Critiche alla democrazia, assimilabili a quanto si dice ora sul “populismo”. Aristofane, Senofonte, Platone, Il “Vecchio oligarca” Aristotele, Polibio, Cicerone.
Il termine dhmokrativa non significa per tutti libertà né uguaglianza di fronte alla legge.
Oggi nei giornali si critica il populismo e si fa rientrare in questa categoria ogni opposizione a governi magari neppure eletti dal popolo.
Vediamo allora alcune critiche alla democrazia negli autori antichi
Aristofane, in forma comica, poi Senofonte, Platone Aristotele e Polibio denunciano la demagogia, il disordine, la corruzione e la prepotenza che possono annidarsi in questo sistema.
Aristofane nelle Vespe fa dire a Filocleone, uno dei giudici parziali del tribunale popolare dell’Eliea, che questi magistrati-gli eliasti- potevano approfittare della carica e non dovevano rendere conto del male che facevano (ajnupeuvqunoi drw`men, 587). Si comportavano dunque come i tiranni
Sicché, davanti agli Eliasti se la fanno sotto i ricchi
ejgkecovdasiv m j oiJ ploutou`nteς (627). Perfetto di ejgcevzw.
Un episodio storico che mostra la prepotenza del popolo è quello della condanna sommaria degli strateghi pur vincitori della battaglia delle Arginuse (406 a. C.).
Chi si opponeva alla proposta di condanna sosteneva che questa era illegale poiché non distingueva le responsabilità individuali: tra costoro c'erano alcuni pritani, tra cui Socrate, ossia presidenti di turno del consiglio, che si rifiutarono di proporre la votazione contraria alla legge. Ma Callisseno raddoppiò la razione di odio contro i difensori della legalità e la massa minacciò quanti non volevano mettere ai voti il giudizio capitale.
Senofonte, Elleniche I, 7, 15.
L'unico dei pritani che non si lasciò spaventare fu Socrate il quale si rifiutò di mettere ai voti la proposta contraria alla legge.
:" E i pritani, spaventati, accettavano tutti di mettere ai voti la proposta, tranne Socrate figlio di Sofronisco: questo diceva che non avrebbe fatto nulla se non secondo la legge".
-prutavnei": i prităni erano i cinquanta consiglieri,
rappresentanti di una delle dieci tribù, che per una decima parte dell'anno
presiedevano la boulhv, a turno, guidati da un ejpistavth" tw'n prutavnewn, presidente dei pritani, che
mutava giornalmente
La parte eroica di Socrate in seguito alla battaglia delle Arginuse. Sconvolgimenti successivi.
il maestro di Senofonte, di Platone, ma pure del trasgressivo Alcibiade, si rifiuta qui, come nel Critone di andare contro la legge. Nel dialogo platonico le leggi personificate parlano al vecchio educatore condannato a morte e lo esortano a dare retta a loro che sono le sue nutrici:"peiqovmeno" hJmi'n toi'" soi'" trofeu'si"[1], e di morire pensando di avere ricevuto offesa non da loro, bensì dagli uomini.
Questo dialogo platonico tratta delle ultime ore del maestro.
L’ episodio del processo agli strateghi delle Arginuse raccontato da Senofonte nelle Elleniche viene ricordato anche da Platone, nell'Apologia dove Socrate ricorda di non avere mai avuto cariche ma di avere fatto parte della boulhv (" ejbouvleusa dev") e mentre la sua tribù, la Antiochide, esercitava la pritania, gli Ateniesi vollero giudicare tutti insieme e illegalmente ("ajqrovou" krivnein, paranovmw"") gli strateghi che non avevano recuperato gli uomini della battaglia navale delle Arginuse; ebbene in quell'occasione, ricorda ancora il vecchio a sua volta processato: " ejgw; movno" tw'n prutavnewn hjnantiwvqhn uJmi'n mhde;n poiei'n para; tou;" novmou" kai; ejnantiva ejyhfisavmhn"[2], io solo tra i pritani mi opposi a che voi agiste contro la legge e votai contro;
e mentre gli oratori denunciavano, e voi li incitavate e gridavate, io pensai di dover correre dei rischi con la legge e la giustizia piuttosto che essere con voi mentre stavate decidendo l'ingiustizia ("meta; tou' novmou kai; tou' dikaivou w[/mhn ma'llovn me dei'n diakinduneuvein h] meq j uJmw'n genevsqai mh; divkaia bouleuomevnwn"), per paura del carcere o della morte. Anche qui si vede l’amore di Socrate per il rischio (cfr. il dialogo Fedone)
Senofonte ci racconta quale parte ebbe Socrate in questa storia anche nei Memorabili , uno scritto socratico in quattro libri che presenta il maestro come un uomo probo e onesto, rispettoso della religione e delle leggi, valida guida morale nella vita pratica. Ebbene nel primo libro leggiamo che in questa circostanza Socrate era ejpistavth", una sorta di presidente del consiglio , e che in tale altissima funzione non volle mettere ai voti la proposta di mandare a morte tutti gli strateghi con una sola votazione, nonostante l'ira del popolo contro di lui e le minacce di molti potenti ("oujk hjqevlhsen ejpiyhfivsai, ojrgizomevnou me;n aujtw'/ tou' dhvmou, pollw'n de; kai; dunatw'n ajpeilouvntwn", I, 1, 18). Non volle infatti ingraziarsi il popolo a costo di trasgredire il giuramento fatto.
Quest'opera è più in generale apologetica della figura di Socrate che viene difeso anche dall'accusa di essere stato "cattivo maestro" di Alcibiade e Crizia, il sanguinario capo dei trenta tiranni, con il motivo dei "cattivi allievi" i cui istinti malvagi si scatenarono dopo essersi allontanati dall'educatore che infatti li teneva a freno (Memorabili , I, 2, 24 e sgg.).
Durante il processo ci fu dunque un tentativo di difesa, ma nella massa era stato inoculato l'odio e il desiderio del capro espiatorio ed essa gridava che era grave se qualcuno non permetterva al popolo di fare quanto voleva ("to; de; plh'qo" ejbova deino;n ei\nai, eij mhv ti" ejavsei to;n dh'mon pravttein o} a]n bouvlhtai", Senofonte, Elleniche, I, 7, 12).
"E' la rivendicazione che riecheggia minacciosamente in assemblea ad Atene durante il processo popolare contro i generali delle Arginuse", ed è "la formula che caratterizza, secondo Polibio, la degenerazione della democrazia (VI, 4, 4:" quando il popolo è padrone di fare quello che vuole")”.[3]
Sentiamo direttamentr Polibio: “paraplhsivw~ oujde; dhmokrativan, ejn h|/ pa'n plh'qo~ kuvriovn ejsti poiei'n o[ ti pot j a]n aujto; boulhqh'/ kai; proqh'tai” (6, 4 , 4), similmente non è democrazia quella in cui la massa sia padrona di fare tutto ciò che voglia e preferisca; invece, continua lo storiografo, lo è quella presso la quale è tradizionale e abituale venerare gli dèi, onorare i genitori, rispettare gli anziani, obbedire alle leggi; presso tali comunità, quando prevale il parere dei più (o{tan to; toi'~ pleivosi dovxan nika'/), questo bisogna chiamare democrazia.
Il fatto che Polibio più avanti scriva (9, 23, 8) che ai tempi di Pericle ad Atene gli atti crudeli erano pochi (ojlivga me;n ta; pikrav) mentre prevalevano quelli buoni e santi (polla; de; ta; crhsta; kai; semnav) fa pensare che lo storico considerava se non “vanificata”, certo “contenuta” e limitata da Pericle, la prepotenza del plh'qo~ nel primo periodo della democrazia radicale.
Platone nell'VIII libro della Repubblica biasima la mancanza di serietà della democrazia, una costituzione che non si dà pensiero delle abitudini morali di chi fa politica, ma onora uno solo che dica di essere amico del popolo (eja;n fh'/ movnon eu[nou" ei\nai tw'/ plhvqei).
E' dunque una costituzione "populista", piacevole, anarchica e variopinta, una costituzione dalla tollerranza (suggnwvmh) eccessiva di vizi e debolezze e tale che distribuisce una certa uguaglianza nello stesso modo a uguali e disuguali (hJdei'a politeiva kai; a[narco" kai; poikivlh, ijsovthtav tina oJmoivw~ i[soi~ te kai; ajnivsoi~ dianevmousa, 558c).
Ora viene tolta la tassa sulla prima casa a tutti, senza distinzione.
E' un'uguaglianza divaricata dalla giustizia dunque, se è vero quanto dice Don Milani: "Perché non c'è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali"[4].
Io credo pure che sia ancora più ingiusto fare parti troppo diverse tra persone che sono sostanzialmente uguali come siamo noi uomini.
I demagoghi più infamati dalla commedia antica furono Cleone, Iperbolo e Cleofonte.Tucidide infama Cleone.
Platone non salva nemmeno Pericle.
Nel Gorgia , 518 e sgg. Socrate dice che i capi hanno rimpinzato i cittadini e hanno reso la città non grande bensì malsanamente gonfia, riempiendola di porti, arsenali, mura, tributi e mille altre sciocchezze di questo genere, senza occuparsi della saggezza né della giustizia.
Corrisponde allo “sviluppo senza progresso” di Pasolini.
Sicché Atene:"oijdei' kai; u{poulov" ejstin" (518e), è gonfia e purulenta.
I vari Temistocle, Cimone e Pericle insomma furono diavkonoi povlew", servitori dello Stato (517b) ma non educatori.
Una critica radicale della democrazia si trova nella Costituzione degli Ateniesi dello Pseudo Senofonte. L’anonimo autore chiamato “il vecchio oligarca”, da August Boeck, potrebbe essere identificato con Crizia, cervello e capo politico dei “Trenta tiranni”. Questo scrittore di parte oligarchica sostiene che nel popolo c’è il massimo di ignoranza, di disordine e malvagità: la povertà infatti spinge piuttosto alle turpitudini, come la mancanza di educazione e l’ignoranza che in alcuni nasce dall’indigenza (1, 5).
Il dialogante A biasima la democrazia come prepotenza del popolo, e sostiene che essa è la conseguenza dell’impero marittimo: la canaglia ha preso il potere e ha reso forte la città o{ti oJ dh'mo;~ ejstin oJ ejlauvnwn ta;~ nau'~ (1, 2), in quanto è il popolo che fa andare le navi.
Pasolini negli Scritti corsari chiama sviluppo senza progresso: in Italia la classe dominante ha scisso sviluppo materiale e progresso culturale-morale.
Del resto anche i fautori attuali del solo benessere materiale hanno un paradigma greco: in A Nicocle (composta fra il 373 e il 370) Isocrate scrive che il principe deve rendere la sua città più grande e più forte.
C'è una fede fortemente materialistica nel benessere.
"Credo che tutti debbano essere d'accordo su questo: che ai principi convenga porre termine alla miseria della polis, conservarne il benessere, kai; megavlhn ejk mikra`~ poih`sai (9)
Lo stato secondo Isocrate non ha tanto il compito di educare i cittadini quanto quello di portarli ad una grandezza e prosperità materiale.
Vediamo ora Aristotele il quale nella Politica (1292a) scrive che dove non comandano le leggi non c’è costituzione: o{pou ga;r mh; novmoi a[rcousin, oujk e[sti politeiva.
Lo Stato deve avere un fine etico e perseguire il bene
La Politeia è l’ordinamento di quelli che abitano la polis (1284a).
Platone aveva messo la classe dei guerrieri tra i filosofi e il popolo.
Aristotele vorrebbe che predominasse la classe media (Politica 1295a, 35: mesovthta de; th;n ajrethvn la medietà è virtù-
La costituzione è in qualche modo la vita stessa della città- hj ga;r politevia bivo~ ti~ ejsti povlew~- La misura e la medietà sono la cosa migliore-to, mevtrion a[riston kai; to, mevson , pertanto un possesso medio di ricchezze-hj kh`si~ hj mevsh è la situazione migliore di tutte-beltivsth pavntwn-
Tirannide è la degenerazione (parevkbasi") del regno (basileiva"), l’oligarchia della aristocrazia; dhmokrativa th'" politeiva" (1279b) la democrazia è degenerazione del regime costituzionale.
Infatti la tirannide è fatta pro;" to; sumfevron tou' monarcou'nto" per il vantaggio di chi comanda da solo; l’oligarchia pro;" to; tw'n eujpovrwn per quello dei ricchi, la dhmokrativa pro;" to; sumfevron to; tw'n ajpovrwn, per l’utile dei poveri, e nessuna per il vantaggio di tutti (Politica 1279b, 4)
Nella Costituzione degli Ateniesi (41) Aristotele passa in rassegna 11 regimi succeduti ad Atene. Biasima la riforma di Efialte (462 a. C.) che ridusse i poteri dell’Areopago. Da allora i governi commisero più errori a causa dei demagoghi. Dopo la tirannide dei Trenta, il popolo si è reso padrone assoluto di ogni cosa.
Anche Cicerone biasima il potere eccessivo del popolo: “Si vero populus plurimum potest omniaque eius arbitrio reguntur, dicitur illa libertas, est vero licentia” ( de rep., 3, 23), se poi il popolo ha il massimo potere e tutto viene retto secondo il suo arbitrio, quella si chiama libertà, ma è piuttosto licenza.
Queste dunque sono le critiche degli antichi alla democrazia che comprende la parola kravto~, e mette in rilievo il potere, la potenza, fino alla pre-potenza del popolo.
Elogi della classe media. Euripide (Supplici, Oreste), Platone, Leggi. Curzio Maltese ne deplora la demolizione.
La graduale sparizione della classe media viene spesso segnalata e generalmente deplorata dai giornalisti e dai politici che ne hanno sempre cercato il sostegno
La teoria della classe media viene propugnata da Euripide.
nelle Supplici del 422 .
"Teseo si produce in un'esaltazione del sistema democratico...replicando alle accuse dell'araldo, puntualizza un aspetto della democrazia: mentre nella città governata da un tiranno la legge è del tutto arbitraria, in un regime democratico (Eur. Suppl. 433-437) le leggi sono scritte (gegrammevnwn tw'n novmwn), la giustizia è uguale per il debole e per il ricco”[5].
Teseo dunque propugna l’uguaglianza davanti alle leggi e dice all’araldo tebano mandato da Creonte che quando c’è un tiranno non esistono più leggi comuni (novmoi- koinoiv, vv. 430-431).
E procede: “gegrammevnwn de; tw'n novmwn o{ t’ ajsqenh;~-oJ plouvsiov~ te th;n divkhn i[shn ecei ” (vv. 433-434), quando ci sono le leggi scritte il debole e il ricco hanno gli stessi diritti.
Quindi il re democratico, paradigma mitico di Pericle, espone la teoria della classe media.
Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi (o[lbioi) sono inutili e desiderano avere sempre di più (ajnwfelei`~ te pleiovnwn tj ejrw`s j ajeiv, 239); quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono terribili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano strali terribili (kentr j ajfia`sin kakav, 242) contro i possidenti.
Nelle Leggi di Platone, l’Ateniese dice che una volta i cittadini non erano poveri e non erano costretti dalla povertà ad essere ostili tra loro, né erano ricchi poiché non disponevano di oro né di argento. E, dunque, nella comunità (sunoikiva) in cui non si trovi a coabitare (sunoikh'/) la ricchezza (plou'to") con la povertà (peniva) possono risultare nobilissimi caratteri gennaiovtata h[qh, mentre non vi allignano u[bri", ou[t j ajdikiva, e nemmeno zh'loiv te au\ kai; fqovnoi” (679b) gelosie e invidie
Ecco la conclusione del Teseo di Euripide:"Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous j o{ntin j a]n tavxh/ povli"", ( Supplici, vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone.
Anche Plutarco nella Vita di Teseo mette in rilievo la cura del figlio di Egeo per l’ordine: egli unificò gli abitanti e fondò la democrazia dell’Attica ma non permise che la popolazione, risultante da una massa indistinta riversatasi là, fosse disorganizzata e confusa (ouj mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den, 25, 2).
Quanto all’essere un re democratico, vera anticipazione di Pericle che teneva in pugno la massa lasciandola libera[6], Plutarco scrive che Teseo compì un’impresa grande e meravigliosa (mevga kai; qaumasto;n e[rgon, 24), cioè riunì in una città (sunw/vkise eij~ e{n a[stu) gli abitanti dell’Attica, e li rese un popolo unico, mentre prima erano separati e difficili da convocare per trattare problemi di interesse comune (pro;~ to; koino;n pavntwn sumfevron). Si recava presso ogni famiglia per persuaderli. I poveri acconsentirono subito, ai ricchi propose una ajbasivleuton politeivan kai; dhmokrativan, e riservò a se stesso solo il comando dll’esercito e la custodia delle leggi, assicurando per tutto il resto uguaglianza di diritti (ijsomoirivan, 24, 2).
Hölderlin ricorda queste parole in Iperione: “Certo, anche il cielo e la terra hanno favorito gli Ateniesi, come tutti i Greci, risparmiando loro sia la povertà che la sovrabbondanza (…) A questo s’aggiunse il gesto grande e ammirevole di Teseo : la spontanea limitazione del potere regale”[7]
La teoria della bontà della via di mezzo e della classe media si ripropone negli anni successivi.
Nell'Elettra[8] di Euripide, Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma, aggiunge, la povertà ha una malattia:"didavskei d ' a[ndra th'/ creiva/ kakovn "(v. 375), nel bisogno, insegna all'uomo a fare il male.
Concludo con l’Oreste (del 408). Euripide “ vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[9]-ricorda da vicino Suppl. 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[10].
Ebbene in “il venerdì” del quotidiano “la Repubblica” del 17 luglio 2015 Curzio Maltese deplora la demolizione della classe media: “La globalizzazione non governata, lungi dal produrre benessere e democrazia diffusi, ha demolito i ceti medi anche nei paesi più ricchi e favorito l’avanzare di fanatismi di ogni tipo, di nuovi e terrificanti conflitti” (p. 6)
Bologna 22 ottobre 2024 ore 10, 28 giovanni ghiselli
[1] Platone, Critone , 54b.
[2]Platone, Apologia di Socrate , 32b.
[3]Canfora, Lo Spazio Letterario Della Grecia Antica , Volume I, Tomo II, p. 835.
[4] Lettera a una professoressa, p. 55.
[6] Tucidide fa l'elogio finale di Pericle dicendo che era incorruttibile al denaro e teneva in pugno la massa lasciandola libera ("katei'ce to; plh'qo" ejleuqevrw"") e non si faceva condurre più di quanto la conducesse (II, 65, 8).
[7] Trad, it. Guanda, Milano, 1981, p. 98.
[8] Probabilmente degli anni intorno al 415.
[9]Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.
[10]Di Benedetto, op. cit., p. 208.
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