Nerone attore, matricida, uxoricida discende da Ottaviano e da Antonio.
A teatro Nerone interpretava anche Edipo. Qui è centrale l’incesto. Ma la madre spesso simboleggia la patria.
Cesare la notte prima di passare il Rubicone sognò una congiunzione infame con la propria madre: “ejdovkei ga;r aujto;~ th/' eJautou' mhtri; meivgnusqai th;n a[rrhton mei'xin” (Plutarco, Vita di Cesare, 32, 9). Cfr. Edipo "quello di cui la profetica ripe di Delfi disse:-ha compiuto infamie su infamie (a[rrht j ajrrhvtwn televsan-ta Edipo re ,465-466 ) con mani sporche di strage").
Nerone mitologizzava i suoi delitti per prendere le distanze dai delinquenti comuni e assumere la veste dell’eroe.
“Lo scopo non era dimostrare la sua innocenza, ma accettare la colpevolezza e giustificarla” (Champlin, p. 133).
Con Canăce partoriente che veniva uccisa dal padre Eolo dopo che aveva partorito un figlio del proprio fratello Macareo, Nerone “portava la maschera della sua defunta moglie Poppea Sabina, uccisa durante la gravidanza” (Champlin, p. 138).
Poi interpretava Hercules Furens dove l’eroe (cfr. Euripide Eracle, e Seneca), fatto impazzire da Hera, uccide la moglie Megara e i figli.
Ercole dunque non è responsabile del misfatto perché la collera di una divinità lo ha fatto impazzire. Anche Nerone aveva ucciso Poppea e il figlio in un accesso di follia divina.
Un altro modello di Nerone era probabilmente Periandro tiranno di Corinto nella prima metà del VI secolo.
Quando andava in lettiga con la madre libidinatum inceste ac maculis vestis proditum affirmant (Svetonio, Vita, 28), si diceva che si desse al piacere incestuoso (libidinor) tradito dalle macchie della veste.
Dicevano pure che tra le sue concubine c’era una meretrice Agrippinae simillimam.
L’ultima volta che vide la madre (59 d. C.) in digressu papillas quoque osculatus (Svetonio, 34), nel salutarla le baciò anche le mammelle.
Tacito racconta che dopo l’ultima cena Nerone la accompagna alla sua nave “prosequitur abeuntem, artius oculis et pectori haerens, sive explenda simulatione, seu periturae matris supremus aspectus quamvis ferum animum retinebat ” (Annales, XIV, 4).
Poi gli dèi offrirono una notte chiara e tranquilla: “quasi convincendum ad scelus dii praebuēre “ (14, 5), come per dare una prova del delitto.
L’uccisione di Agrippina (59 d. C.)
Nerone prima di annegare la madre la invitò a cena poi la salutò dicendo: “e[rrwsov moi kai; uJgivaine: ejn ga;r soi; kai; ejgwv zw' kai; dia; se basileuvw” (Cassio Dione, 61, 13), mantieniti forte e in salute: di fatto è grazie a te che sono vivo e regno. Quindi la fece salire su una nave preparata a sfasciarsi.
Ma il mare, afferma Cassio Dione non sopportò la tragedia che stava per abbattersi su di lei , né sopportò di essere additato come responsabile dell’assassinio.
Agrippina dunque si salvò a nuoto.
Giunta nella sua villa, finse di non avere capito e informò il figlio dell’incidente. Nerone allora, terrorizzato, mandò il sicario Anicēto, non fidandosi dei pretoriani devoti a Germanico, l’eroe padre di Agrippina. La donna, come vide il sicario, si alzò dal letto , si strappò la veste kai; th;n gastevra ajpogumnwvsasa -pai'e-e[fh-tau'thn, jAnivkhte, pai'e, o{ti Nevrwna e[teken” e scoperto il ventre disse: colpisci questo Aniceto, colpisci questo che ha partorito Nerone,
Un topos gestuale e teatrale.
Nell'Oedipus di Seneca, Giocasta invita prima il figlio, quindi la propria mano, a colpire il ventre:" Eligere nescis vulnus: hunc, dextra, hunc pete/uterum capacem, qui virum gnatum tulit " (vv. 1038-1039), non sai scegliere il colpo: colpisci, destra, questo ventre qui, così capace che ha accolto il figlio come marito !
Nelle Phoenissae, la regina di Tebe cerca di impedire la guerra fratricida gridando:" civis atque hostis simul/hunc petite ventrem, qui dedit fratres viro! " (vv. 446-447), cittadini e nemici insieme, colpite questo ventre che diede fratelli al marito.
L'ostensione del ventre è il gesto estremo di Agrippina anche nel racconto di Tacito: la mamma di Nerone, già ferita alla testa da una bastonata di uno dei sicari mandato dal figlio, si volse all'altro, un centurione della flotta che stringeva un pugnale, e "protendens uterum ‘ventrem feri’ exclamavit multisque vulneribus confecta est" (Annales, XIV, 8), mettendo davanti il ventre materno gridò 'colpisci qui', e fu finita con molti colpi.
Agrippina rappresenta la tendenza autodistruttiva di Roma intera durante la guerra intestina: nei primi versi della Pharsalia Lucano, annuncia che comincia a cantare (canimus): "bella…plus quam civilia…iusque datum sceleri…populumque potentem/in suă victricī conversum visceră dextrā " (I, vv. 1-3), guerre più che civili e il diritto dato al delitto e il popolo potente girato con la destra vincitrice dentro le proprie viscere. Questo poema è una specie di anti-Eneide.
Nell'Octavia pseudosenecana Agrippina prega il sicario :"utero dirum condat ut ensem:/'hic est, hic est fodiendus', ait,/ 'ferro, monstrum qui tale tulit'./Post hanc vocem cum supremo/mixtam gemitu/animam tandem per fera tristem/vulnera reddit" (vv. 359-365), affinché affondi la spada crudele nell'utero. "Questo, dice, va scavato con il ferro questo che portò un mostro del genere". Dopo questa frase finalmente rese l'anima triste mescolata con un gemito attraverso le ferite atroci.
Tacito aggiunge che su questa parte della storia c’è il consenso delle fonti. Però non tutti sono d’accordo a proposito degli elogi che il figlio ha espresso sulla bellezza della madre morta.
Svetonio per esempio racconta che Nerone vedendo il cadavere della madre “contrectasse membra, alia vituperasse, alia laudasse, sitique interim obortā bibisse” (34), ne tastò le membra, ne criticò alcune, altre le elogiò, nel frattempo insorse la sete e bevve.
Ma torniamo alla nascita di Nerone, nel 37 a.C.
Il padre Domizio Enobarbo lo definì subito, dicendo che da lui e Agrippina poteva nascere solo una cosa “detestabile et malo publico” (Svetonio, 6). Agrippina (Minore, 15-59) era figlia di Agrippina (Maggiore 14 a. C. 33 d. C.) figlia di Augusto e moglie di Germanico. Era dunque nipote di Augusto e sorella dell’imperatore Caligola.
Domizio Enobarbo era figlio di Antonia maggiore, figlia di Antonio e di Ottavia sorella di Ottaviano Augusto
A tre anni Nerone patrem amisit (6).
Nel 49, a 12 anni, dopo la morte di Messalina e il matrimonio di Agrippina minore con Claudio, fratello di Germanico , Nerone fu affidato a Seneca. Venne adottato nel 50.
Nel 53 Nerone perorò in latino in favore dei Bolognesi davanti a Claudio, poi in greco a favore dei Rodiesi e degli Iliensi: apud eundem consulem pro Bononiensibus latine, pro Rhodis atque Iliensibus grece verba fecit ” ( Svetonio, 7). Rodi era stato (fino a Pidna, 168 a. C.) un importante centro culturale ed economico: si pensi al Colosso che sovrastava l’ingresso del porto (dal 304 al 224 a. C.), e alla Nike di Samotracia (simbolo delle vittorie della flotta di Rodi, 180 a. C. ora al Louvre); Ilio, cioè Troia, veniva considerata addirittura la madrepatria di Roma, per via di Enea.
“Quanto Nerone sia stato grande nell’oratoria, quanto abile in latino e in greco lo si può dedurre dal fatto che davanti a Claudio, allora non solo imperatore ma anche console, recitò il rendimento di grazie per la propria adozione e perorò in favore dei Bolognesi in latino, in favore degli abitanti di Rodi e di Ilio in greco” (Cardano, Elogio di Nerone, p. 45.
Bologna era stata devastata da un incendio nel 55.
Tacito racconta che Nerone ottenne per gli abitanti di Ilio ut omni publico munere solverentur, che fossero esonerati da ogni pubblico tributo, ricordando che Enea era il capostipite della famiglia Giulia e che alla colonia Bononiensis (fondata nel 189 a. C.) igni hausta, si elargisse una sovvenzione di dieci milioni di sesterzi (Annales, XII, 58).
Nello stesso anno 53 Nerone sposò Ottavia, la figlia di Claudio e Messalina. La sposa aveva 12 anni, lo sposo 16.
Agrippina faceva di tutto per assicurare il potere a Nerone. Siccome Claudio però dimostrava affetto per il figlio Britannico, Agrippina decise di uccidere Claudio, lo zio imperatore e fece chiamare una famigerata avvelenatrice, Locusta Loukou'stavn tina farmakivda peribovhton (Cassio Dione, 60, 34). Era una donna, racconta Tacito, nuper veneficii damnata et diu inter instrumenta regni habĭta (12, 66). Condannata poco tempo prima per veneficio poi tenuta a lungo tra gli strumentoi del potere Cfr. la religio.
Grande esperta di favrmaka, allieva di Ecate, come Medea e Circe.
Tacito aggiunge che al complotto partecipò anche il medico Senofonte il quale dopo il vomito di Claudio gli cacciò in gola una penna intrisa di un veleno potente. Haud ignarus summa scelera incĭpi cum periculo, perăgi cum praemio (12, 67).
Senofonte era l’ajrciiatrov~, favorito di Claudio che concesse l’immunità fiscale alla città di Coo da dove proveniva. Nerone lo sposterà nel dipartimento a libellis addetto alle petizioni.
Claudio mangiò il fungo avvelenato poi, finito da Senofonte, venne portato via come fosse ubriaco, un fatto consueto. Di notte morì. Era il 13 ottobre del 54. Seneca scrisse sia l’elogio , sia il biasimo funebre (ajpokolokuvntwsin). Nerone in privato fece una battuta: disse che i funghi erano cibo degli dèi (muvkhta~ qew'n brw'ma e[legen ei\nai), infatti Claudio grazie a quel fungo era diventato un dio (C. D. 60, 35). Il fungo di Claudio diventerà proverbiale.
Marziale augura a un ospite avaro che mangia funghi da solo: boletum qualem Claudius edit, edas” (I, 20, 4).
Giovenale biasima un banchetto dove agli amici vengono imbanditi ancipites fungi , funghi incerti, mentre per il padrone c’è un boletus… qualis Claudius edit/ante illum uxoris, post quem nihil amplius edit (V, 146-148) prima di quello apparecchiatogli dalla moglie
Nella Apokolokyntosis Seneca elogia il giovinetto Nerone come il sole che illuminerà i secoli d’oro che scendono con stame bello aurea formoso descendunt saecula filo (IV, 1, 9).
Ed ecco il nuovo imperatore che appare luminoso come il sole: “Talis Caesar adest, talem iam Roma Neronem/aspiciet. Flagrat nitidus fulgore remisso/vultus, et adfuso cervix formosa capillo” (IV, 1, 30-32), tale Cesare è qui, tale Roma già lo contempla. Il volto splendente brilla con dolce luce e il bel collo dai capelli diffusi
Claudio invece è presentato come un mentecatto.
Nel giorno del funerale di Claudio, Nerone tenne la laudatio funebris dell’imperatore.
Finché il giovanissimo princeps ricordò l’antichità della famiglia e i trionfi degli antenati, l’uditorio rimase serio e attento, ma quando passò a parlare della sua prudenza e sapienza, nemo risui temperare, nessuno si tratteneva dal ridere, sebbene l’orazione composta da Seneca fosse elegante e rivelasse il talento del filosofo di corte. Gli anziani notarono che Nerone tra gli uomini saliti al potere primum alienae facundiae eguisse (Annales, XIII, 3). Cesare, Augusto, Tiberio, e perfino Caligola, uomo dalla turbata mens, sapevano parlare. Ma Nerone fin dai primi anni vividum animum in alia detorsit : scolpiva, dipingeva, guidava i cavalli e componeva versi non senza cultura letteraria.
Il paragone di Nerone nemmeno diciassettenne con gli altri imperatori, adulti, mostra il limite dell’obiettività di Tacito. Cfr. sine ira et studio.
L’imparzialità dello storico
L’imparzialità è proclamata da Tacito, all’inizio delle Historiae: “incorruptam fidem professis neque amore quisquam et sine odio dicendus est” (I, 1), chi fa professione di veridicità inconcussa deve esprimersi si ciascuno mettendo da parte l’amore e senza odio.
Quindi, nel primo capitolo degli Annales, dove l’autore dichiara che partirà dagli ultimi anni del principato di Augusto, poi procederà raccontando di Tiberio e dei successori sine ira et studio quorum causas procul habeo (I, 1) senza risentimento e partigianeria, di cui tengo lontani i motivi.
Luciano ribadisce la norma dell’imparzialità dello storico: “Toiou'to~ ou\n moi oJ suggrafeu;~ e[stw, a[fobo~, ajdevkasto~, ejleuvqero~, parrhsiva~ kai; ajlhqeiva~ fivlo~…ouj mivsei oujde; filiva/ ti nevmwn oujde; feidovmeno~ h] ejlew'n h] aijscunovmeno~ h] duswpouvmeno~, i[so~ dikasthv~…xevno~ ejn toi'~ biblivoi~ kai; a[poli~, aujtovnomo~, ajbasivleuto~, ouj tiv tw'/de h] tw'/de dovxei logizovmeno~, ajlla; tiv pevpraktai levgwn. J O d j ou\n Qoukidivdh~ eu\ mavla tou't j ejnomoqevthse kai; dievkrinen ajreth;n kai; kakivan suggrafikhvn…[1]”, tale dunque deve essere il mio storiografo,impavido, incorruttibile, libero, amico della libertà di parola e della verità…un uomo che non attribuisce per amicizia e non lesina per odio, o uno che prova compassione o vergogna, o si lascia intimorire, giudice imparziale…straniero nei suoi libri e senza patria, indipendente, non sottoposto al potere, uno che non tiene in alcun conto di cosa sembrerà a questo o a quello, ma che racconta i fatti.
Nerone che discendeva da Antonio e da Ottaviano, spinto dalla madre si impadronì del potere. Nel 55 fu avvelenato Britannico, nel 62 eliminata Ottavia la quale non poté salvarsi nonostante la prudenza: “quamvis rudibus annis, dolorem caritatem, omnis adfectus abscondere didicerat” ( Annales, XIII, 16).
Agrippina era così assatanata dal demonio del potere che quando i Caldei le profetizzarono di Nerone fore ut imperaret matremque occideret, rispose “occīdat, dum impĕret ” (XIV, 9).
E in Cassio Dione: “ajpokteinavto me, movnon basileusavtw ” (61, 2, 2).
Successivamente però si sarebbe pentita.
Comunque i Romani capirono a chi dovevano obbedire: “pa'~ ga;r oJ dunavmei prou[cwn dikaiovtera ajei; kai; levgein kai; pravttein dokei' ” (61, 1, 2), chiunque prevale nella forza sembra parlare e agire nel modo più giusto.
Cfr. Tucidide, V, 105, 2 Gli Ateniesi a Meli: umanità e pure divinità-ou| a]n krath'/, a[rcein, dove ha la forza, comanda.
Il giusto non è altro che l’utile del più forte: nel primo libro della Repubblica il sofista Trasimaco, un rappresentante della filosofia di potenza, sostiene che la giustizia coincide con la convenienza di chi comanda. Egli, raggomitolatosi come una fiera, si dirige contro Socrate come se volesse sbranarlo (336b). Quindi afferma che il giusto non è altro che l'utile del più forte:"fhmi; ga;r ejgw; ei\\\nai to; divkaion oujk a[llo ti h] to; tou' kreivttono" suvmferon" (338c).
Cfr. Leopardi, Zibaldone, 1641: “Ma la morale non è altro che convenienza”.
Bologna 27 ottobre 2024 ore 18, 50 giovanni ghiselli
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