I Romani, non abituati a perdere, rimasero costernati ma il senato rimaneva fermo nella opportuna lucidità h{ ge suvgklhto~ ajll j ejpi; tou' kaqhvkonto~ e[mene logismou' (85-10). Quando però dei rinforzi mandati dall’altro console, Gneo Servilio, vennero annientati da Annibale, lo stesso senato rimase sconvolto. Perciò i senatori decisero di nominare un dittatore. Vennero sospese la funzioni degli altri magistrati, tranne i tribuni.
Quindi Annibale si diresse verso l’Adriatico attraversando l’Umbria e il Piceno. Il dittatore era Quinto Fabio Massimo. Il dittatore è un aujtokravtwr strathgov~ (3, 87, 8). Marco Minucio invece fu nominato ipparco, magister equitum. Annibale attraversò l’Abruzzo (Pretuzi, Marrucini, Frentani) e si diresse verso la Iapigia dove abitavano Dauni (Puglia settentrionale) Peucezi e Messapi. Fabio si accampò a 50 stadi dai nemici. Fabio non dava battaglia. Sulle prime era disprezzato (katefronei'to, 3, 89, 3) ma con il tempo costrinse tutti a dargli ragione. Infatti i Cartaginesi, che avevano rinunciato a tutto, dovevano per forza vincere; i Romani invece potevano aspettare poiché avevano immense possibilità di rifornimento di mezzi e di uomini.
Ma questa tattica non piaceva a Minucio che dava a Fabio del vigliacco. Quindi Annibale passò nel Sannio, tra Puglia e Campania e saccheggiò il territorio di Benevento, colonia romana, e prese Telesia, città senza mura. Poi si diresse verso Capua passando per la zona chiamata Falerno. Era una zona ricca. Capua era una città floridissima. Hanno ragione i mitografi a raccontare che gli dèi hanno litigato per la bellezza e la fertilità di queste pianure delle flegrèe, ossia vulcaniche: qeou;~ ge mh;n mavlista peri; touvtwn eijko;~ hjrikevnai (ejrivzw) dia; to; kavllo~ kai; th;n ajreth;n aujtw'n ( 3, 91, 8). Inoltre era protetta dai monti e dal mare. I Cartaginesi vi si accamparono come in un teatro (w{sper eij~ qevatron, 10) dove avrebbero sbalordito tutti e messo in cattiva luce i Romani che non accettavano la battaglia. Annibale dunque marciava su questa regione e, trovatosi in posizione sfavorevole nei pressi di Teano, arrivò a beffare i Romani con i buoi cui aveva fatto mettere fascine sulle corna. Le bestie che si muovevano con questa legna incendiata furono scambiate per l’esercito nemico e i Romani, per seguirle, abbandonarono il valico da dove potevano controllare i Cartaginesi che si allontanarono. Così, nell’agosto del 217, Annibale potè uscire dalla strettoia dove era rimasto rinchiuso e tornò in Puglia (Livio, 22, 18).
Intanto in Spagna Gneo Cornelio Scipione combatteva con successo (contro Asdrubale) aiutato dai Massalioti (Massaliw`tai, 3, 95, 7) che durante la guerra annibalica furono sempre dalla parte dei Romani.
Il senato inviò in Iberia anche il fratello Publio. Insieme varcarono l’Ebro e si avvicinarono a Sagunto. Abilige, uno dei maggiorenti di Sagunto, tradì i Cartaginesi consegnando ai Romani gli ostaggi iberici che Annibale aveva messo in Sagunto. Quindi Publio li restituì alle famiglie ponendo sotto gli occhi la mitezza e la magnanimità (pra/ovthta kai; megaloyucivan) dei Romani, in contrasto con la perfidia e la crudeltà (ajpistivan kai; baruvthta) dei Cartaginesi (99, 7). (Cfr. Camillo e i Falisci).
Intanto Annibale in Puglia occupava Luceria e Gerunio (Puglia settentrionale) accumulando il grano e il foraggio per i cavalli. Ei\ce ga;r ta;~ pleivsta~ ejlpivda~ th`~ autou` dunavmew~ ejn tw/` tw`n iJppevwn tavgmati (101, 11). In uno scontro presso Gerunio, Marco Minucio ebbe la meglio e Fabio cadde in discredito. I Romani nominarono anche Minucio aujtokravtora (103, 4) convinti che avrebbe concluso la guerra tacevw~. Il tribuno Marco Metello diceva al popolo che Fabio in ducendo bello…tempus terere, quo diutius in magistratu sit ( Livio, 22, 25). Così c’erano duvo diktavtore~, cosa che non era mai avvenuta prima. Ma Fabio non aveva affatto cambiato idea. I due dittatori si divisero le truppe. Annibale ordì un’imboscata (uJpobolhv, 105, 2) all’imprudente Minucio che fu salvato dall’intervento di Fabio. A Roma allora capirono la differenza tra la temerarietà (provpeteia) con la vanagloria (kenodoxiva) di un soldato, e la previdenza provnoia con il calcolo fermo (logismov~ eJstwv~) e prudente di un generale.
Nel marzo del 216 vennero eletti consoli Emilio Paolo e Terenzio Varrone. In giugno Annibale occupò Canne, un deposito di grano, sulla riva destra del basso corso dell’Ofanto. Il senato inviò i due consoli, guardando con maggiore fiducia a Emilio che aveva combattuto gli Illiri con coraggio e profitto (ajndrwdw`~ a{ma kai; sumferovntw~ , 3, 107, 8). I consoli misero in campo otto legioni di cinquemila fanti e trecento cavalieri, esclusi gli alleati. Circa 86 mila uomini.
Livio dice 87200 (22, 36).
Emilio parla ai soldati dicendo che oramai conoscono il nemico e possono affrontarlo con forze più che doppie. Con la volontà (bouvlhsi~) e il coraggio (proqumiva 10), otterremo la necessaria vittoria. Alla fine di luglio i Romani si accamparono a 10 km di distanza (50 stadi) dai Cartaginesi. Lucio non voleva combattere in un luogo piano iJppokratouvntwn tw`n polemivwn (III, 110, 2) poiché i nemici erano superiori nella cavalleria, ma Varrone per inesperienza era di parere opposto, e questa ajmfisbhvthsi~ controversia kai; duscrhstiva difficoltà era pavntwn sfalerwvtaton (110, 3) la cosa più perniciosa. Ci fu un primo scontro sfavorevole ad Annibale che poi parlò ai soldati facendo notare la situazione ancora favorevole a loro e che lui non aveva mai mentito facendo promesse: avevano in pugno la conquista dell’Italia. Diovper oujkevti lovgwn, ajll j e[rgwn ejsti;n hJ creiva (111, 10), perciò non servono più parole ma fatti. A ogni uomo riesce insopportabile il tempo dell’attesa baruvtato~ ga;r dh; pa`sin ajnqrwvpoi~ oJ tou` mevllein crovno~ (112, 5), e una volta presa una decisione ci affrettiamo ad attuarla anche affrontando sofferenze.
Cfr. A. Magno quando volle bere la medicina “sospetta” di Filippo acarnano (333 a. C.). Era il medico di fiducia, pure amico di Al., ma da Parmenione, fidissimo purpuratorum, 3, 6, 4, il più fido dei suoi dignitari porporati[1], il re ricevette una lettera con l’avveryimemnto avvertiva che Filippo era stato corrotto. Qualunque cosa poteva sopportare Alessandro più facilmente che l’indugio: “omnia quippe facilius quam moram perpeti poterat” (Curzio Rufo, 3, 6, 3).
A Roma c’era grande paura e si facevano voti, sacrifici suppliche. Infatti i Romani nelle situazioni critiche sono deinoiv (3,112, 9) nel propiziarsi dèi e uomini e in certi momenti non c’è niente che ritengano sconveniente o ignobile.
Il giorno seguente il comando toccava a Gaio Terenzio. Unì i due eserciti: tutto il fronte dello schieramento era rivolto verso sud pro;~ meshmbrivan (III, 113, 3). Lo schieramento riduceva lo spazio tra i manipoli rendendo più compatto l’esercito. Annibale dispose la cavalleria alle ali per accerchiare le forze romane che avrebbero fatto pressione sul centro cartaginese inizialmente convesso.. Annibale stava al centro con suo fratello Magone. Lucio Emilio colpito in più parti morì, mentre Terenzio fuggì a Venosa vergognosamente, uomo che non aveva fatto nulla di buono per la sua patria (III, 116, 13). E’ il solito pregiudizio antipopolare. In settantamila circa (eij~ eJpta; muriavda~, 117, 4) morirono da eroi. Livio (22, 49) parla di circa 50 mila morti tra Romani e soci. Annibale perse meno di 5 mila uomini. Taranto passò subito dalla parte di Annibale e i Cartaginesi divennero padroni di quasi tutta la costa. Poco dopo il pretore Postumio Albino cadde in un’imboscata nella pianura padana.
Ma i Romani seppero reagire e in poco tempo si rifecero divenendo dominatori del mondo intero. Annibale fece 8000 prigionieri e mandò dieci di loro delegati a Roma per trattare il riscatto. Questi dovettero giurare che sarebbero tornati. Uno, appena uscito, tornò indietro dicendo che aveva dimenticato una cosa. Poi si disse che aveva già soddisfatto al giuramento. Ma i senatori non vollero venire meno alla loro dignità cedendo alla sventura ( Polibio, VI, 58, 8). Annibale voleva spengere il senso dell’onore nei nemici e il senato non cadde nella trappola. Rimandarono indietro i nove, il decimo che aveva agito d’astuzia lo rimandarono incatenato. Annibale rimase moralmente abbattuto vedendo la risolutezza e il senso di onore dei Romani (VI, 58, 13). Bologna 25 ottobre 2024 ore 16, 50 giovanni ghiselli
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[1] Verraà fatto ammazzare da Alessandro nel 330 a. C., in seguito alla congiura di Filota.. Anche in questo caso la porpora è segno di morte.
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