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Gli Augustiani soldati dei suoi trionfi. L’imperatore amava il teatro che Cristiani e Puritani hanno esecrato nei secoli. Paolo suggerisce l’obbedienza al potere: “non est enim potestas nisi a Deo”.
Nerone si circonda degli Augustiani, dei propagandisti culturali, una specie di Accademia neroniana. Dovevano anche applaudire le sue esibizioni (Svetonio, 25: si proclamavano Augustianos militesque triumphi eus, Augustiani e soldati del suo trionfo.
Cassio Dione. 61, 20, 4: “Aujgouvsteioiv te wjnomavzonto kai; ejxh'rcon tw'n ejpaivnwn”) Erano gli iniziatori, quelli che davano il via agli applausi, una specie di claque.
Oggi vediamo in televisione i sostenitori della maggioranza che danno l’abbrivio agli applausi diretti al governo; quelli dell’opposizione che celebrano la democrazia che dobbiamo difendere a tutti i costi. Né gli uni né gli altri provano a fare una critica. A parte poche eccezioni. Basterebbe dire che in una nazione dove milioni di persone soffrono la povertà non c’è democrazia. Se lo dicessero non li inviterebbero più alle trasmissioni televisive. Non cè nemmeno la Parresia che è la cellula della democrazia.
Nerone istituì nel 59 questo corpo di “giovani cavalieri romani che applaudivano giorno e notte” (Champlin, 78).
Gli Augustiani sono organizzati secondo il modello dell’efebia attica. Cassio Dione nomina oiJ iJppei'~ swmatofuvlake~ (61, 9), i cavalieri guardie del corpo che già nel 55 prefigurano questo corpo costituito nel 59.
Tacito dice che erano aetate ac robore conspicui giovani e prestanti, e che applaudivano la bellezza e la voce del principe: “formam principis vocemque” (Annales. XIV, 15). Erano uomini di punta del neronismo: accompagnarono l’imperatore in Grecia e gli fecero erigere una statua trionfale (C. D. 63, 18, 3).
Contro il teatro
Gli spettacoli: il circo, l’anfiteatro, il teatro. Biasimi degli spettacoli
Per gli spettacoli pubblici c’erano tre luoghi: il Circo Massimo dalla lunga struttura ellittica per le gare dei carri, lo spettacolo più popolare. Poteva contenere 150 mila spettatori.
L’anfiteatro, alto cilindro aperto, grosso modo circolare, dove combattevano i gladiatori, si inscenavano battaglie navali o cacce a belve feroci.
Il Colosseo fatto costruire dai Flavi era capace di 70-80 mila spettatori.
Poi c’era il teatro semicircolare per le rappresentazioni drammatiche e musicali. l più importanti quello di Pompeo (12 mila spettatori), costruito nel campo Marzio, poi quello di Marcello (13mila) e quello di Balbo (8 mila). Il civis romanus era homo spectator.
Oggi in Italia segnalo il teatro greco di Siracusa e in Grecia quello di Epidauro. Chi vuole curare l’anima e lo spirito li raggiunga in bicicletta.
Platone[1] critica gli agoni drammatici frequentati troppo spesso, e male, da un pubblico becero, trascinato dalla musica caotica diffusa da poeti ignoranti, maestri di disordinate trasgressioni, i quali mescolavano peani con ditirambi, confondendo, appunto, tutto con tutto (pavnta eij~ pavnta sunavgonte~, Leggi, 700d); di conseguenza le cavee dei teatri divennero da silenziose vocianti, e al posto dell’aristocrazia del gusto subentrò una sfacciata teatrocrazia per quanto riguarda quest’arte (701). Come se fossero stati tutti sapienti, diventarono impavidi e l'audacia generò l'impudenza (701b).
Seneca condanna l'efferatezza dei giochi circensi quali mera omicidia ( Ep. 7), omicidi veri e propri.
Cicerone invece nel Pro Sestio (106) afferma che il popolo romano può esprimere i propri giudizi e sentimenti soprattutto in tre luoghi: le assemblee, i seggi elettorali, i giochi e gli spettacoli gladiatorii .
Nel Dialogus de oratoribus [2] di Tacito[3] Messalla biasima i vizi particolari di Roma propria et peculiaria huius urbis vitia , che sono quasi insiti nel DNA dei Romani si direbbe ora:"paene in utero matris concipi mihi videntur, histrionalis favor et gladiatorum equorumque studia" ( 29), sembrano quasi concepiti nello stesso grembo materno, la simpatia per gli istrioni, la passione per i gladiatori e i cavalli. Nell'animo dei ragazzi occupatus et obsessus, occupato e bloccato da tali studia, non rimane spazio per l'interesse nei confronti delle arti liberali. Questo avvertimento può essere attualizzato con la passione per i cellulari e per il rumore.
L' histrionale studium del gaglioffo Percennio, per esempio, la sua esperienza di attore, e il suo essere stato dux olim theatralium operarum (Tacito, Annales, I, 16) un capo della claque teatrale, ne fa un duce acclamato dalla truppa durante la rivolta delle legioni della Pannonia successiva alla morte di Augusto.
Tertulliano[4] nell’ Apologeticum [5] afferma che i sensi puri dei cristiani non hanno nulla in comune con la follia del circo né con l'impudicizia del teatro (cum impudicitia theatri ) né con la crudeltà dell'arena (cum atrocitate arenae) né con la vanità del portico (38).
Quindi nel De spectaculis [6] l’apologista predica contro teatri e circhi in quanto tutta la messinscena degli spettacoli trae la sua essenza ex idolatrīa (IV, 3) dall'idolatria.
Sant'Agostino nelle Confessiones[7] definisce miserabilis insania la passione per il teatro, una follia da lui stesso provata quando lo trascinavano gli spettacoli teatrali "plena imaginibus miseriarum mearum et fomitibus ignis mei" (III, 2), pieni di immagini delle mie miserie e di esche del mio fuoco.
Nel De civitate Dei [8] Agostino sostiene che i ludi scenici, introdotti a Roma[9] per placare la pestilenza dei corpi, importarono dall'Etruria la pestilenza nei costumi. Infatti il pontefice, per sedare la pestilenza delle anime, proibiva addirittura la costruzione del teatro (I, 32).
Insomma il teatro, che tratta spesso della peste[10], è esso stesso latore di peste.
In Madame Bovary il curato di Yonville sembra condividere l'opinione di Ovidio sul lenocinio dei teatri, i quali perciò, dato il punto di vista critico del prete autorizzato da "tutti i Santi Padri", vengono sconsigliati:"So anch'io" obiettò il curato, "che esistono buone opere, buoni autori, tuttavia, non fosse altro, tante persone di sesso diverso riunite in un locale seducente, ornato di pompe mondane, e poi tutti quei travestimenti pagani, tutto quel belletto, tutti quei candelabri, tutte quelle voci effemminate, tutto insomma deve ingenerare alla fin fine un certo libertinaggio dello spirito e suggerirti pensieri disdicevoli, tentazioni impure. Almeno questa è l'opinione di tutti i Santi Padri. Infine…se la chiesa ha condannato gli spettacoli, significa che aveva la sua ragione di farlo: occorre sottometterci ai suoi decreti"[11].
Questa linea platonico-cristiana di avversione per gli spettacoli teatrali si riscontra fra i Puritani del Seicento: il Lord Protector Cromwell[12] fece chiudere i teatri durante la sua tirannide in Inghilterra.
Per quanto riguarda la presenza di tale ostilità nel Nuovo Mondo, sentiamo La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne[13], pubblicata nel 1850 ma ambientata nella Boston puritana del XVII secolo (1642):"inutilmente si sarebbe immaginato di vedere quel popolo abbandonarsi ai divertimenti popolari che erano in uso in Inghilterra sotto la regina Elisabetta o sotto re Giacomo. Niente spettacoli teatrali, né musiche di sonatori ambulanti, né canzoni di menestrelli, né trucchi di giocolieri, né lazzi di saltimbanchi. Il fondo del carattere di questa gente-s'è detto-era triste, e tutti questi professionisti dell'allegria sarebbero stati scacciati non soltanto dalla legge, ma dal sentimento popolare che conta assai più della legge"[14].
La protagonista del romanzo è una donna bella e fine, Hester, marchiata con la A di adultera e messa al bando da questa gente tetra.
Una studiosa della scuola del Dramma dell’università di Washington rileva un nesso tra l’ostilità dei Puiritani nei confronti del teatro e il fatto che nel teatro elisabettiano le parti femminili fossero recitate da maschi travestiti. Sicché il palcoscenico poteva essere visto come il sito dell’omoerotismo: “Several extant Puritan sermons were built upon a quotation in Deutoronomy (22: 5) which specifically forbade cross-dressing: ‘The woman shall not wear that which pertaineth unto a man, neither shall a man put a woman’s garment; for all that do so are an abomination unto the Lord thy God”[15], diversi sermoni puritani arrivati sino a noi erano costruiti su una citazione del Deuteronomio che proibiva specificamente I travestimenti: ‘La donna non indosserà quello che appartiene a un uomo, né un uomo si metterà un articolo di vestiario da donna; in quanto tutto questo è abominio nei confronti del Signore tuo Dio.
Nella propria autobiografia Vittorio Alfieri racconta che cercò ingraziarsi Pio VI, papa Braschi, offrendogli di dedicargli il Saul. Il papa rifiutò l’omaggio e “ se ne scusò, dicendo che egli non poteva accettar dedica di cose teatrali quali ch’elle si fossero”. “Né io altra cosa replicai su ciò” , conclude l’autore (Vita, IV, 10).
Insomma c'è tutta una letteratura contro il teatro.
Tuttora c’è un’ostilità del potere contro il teatro che presenta l’uomo come problema, e spinge a pensare, pone degli interrogativi, instilla dei dubbi. La televisione non manda più in onda i drammi grandi e meravigliosi dei grandi autori che così perdono visibilità e presenza anche nella scuola.
Nerone dopo che si è guastato con il senato (tra il 59 e il 62) tende a limitare le prerogative della Curia. Da questo punto di vista “appare il precursore dei monarchi del Basso Impero, del III e IV secolo” (Cizek, p.144).
Nerone dopo la rottura con il senato corteggiava i Cavalieri: concesse loro posti davanti a quelli della plebe nel Circo: in precedenza avevano le prime 14 file solo nel teatro secondo la lex Roscia del 67 a. C. (A. XV, 32).
Gli affaristi e gli speculatori, i liberti, oltre la plebe, costituivano la base del consenso al principe il quale organizzò funerali sontuosi per l’usuraio Cercopiteco Panerote, feneratorem locupletatum arricchito da lui stesso di possedimenti rustici e urban (Sv., Nero, 30, 6). Lo onorò con esequie quasi regie.
Roma con il suo milione di abitanti era un enorme centro di consumo.
Omnis potestas a deo
Paolo scrive la Lettera ai Romani alla fine del 57 o ai primi del 58. Dice ai cristiani di Roma: ogni anima sia sottoposta alle autorità superiori: infatti non c’è autorità se non da Dio: “ouj ga;r e[stin ejxousiva eij mh; ajpo; Qeou ', non est enim potestas nisi a deo” (13, 1). Sicché chi si oppone all’autorità si oppone all’ordinamento di Dio; e quelli che si oppongono saranno puniti. Dovete obbedire “a chi dovete le tasse (to; tevlo~ “tassa indiretta”, vectīgal), date le tasse; a chi il timoroso rispetto (to;n fovbon), date il timoroso rispetto; a chi l’onore, date l’onore”…Paolo insiste sulla necessità che i Cristiani siano soggetti alle autorità romane; e formula il concetto, fondamentale nella storia dell’impero che omnis potestas a deo”.[16]
“Reddite omnibus debita: cui tributum (fovron) tributum (tassa diretta), cui vectīgal (tevlo~) vectigal (tassa indiretta ), cui timorem timorem, cui honorem honorem” ( 13, 7)
Paolo gerarchizza tutto in una prospettiva carismatica.
Comunque la plenitudo legis, l’adempimento della legge è la dilectio: “Diliges proximum tuum tamquam te ipsum” (13, 10).
Torniamo a Svetonio e al 54. Appena eletto imperatore, Nerone affidò alla madre summam omnium rerum privatarum publicarumque (9), il supremo comando di tutti gli uffici pubblici e privati anzi al tribuno di guardia diede la parola d’ordine “optimam matrem”.
Comunque abolì o ridusse graviora vectigalia (10). Ridusse a un quarto i premi che si davano ai delatori dei trasgressori della legge Papia.
Sovvenzionò senatori impoveriti, e, se veniva invitato a firmare una condanna a morte, esclamava: “quam vellem nescire litteras!” (Svetonio, 10).
“Quel giovane che fu d’animo eroico nella virtù (come sogliono essere tutti quelli che nascono con grande e forte immaginazione e sentimento), se per forza dell’esperienza delle sventure, degli esempi, disingannato dalla virtù arriva a lasciarla, diviene eroico nel vizio, e capace di molti maggiori errori che non sono gli altri…In tutte le cose gli eccessi si toccano assai più fra loro, che col loro mezzo, e l’uomo eccessivo in qualunque cosa, è molto più inclinato e proclive all’eccesso contrario che al mezzo” (Leopardi, Zibaldone, 1473).
A Nerone piaceva declamare in pubblico, anche recitare i suoi versi. Andava pazzo per gli spettacoli : naumachie, la danza pirrica (purrich; o[rchsi~) ossia la danza guerresca eseguite da efebi. Fece anche montare da un toro una Pasife chiusa in una giovenca foggiata in legno. Un Icaro precipitò vicino a Nerone e lo spruzzò del suo sangue.
Bologna 29 ottobre 2024 ore 18, 51 giovanni ghiselli
p. s
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[1] 427-347 a. C.
[2] Ambientato tra il 75 e il 77 e redatto, probabilmente, un quarto di secolo più tardi.
[3] 55 ca-120 ca.
[4] 160 ca-220ca d. C.
[5] 197 d. C.
[6] Del 200 ca d. C.
[7] In 13 libri composti fra il 397 e il 401 d. C.
[8] In 22 libri composti fra il 413 e il 426 d. C.
[9] Nel 364 a. C. secondo il racconto di Tito Livio (VII, 2-3)
[10] Si pensi, per esempio all’ Edipo re di Sofocle e all’Oedipus di Seneca.
[11] G. Flaubert, Madame Bovary (del 1857), p. 177.
[12] Esercitò una dittatura personale dal 1653 al 1658. Suo segretario fu John Milton, l’autore di Il paradiso perduto (1667)
[13] 1804-1864.
[14] N. Hawthorne, La lettera scarlatta, p. 180.
[15] Sue-Ellen Case, Feminism and theatre, p. 24.
[16] Mazzarino, L’impero romano, I, p. 206.
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