Scalfari e la nostalgia. Citazione confusa.
Eugenio Scalari in “la Repubblica” del 23 agosto 2015 cita papa Francesco: “Il mito di Ulisse ci parla del “nostos algos”, la nostalgia, che può provare soddisfazione solo in una realtà infinita” (Quando un Papa cita Ulisse e si oppone al potere temporale, p. 27).
A dire il vero Odisseo aveva nostalgia della piccola Itaca e non di una realtà infinita. Atena dice a Zeus che Calipso trattiene Odisseo a Ogigia, dove c’è l’ombelico del mare (ojmfalo;" qalavssh", Odissea, I, 50) contro la sua volontà: egli vuole morire dal desiderio di scorgere anche solo il fumo che balza dalla sua terra (vv. 56-58).
Non poche volte i Greci sono citati quasi a vanvera, data la scarsa conoscenza dei loro testi.
Scalfari continua: “Che io sappia nessun Papa aveva evocato il mito odisseaco, l’eroe moderno per eccellenza che Dante, pur collocandolo all’inferno, eleva alle vette più alte del pensiero”. Segue la citazione piuttosto scontata e ovvia di “Considerate la vostra semenza” et cetera.
Molte parole, quelle di Scalfari, che non dicono molto.
Orbilio, il maestro plagosus e la presunta “repulsione dei giovani verso i testi antichi”.
Nella Domenica di “Il sole 24 ore” del 23 agosto 2015 c’è un altro articolo che poteva non essere scritto: Lamento di Orazio sul maestro (p. 22). E’ la storia del plagosus Orbilio[1] che una volta era nota a qualsiasi studente di Liceo. L’autore, Alessandro Banda, ricorda dunque che il maestro di Orazio picchiava gli allievi distratti: “Li motivava adeguatamente. Come? A suon di sganassoni. O meglio: di nerbate. Orazio, a tanti anni di distanza, descrive il maestro con un unico aggettivo: manesco, in latino plagosus. In effetti plagosus viene da plaga: ferita. Orbilio non metteva le mani addosso direttamente. Si serviva della ferula, della verga tipica dei maestri e con quella provocava lividi e ferite agli inermi studenti. Forse si potrebbe rendere quel plagosus con un più ardito “contundente”. Orbilio maestro contundente”.
Fin qui l’articolista ha fatto un poco di cronaca pettegola, ma più avanti entra nel merito degli auctores. Vediamo come: “E’, crediamo, abbastanza istruttivo notare come, pur con tutte le differenze del caso, sia rimasta ancor oggi la situazione fondamentale descritta da Orazio: la repulsione dei giovani verso i testi antichi, da loro considerati insignificanti e invece reputati sacri dai maestri. I nomi di questi testi possono cambiare: Divina Commedia, Canzoniere, Promessi Sposi eccetera; l’avversione, la resistenza dei giovani è la stessa; naturalmente siamo tutti contenti che verghe, scudisci, fruste, flagelli e affini siano spariti definitivamente dal panorama scolastico”.
Questo gazzettiere non dice che già Quintiliano aveva bandito le botte dei maestri agli scolari come offensive e diseducative, e soprattutto non dice che la repulsione dei giovani non è diretta agli autori ma al modo insignificante con cui vengono presentati da maestri davvero repellenti. I bravi maestri fanno innamorare gli allievi, quando gli scrittori vengono presentati con intelligenza e vivacità.
Le mie conferenze sugli autori greci e latini suscitano interesse, talora persino entusiasmo.
Sentiamo dunque Quintiliano: “Caedi discentes minime velim (…) Primum, quia deforme atque servile est (Institutio oratoria, I, 3, 13), non posso minimamente approvare che gli scolari vemgano percosi. Innanzitutto erché è cosa brutta e degna di schiavi.
Presunte analogie tra Enea e il partigiano di Fenoglio
Un utilizzo quanto meno improprio di un testo classico è quello che fa
Massimo Novelli in “la Repubblica de 26 agosto 2015 (Johnny come Enea l’epica del partigiano. Il critico Pedullà individua nel poema di Virgilio il riferimento ideale di Fenoglio p. 39).
Un partigiano che si oppone al potere e alla sua prepotenza non ha nulla a che vedere con Enea che ha il compito di fondare l’impero romano, né con Virgilio che adula in modo smaccato e servile il capo di questo impero genealogizzato con Enea. Leggiamo due righe di questo articolo fasullo: “Pedullà mette in luce, a ragione, le analogie con Enea, che, come una quercia robusta nelle bore delle Alpi, resiste con virile fermezza alle suppliche di Didone.”
Enea che non fa una piega davanti alle suppliche di Didone viene paragonato a una valida quercus ( Eneide, IV, 441) che rimane abbarbicata alle rocce (haeret scopulis, 445) quando viene colpita dagli aquiloni alpini.
In realtà Enea è spaventato dall’ordine di Giove, recatogli da Mercurio, di abbandonare Didone che lo aveva aiutato e che lui aveva sedotto, con l’aiuto della madre Venere. Enea è un attore, un funzionario del destino di Roma e si comporta come una marionetta mossa dal fato. Ovidio lo mette nella categoria dei seduttori, con Teseo e Giasone, e nega che gli si possa attribuire la pietas sbandierata a più riprese nell’Eneide.
Il poeta Peligno afferma che gli uomini ingannano spesso, più spesso delle tenere fanciulle (saepe viri fallunt, tenerae non saepe puellae, Ars, III, 31), quindi aggiunge Enea al duetto dei seduttori perfidi, il fallax Iaso (Ars, III, 33) e Teseo[2]: "et famam pietatis habet, tamen hospes et ensem[3]/praebuit et causam mortis, Elissa, tuae" (Ars, III, 39-40), ha la nomèa di uomo pio, tuttavia da ospite ti offrì la spada e il motivo della morte tua, Elissa.
In A midsummer-night’s dream, Hermia accoglie questa interpretazione di Enea e lo menziona come amante infido: “when the false Troyan under sail was seen” (I, 1), quando il Troiano falso fu visto alzare la vela.
Dunque Enea, con buona pace del critico Pedullà, non è il paradigma mitico del partigiano di Fenoglio, ma, eventualmente dei politici attuali manovrati dai burattinai delle banche.
Nel romanzo La montagna incantata di T. Mann, Naphta disprezza Virgilio e la poesia latina. Afferma che Virgilio era un laureato di corte e il leccapiedi della stirpe Giulia (p. 769) un letterato metropolitano, un retore pomposo senza nessuna scintilla di creatività.
Bologna 30 ottobre 2024 ore 11, 02 giovanni ghiselli
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[1] Epistole II, 1, 70-71. Il maestro manesco volevacostringere i ragazzi a leggere gli antiquati carmina Livi,. ndr
[2] Tanto perfido questo che, se fosse dipeso da lui, Arianna avrebbe nutrito gli uccelli marini (Ars, III, 35-36). La Fedra di Seneca entrando in scena, afferma che la fedeltà di Teseo è quella di sempre: “stupra et illicitos toros/Acheronte in imo quaerit Hippolyti pater” ( Fedra, vv. 97-98), cerca adulterii e letti illegittimi il padre di Ippolito in fondo all’Acheronte. Interessante è la versione dell’Odissea (11, 324-325) : Artemide uccise Arianna in Dia in seguito alle accuse di Dioniso abbandonato per Teseo che comunque rimane il seduttore principe.
[3] Spada lasciata da Enea ( Eneide, IV, 507) e impiegata quale dono funesto (non hos quaesitum munus in usus., Eneide, IV, 647, dono richiesto non per questo uso.
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