NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 27 ottobre 2024

L’ Agorá e la politica. La necessità del metevcein (partecipare).


 

L’impolitico. Omero, Tucidide, Aristotele,  Menandro, Plutarco.

 

Nell’inserto domenicale di “Il sole 24 ore” del 2 agosto 2015 trovo un pezzo di Glenn Most dal titolo L’Europa è un’agorà (p. 19).

L’autore, che insegna Filologia greca all’Università di Pisa, informa i lettori sul significato etimologico del termine greco presente nel titolo: “ajgorav viene da ajgeivrw “raccogliere insieme”, e l’agorà fu il luogo aperto in cui gli uomini Greci, dopo aver lasciato a casa le particolarità familiari (l’ijdiwteiva), si radunavano in uno spazio pubblico per scambiarsi due tipi di beni: usando l’agorà come mercato, vi andavano a comprare e vendere provviste (ajgoravzw significa “comprare”); e usando l’agorà come luogo di assemblea politica, vi venivano a discutere gli affari della città (ajgoreuvw significa “parlare pubblicamente”( …) L’agorà era uno spazio che non apparteneva a nessuno ma a tutti, in cui gli uomini Greci trattavano faccende di tutti, non come membri di una famiglia ma come cittadini appartenenti a città.

 Gli antichi Greci inventarono la politica nel senso della pubblica e ordinata riflessione, discussione e determinazione del potere nella loro comunità. Il termine viene da povli~, “città”. Quando Aristotele definisce l’essere umano come politiko;n zw'/on, “animale politico” , combina due idee che sono fondamentali nel pensiero greco antico: la prima, che solo gli esseri umani, ma tutti gli esseri umani, vivono in città, a differenza degli dei e degli animali che sono autosufficienti e che non hanno bisogno di città o non possono fruirne; la seconda, che è una delle funzioni essenziali degli uomini partecipare alla vita politica. La politica non era solo l’espressione dei limiti e dei bisogni umani; era anche il modo più elevato di realizzare l’essenza dell’essere umano”.

 

Celeberrima è la definizione aristotelica dell'uomo quale “fuvsei politiko;n zw'/on”. L'uomo per natura è animale politico e chi vive fuori dalla comunità, per natura e non per qualche caso, non vale nulla oppure è superiore all'umano ("fau'lov" ejstin h] kreivttwn h[ a[nqrwpo"", Politica , 1253 a).

Omero scrive che i Ciclopi non hanno assemblee deliberanti, non leggi: vivono sule cime dei monti in grotte profonde, ciascuno fa legge alla moglie e ai figli e non si curano l’uno dell’altro (qemisteuvei de; e[kastoς-paivdwn hjd  j ajlovcwn, oujd  j ajllhvlwn ajlevgousi,  Odissea, IX, 114-155)

Un’esistenza precivile è quella di Polifemo. Una vita disumana, dato che l’uomo è animale politico.

Il cittadino-polivthς- non può non partecipare alla vita della povliς.

Pericle nel lovgo~ ejpitavfio~ ricordato (o icostruito) da Tucidide, dice: “Solo noi consideriamo (nomivzomen) non tranquillo ( oujk ajpravgmona) ma inutile (ajll j ajcrei`on) chi non prende parte alla vita politica (tov te mhde;n tw`nde metevconta)” Storie,  II, 40, 2

Plutarco ricorda che tra le leggi di Solone era sorprendente quella che sanciva l’ajtimiva, la privazione dei diritti civili per chi in caso di sedizione non si fosse schierato da nessuna parte (Vita di Solone, 20, 1)

Alla direttiva del mevtecein , del partecipare, gli oligarchi contrapposero l’esaltazione della vita privata con il ta; eJautou` pravttein. Anni fa, prima quando studiavo, poi quando insegnavo, il motto dei maestri e dei presidi fascisti era: “a scuola non si fa politica”. Gli anni politicamente più belli della mia vita vanno dal 1968 al 1972. Sono stati i pù belli anche dal punto di vista dei rapporti umani un genere: delle amicizie e degli amori.

 

 Euripide polemizza contro questa tendenza all’astensionismo politico. Il Ciclope del dramma satiresco afferma che il suo dio è la pancia e biasima i legislatori che con le leggi hanno complicato la vita umana ( oiJ de; tou;ς novmouς- e[qento poikivllonteς ajnqrwvpwn bivon, Ciclope, 338-339).


 

La commedia nuova. Chi è umano per Menandro

Il misantropo di Menandro (342-291)  vive nell’Atene post democratica e  politica e viene presentato come uomo  disumano  assai.

Molti uomini sono peggiori di questo misantropo solitario che si limita a lanciare sassi contro chi si avvicina a casa sua. Oggi è di moda la violenza diffusa,

Cnemone , il duvskolo"  di Menandro  non è solo un tenace e duro lavoratore; è pure un "uomo disumano assai intrattabile (duvskolo" appunto) con tutti, uno che non sta bene con la gente"(vv. 6-7).

 Se Cnemone dunque è un disumano (ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo") chi è umano secondo Menandro?

Colui che si adatta ad una società borghese, leggera, cortese priva di precise convinzioni politiche e morali, come suggerisce Bruno Snell in Poesia e società  “Nel prologo il dio Pan definisce il dyskolos, l’eroe della commedia, un ajpavnqrwpo" a[nqrwpo" (v. 6), un uomo disumano. Che significa uomo? E’ disumano chi non è amichevole con nessuno, chi si tiene lontano da tutti con diffidenza[1].

“In Tirteo era un “uomo” chi possedeva la virtù del coraggio e dava tutto allo Stato, anche la vita (…)

Poi essere uomo significa avere un logos.

Ma la tragedia più tarda presenta un movimento inverso. All’Agamennone del principio dell’Ifigenia in Aulide la riflessione ha tolto la sicurezza dell’agire[2], ed Euripide dice spesso che qualcuno è troppo sapiente.

Menandro, quando parla semplicemente dell’uomo, non pensa né ad antiche virtù né a capacità spirituali. Per i suoi uomini non esiste un fine al di là della propria vita. Lo Stato non pone compiti di qualche valore, da quando i Macedoni hanno occupato città già autonome. L’aspirazione al sapere tocca ai filosofi e ai dotti specialisti: anche i problemi del bene e del male sono diventati “teorici” e sono oggetto di dispute per le scuole filosofiche (…) Ma che significa umano e disumano per Menandro?”. La società è mutata, è “ormai limitata alla semplice convivenza, non più legata da fini o interessi comuni… Per Menandro anthropos  è l'uomo che si adatta a una simile società, a questa società che è in pari tempo signorile e borghese (e che parla un attico affascinante). Anche in questa società i Greci confermano di avere il talento di creare forme esemplari. Dalla commedia borghese di Menandro e dei suoi contemporanei derivano le commedie romane di Terenzio e di Plauto e, attraverso queste, le commedie del Rinascimento e del barocco e quindi la commedia moderna, il dramma borghese dei moderni e i film dei nostri giorni. Così l’Occidente ha imparato che cosa sia la “società". Le convenzioni, ciò che “uno” fa (…) furono in gran parte fissate dalla Commedia Nuova del tardo quarto secolo.

Proprio perché è priva di specifiche dottrine religiose, politiche e morali, la Commedia Nuova ha potuto segnare con la sua impronta la cultura sociale dei Romani e poi di altri popoli occidentali. E’ più facile importare e trapiantare le buone maniere che gli usi religiosi e i principi morali”[3].

 

In Menandro dunque gli uomini umani sono socievoli ma impolitici. La democrazia era finita con la sottomissione alla Macedonia, poi a Demetrio Poliorcete e a suo figlio Antigono Gonata, poi, dopo Pidna (168), ai Romani.

Io ho constatato che il tramonto della politica prelude all’alba dell’individualismo sfrenato e della violenza diffusa

 

Bologna 27 ottobre 2024 ore 16, 56 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Così dice Shakespeare, Timon of Athens, I, 1: “He’ s opposite to humanity”.

[2] Il capo della spedizione contro Troia invidia un suo vecchio servo che non ha responsabilità di comando (vv. 17-19)

[3] B. Snell, Poesia e società, pp. 151-152.

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