Polibio racconta il passaggio delle Alpi e le vittorie di Annibale nella pianura padana favorito dai galli Insubri e Boi.
Torniamo a Polibio il quale sostiene che le storie monografiche sono di lettura più facile ma hanno il difetto di trattare argomenti separati senza indicare i nessi. Non vedono cause e conseguenze dei fatti.
Cause e conseguenze è appunto possibile conoscerle e capirle solo attraverso gli scrittori di storia universale: “tau'ta dh; pavnta dia; me;n tw'n grafovntwn kaqovlou dunato;n ejpignw'nai kai; maqei'n” (3, 32, 8), non dalle biografie. Invero anche le biografie e persino le autobiografie possono avere varie dimensioni comparate tra loro,
Tra la mia storia quelle parziali (eJpi; mevrou~) c’è la stessa differenza che c’è tra l’imparare e l’ascoltare conclude Polibio.
Finita la digressione (parevkbasi~) Polibio torna a parlare dell’ambasceria romana a Cartagine che finì con la dichiarazioe di guerra.
Annibale passò l’inverno 219-218 a Sagunto.
Polibio riferisce un minuzioso elenco delle truppe di Annibale e la loro dislocazione avvalendosi di una tavoletta di bronzo trovata a capo Lacinio (poco a sud di Crotone) e redatta da Annibale stesso.
Aveva mandato dei messaggeri dai Celti. Infatti voleva essere informato sulla loro audacia e soprattutto sull’odio (dusmevneian) antiromano che questi nutrivano fin dal tempo della guerra che ho narrato nel libro precedente affinché il lettore capisca (3, 34, 2).
Annibale si atteneva a questa speranza: ei[ceto tauvth~ th'~ ejlpivdo~ (3, 34, 4). I Galli Boi erano stati sconfitti a Talamone (225), e gli Insubri a Clastidium dal console Marcello (222).
La vittoria sugli Isubri fu celebrata da Nevio (270-201) con la praetexta (tragedia di argomento romano) Clastidium.
Quindi Annibale si mise in marcia con 90 mila fanti e 10 mila cavalieri. Arrivò ai Pirenei con cinquanta mila fanti e 9 mila cavalieri.
L’orientamento dei lettori nello spazio.
Altra riflessione metodologica: bisogna indicare un modo che permetta ai lettori di orientarsi tra i luoghi menzionati. La prima indicazione utile è quella dei punti cardinali ajnatolav~, duvsei~, meshmbrivan, a[rkton (3, 36, 6). Poi ricordare che il mondo è diviso in tre parti: Asia, Libia, Europa. L’Asia va dal Nilo al Tanai (Don), la Libia tra il Nilo e le colonne d’Ercole e occupa la parte meridionale del Mare nostro (th'~ kaq j hJma'~ qalavtth~, 3, 37, 69). L’Europa si trova a nord del Mediterraneo. I Pirenei vanno ininterrottamente dal Mare Nostro a quello esterno (l’Oceano Atlantico).
I luoghi a sud dell’Etiopia e a Nord della fascia compresa tra il Tanai e il Narbone (fiume poco a nord dei Pirenei) è sconosciuta e quanti dicono o scrivono qualcosa di diverso su di esse devono essere considerati ignoranti o spacciatori di favole: ajgnoei'n kai; muvqou~ diativqesqai nomistevon (3, 38, 3). Ho scritto questo perché il racconto non risulti del tutto privo di ordine a coloro che non conoscono i luoghi: “cavrin tou' mh; televw~ ajnupovtakton ei\nai toi'~ ajpeivroi~ tw'n tovpwn dihvghsin ( 3, 38, 4).
Ha dato insomma un criterio orientativo.
Intanto i Romani decisero di mandare i consoli del 218 Tiberio Sempronio e Publio Cornelio in Libia e in Iberia. Vennero fondate le colonie di Piacenza (Plakentiva) al di qua del Po e di Cremona (Kremwvnh), al di là. I Boi si ribellarono ai Romani. Gli Insubri li seguirono e assediarono la colonia di Modena (Motivnh). Ci furono scontri fra coloni romani e Celti. Vennero mandate in soccorso le legioni assegnate a Publio guidate da un pretore. Publio si diresse per mare, da Pisa, verso il territorio di Marsiglia ajpo; Pisw'n eij~ tou;~ Massalivan tovpou~ (3, 41, 4), quindi approdò sulla prima foce del Rodano stovma to; Massaliwtikovn prosagoreuovmenon, foce detta Marsigliese.
Anche Annibale era arrivato al Rodano, nei pressi dell’odierna Avignone. Dei barbari cercarono di ostacolarlo ma egli li prese tra due fuochi, facendo passare il fiume 40 chilometri a monte a una parte delle truppe guidata da Annone, nipote di Annibale, figlio del suffeto Bomilcare. I Celti vennero sbaragliati kai; dia; th;n ajtaxivan kai; dia; to; paravdoxon tou' sumbaivnonto~ 3, 43 , 12. per il disordine (loro) e l’imprevedibilità dell’attacco. Annibale passò con 37 elefanti. Quindi fece parlare dei Galli Boi che incoraggiarono le sue truppe. I Boi promisero aiuto e magnificarono la fertilità del loro territorio: hj th'~ cwvra~ gennaiovth~ (3, 44, 8). Quindi parlò A. dicendo che non avevano mai fallito il successo e che il più era fatto. I soldati lo applaudirono entusiasti.
Publio prevalse in uno scontro di cavalleria su dei cavalieri Numidi e Celti. Annibale si spostò verso la foce. Fece disporre delle zattere coperte di terra e fece passare gli elefanti su questo finto sentiero di terra mettendo in testa al branco due femmine poiché questi bestioni obbediscono alle femmine: “peiqarcouvntwn aujtai'~ tw'n qhrivwn (3, 46, 7). Alcuni elefanti però, spaventati, si gettarono nel fiume. Comunque si salvarono respirando con le proboscidi sollevate, mentre i conducenti morirono.
Polibio biasima gli storici della spedizione, (probabilmente pensa a Cherea, Sosilo e Sileno che vi parteciparono)
I loro racconti dunque contengono contraddizioni e apparizioni di eroi o addirittura di dei. Questi storici attribuiscono ad Annibale una folle imprudenza e ai luoghi un carattere di solitudine che non hanno. Dimenticano che già i Celti avevano varcato le Alpi con grandi eserciti. Per risolvere queste difficoltà devono inventarsi un eroe che mostrò il cammino oppure introducono divinità o figli di divinità.
Quindi cadono nelle medesime difficoltà dei poeti tragici. Infatti aiJ katastrofai; tw'n dramavtwn prosdevontai qeou' kai; mhcanh'~ dia; to; ta;~ prwvta~ upoqevsei~ yeudei'~ kai paralovgou~ lambavnein (3, 48, 9) le soluzioni dei drammi hanno bisogno del deus ex machina poiché prendono dei presupposti falsi e inverosimili. Allora è necessario (ajnavgkh) che gli storici patiscano una difficoltà del genere e rappresentino eroi e dei che appaiono, quando presuppongono punti di partenza incredibili e falsi.
Come infatti è possibile sovrapporre a premesse illogiche un conclusione logica ? Annibale certamente agì in modo ponderato.
Io posso parlare eujqarsw'~ (12) con sicurezza, poiché mi sono informato bene e per giunta ho visto i posti facendo personalmente la traversata delle Alpi.
Publio Scipione si stupì del coraggio di Annibale, ma poi inviò il fratello Cornelio Scipione Calvo in Iberia, mentre lui fece vela verso l’Italia. Annibale dovette combattere gli Allobrǒgi sconfiggendoli e suscitando paura nelle tribù successive. Vivevano alla confluenza tra il Rodano e l’Isère.
Sulle cime delle Alpi già si accumulava la neve poiché si avvicinava il tramonto delle Pleiadi (fine settembre 218). Annibale parlò ai soldati: li incoraggiò dicendo che quella era l’acropoli dell’Italia (3, 54, 2). Sotto c’era la fertile pianura del Po e i Galli amici che li aspettavano. Annibale compì in quindici giorni la traversata delle Alpi. Arrivò con 8 mila fanti hibēri, 12 mila libici e 6 mila cavalieri, come egli stesso fece scrivere nella stele di capo Lacinio. Nel frattempo Publio Scipione si era portato nella pianura padana.
Segue una digressione sulle descrizioni geografiche. Le nostre sono limitate ouj boulovmenoi par j e{kasta diaspa'n th;n dihvghsin (3, 57, 4) poiché non vogliamo dilaniare a ogni momento la narrazione. Inoltre: nel passato era difficile descrivere la terra poiché era difficile o impossibile viaggiare; ai giorni nostri invece tutti i luoghi sono diventati navigabili e percorribili: quelli dell’Asia grazie ad Alessandro, i rimanenti grazie al dominio romano. Inoltre molti Greci che una volta sarebbero stati uomini d’azione, ora sciolti da ambizioni militari e politiche, possono dedicarsi all’indagine e allo studio. Polibio ha affrontato pericoli e disagi per descrivere Libia, Iberia, Gallia con il mare che le bagna, e correggere gli errori precedenti (3, 59).
Giunto in Pianura Annibale fece riposare e rifocillare i suoi che erano stremati. Aveva perduto la metà dei suoi uomini. I sopravvissuti ajpoteqhriwmevnoi pavnte~ h\san (3, 60, 7), erano diventati come bestie. Dovette domare e massacrare i Taurini, infondendo paura negli altri Celti. Poi decise di avanzare.
Annibale e Scipione che era già sul Po, provarono ammirazione reciproca per la rapidità della marcia. A Roma c’era sbigottimento e venne richiamato Tiberio Sempronio da Lilibeo. Annibale fece combattere i prigionieri tra loro, quindi parlò ai suoi soldati dicendo che anche loro stessi dovevano combattere per vincere o morire o cadere nelle mani dei nemici (3, 63, 3). Non potrete vivere, se sconfitti. I soldati si riempirono di entusiasmo.
Publio, passato il Po, voleva attraversare il Ticino. Anche lui parla ai soldati, cercando di infondere fiducia nella vittoria. Sul Rodano sono fuggiti. Annibale e i suoi sono malridotti. I soldati si mostrarono entusiasti della battaglia.
Lo scontro avvenne tra il Sesia e il Ticino, nei pressi dell’odierna Lomello. Decisiva fu lacavalleria numidica che operò l’accerchiamento. Scipione ferito, si ritirò verso il ponte sul Po ejpi; th;n tou' Pavdou gevfuran (3, 66, 1) poiché aveva capito che la cavalleria di Annibale era più forte.
Annibale lo inseguì fino al Ticino, fece dei prigionieri, giunse sul Po e fece costruire un ponte. Passò il fiume e ricevette filanqrwvpw~ (3, 66, 8) i Celti che andavano a omaggiarlo per il successo. Scipione si accampò nei pressi di Piacenza e Annibale piantò le tende a 50 stadi (10 km.). Molti Celti arruolati nell’esercito romano passarono dalla parte di Annibale, e Scipione si mise in marcia verso il Trebbia, verso sud, per avvicinarsi al collega.
Publio si accampò sulle colline a sud di Piacenza e curava con attenzione la propria ferita poiché voleva partecipare alla battaglia prossima (3, 68, 6). I Romani a Roma trovavano scuse per non riconoscere la sconfitta, dando la colpa alla precipitazione del console Tiberio, o alla vigliaccheria dei Celti. Tiberio raccolse tutte le sue truppe e si unì a Scipione. In novembre Annibale prese Klastivdion grazie al tradimento di uno di Brindisi. Usò il grano ma non torse un capello ai prigionieri che condusse con sé ajblabei'~ meq j eJautou' proh'ge (69, 2). Onorò grandemente il traditore (diversamente da come faceva Alessandro Magno). Ma Annibale era perfido e non disdegnava i perfidi.
Ci fu una scaramuccia sfavorevole ai Cartaginesi, e Annibale trattenne i suoi poiché era convinto che non doveva combattere una battaglia decisiva finché non avesse stabilito un piano preciso. Tiberio invece voleva affrontare lo scontro. Scipione voleva aspettare. Ma Tiberio era spinto dal desiderio di rinomanza uJpo; de; th'~ filodoxiva~ ejlaunovmeno~ (70, 7) e non voleva aspettare la primavera quando (in marzo) sarebbero entrati in carica altri consoli. Inoltre si fidava paralovgw~ nel successo delle sue azioni.
Annibale voleva scontrarsi, per sfruttare il successo, l’assenza di Publio, e soprattutto per non lasciar passare il tempo a vuoto. Infatti un comandante invasore deve rinnovare continuamente i successi e ravvivare continuamente le speranze degli alleati.
Quindi Annibale preparò un agguato istruendo il fratello Magone. Lo preparò in un luogo pianeggiante e senza alberi, dove i Romani se lo aspettavano di meno, mentre è adatto per un agguato, perché chi è nascosto dentro un avvallamento o dietro una sporgenza, vede in lontananza senza essere visto. L’esercito romano fu attirato a combattere in un momento di stanchezza, infreddolimento e digiuno, mentre quello di Annibale era nutrito e riposato. Inoltre dei Numidi si erano nascosti in agguato e presero i Romani alle spalle. I Romani erano intirizziti mentre i Cartaginesi si erano unti. Era il tempo intorno al solstizio d’inverno: ou[sh~ de; th'~ w{ra~ peri; ceimerina;~ tropav~ (3, 72, 3) ed era una giornata eccezionalmente fredda e nevosa. Diecimila romani riuscirono a ritirarsi in Piacenza. Il freddo fece morire tutti gli elefanti tranne uno (Surus).
Sempronio cercò di dissimulare la sconfitta dicendo che il maltempo gli aveva tolto la vittoria mavch~ genomevnh~, th;n nivkhn aujtw'n oJ ceimw;n ajfeivleto (3, 75, 1). Il generale inverno insomma.
Ma i soldati erano rinchiusi in Piacenza e Cremona, rifornite dal mare e dal Po, mentre la pianura Padana era perduta. Quindi i Romani capirono e organizzarono la resistenza.
Bologna 24 ottobre 2024 ore 20, 48 giovanni ghiselli
p. s.
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