a

casa nostra” dove aveva lasciato un messaggio. Corsi subito a


leggerlo. Diceva: "31/3/81. Gianni, ti amo sempre di più e non

vedo l'ora di rivederti per poterti baciare e parlare. Ti adoro, tua

Ifigenia. Se non ci sentiamo prima, ti auguro una buona notte

e sogni felici ". Ne trassi  conforto.

 

 

Note

 9

Tacito, Annales, XV, 44: e vennero ritenuti colpevoli non tanto del crimine

dell'incendio quanto di odio per l'umanità. Si riferisce ai Cristiani condannati dal

regime di Nerone dopo l'incendio di Roma del 64 d. C.

10

Cfr. Tucidide, Storie,  II, 40.

 

Bologna ore  19, 21 giovanni ghiselli

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