sabato 12 ottobre 2024

Il dialogo tragico nella Malga Panna. Seconda parte. CLXXXV bis


 

Gianni. Sei intelligente tu. Hai un'anima. Quando ti sento parlare

così, mi assale la brama del tuo letto , anzi quella delle nozze16

 con te, e mi rimorde molto avere sciupato l'amore, la stima che tu

avevi per me. In quanto hai detto c'è della verità. Però bisogna

aggiungere che, nonostante le emozioni malate e passeggere per

gli altri due, noi siamo rimasti insieme, e non abbiamo perduto

tempo, anzi, abbiamo fatto diverse cose importanti, e ne stiamo

facendo ancora. Non mi riferisco soltanto ai nostri concubiti,

comunque sempre belli, numerosi e sacrosanti. Io ho scritto un

dramma, breve se vuoi, magari di interesse ristretto al popolo non

numeroso dei licei classici, o, se preferisci, alla gente grama del

ginnasio dove lavoro, ed è fallito pure là dentro. Ma questo non vuol

dire che sia brutto e non significativo dei tempi; forse

ho avuto fretta a concluderlo, oltretutto  in anticipo rispetto ai

gusti ora in voga, come hai detto tu stessa. Ma presto riprenderò a

scrivere: intanto a commentare l'Edipo re con il mio metodo

comparativo e con una prospettiva europea, un lavoro al quale tu

mi hai incoraggiato e hai contribuito non poco, quindi porrò mano

a un'opera grandiosa cui contribuiranno le mie esperienze, i miei

studi, le mie gioie, i  dolori, e perché no, il cielo e la terra17.

  Anche questo lo dovrò a te, al nostro rapporto variopinto per la varietà

infinita di tutti i suoi aspetti. Perciò vorrei che non finisse presto,

anzi che non finisse mai.

 

Ifigenia. Ho capito. Tu scrivi. E io quali capacità

posso acquistare, o accrescere, se la nostra storia continua?

 

Gianni. Tu ora stai preparando un esame non facile. Da me,

quanto meno, ricevi un metodo e un ritmo di studio.

Quanto più impàri, tanto più  si allarga la tua umanità, e mi

restituisci moltiplicato. Quei due non ci hanno offerto il loro

amore, è vero, però nemmeno noi glielo abbiamo chiesto. Io

almeno non l'ho fatto.

 

ifigenia. Nemmeno io. Anche in quello che dici tu c'è del vero.

E tu pure, sicuramente hai un'anima non ordinaria. Prima citavi

l'Ifigenia in Aulide, vero? "

ma'llon de; levktrwn sw'n povqo" m j ejsevrcetai-

ej" th;n fuvsin blevyanta: gennaiva ga;r ei\ 18

 w\ lh'm j a[riston"19. 

Vedi che bravo maestro sei stato? "

Anche Io probabilmente ti amo. Però l'anno prossimo, anzi, subito dopo

l’ esame, andrò a cercare lavoro, a vivere, in una grande città

dove nascono le idee, dove si crea cultura, dove si dà e si prende,

si fa e si disfa il potere: a Roma, o a Milano. E voglio andarci

senza te. Per imparare a cavarmela da sola, o forse piuttosto per

avere l'opportunità di incontrare un altro maestro geniale, uno che

mi aiuti a crescere nel campo attoriale. Tu mi hai spinta a pensare,

a studiare; mi hai donato la vita tua e  hai chiarito la mia a me

stessa: te ne sono grata, te ne sarò sempre; ma presto avrò bisogno

di imparare delle cose che tu non puoi insegnarmi. Io sento la

necessità di recitare, come tu il bisogno di scrivere. Perciò è

meglio se ci lasciamo presto, o anche subito".

Le stavo seduto di fronte e avevo il fuoco sul fianco destro,

piuttosto vicino: sudavo, mi bruciavano gli occhi, mi tremavano le

mani al pensiero della fine anticipata e non catastrofica del nostro

rapporto. Per fortuna non era destino. Ma allora non lo sapevo:

dovevo mettercela tutta per arrivare con lei fino al momento in cui

avrei sentito la necessità di cominciare a scrivere. Non mancava molto tempo del resto.

Ad un tratto un pezzo di fuliggine o qualcosa del genere mi entrò

nell'occhio destro: il più miope, il più debole, e già aspreggiato sia

dal fumo, sia dalla lente a contatto che portavo da quindici ore.

Cominciai a lacrimare.

"Scusa – dissi – mi è entrato un pezzo di non so che roba in un

occhio".

Ifigenia  mi accarezzò. La cameriera enorme ci osservava dal

banco con i suoi piccoli occhi, affondati nella carne copiosa, e

protetti dalle scintille. Dovevo fare pietà anche a lei.

 Ifigenia disse:"Che tragedia!".

"Perché tragedia? – domandai – Se non vuoi più stare con me,

puoi lasciarmi anche subito".

 

Note

16

Cfr. Euripide, Ifigenia in Aulide, 1410.

17

Cfr. Dante, Paradiso, XXV,1-3

18

Euripide, Ifigenia in Aulide, 1410-1411. Maggiormente il desiderio delle tue

nozze mi penetra/mirando alla tua natura: infatti sei nobile.

19

Euripide, Ifigenia in Aulide, 1421. O anima nobile.


 

 

"Non è così semplice-rispose.- Nonostante tutto, io credo di

amarti; o, quanto meno, mi sento ancora legata a te".

Il pezzo di roba uscì dall'occhio straziato che provò sollievo;

asciugai la guancia lacrimosa e, recuperato un poco di coraggio,

dissi:" Io sono sicuro di amarti poiché ho plasmato il tuo spirito e

mi sono lasciato potenziare, raddrizzare, nel mio, debole e

sghembo, dalla tua forza di ragazza esemplarmente bella.

I tarli, è vero, ancora purtroppo ci sono, ma quale logica ci sarebbe

nel lasciarci, prima che i sentimenti positivi siano esauriti e sia

compiuta l'opera di educazione reciproca? Pensa a quante cose

buone possiamo mettere insieme noi due. Aspettiamo di non avere

altro da costruire in comune, arriviamo almeno a superare il tuo

esame per il quale sto studiando anche io, tanto che finora non ho

trovato il momento opportuno per cominciare la mia, la nostra

creazione secondo lo spirito. Non potrò più sopportare me stesso

se non riuscirò a dimostrarti di sapere scrivere un capolavoro

ispirato da te e degno di me. Dammi questa possibilità di

redenzione e riscatto: vedrai che gli errori miei e tuoi, le nostre

pene, delusioni e sconfitte, troveranno una giustificazione estetica,

nella bellezza voglio dire, e noi ci innamoreremo di nuovo l'una

dell'altro, come quando tu eri ingenua, credevi in una vita felice

con me, e ci credevo quasi anche io.  Quando mi venisti incontro la prima volta e mi chiedesti aiuto pensai che la mia bambina morta prima di nascere fosse rinata in te e il mio primo pensiero fu di prendermi cura di te.

Poi è successo qualcosa: un salto retrogrado nell'abisso degli antichi terrori, cioé delle nostre infanzie tremende. Quasi un riflesso condizionato.

Ora ne parliamo: ne stiamo prendendo coscienza. Perché dobbiamo lasciarci, mentre la vicendevole educazione non è compiuta, e la mia opera non è

nemmeno avviata?"

Tirai il fiato. Ce l'avevo messa tutta, non potevo aggiungere altro.

La guardai attentamente cercando di piacerle, di essere espressivo

e non stralunato, non malato nonostante soffrissi ancora lo strazio della cornea colpita dalle faville ardenti.

La studiavo: era bella, cupamente bella; il suo volto veniva acceso

e brunito dai guizzi del fuoco.

"Se perdo una donna di questo formato-pensai-dove ne trovo un'altra che non

me la faccia rimpiangere per tutta la vita?".

 

Finalmente la bella disse la sua sentenza: "Va bene. Possiamo restare

insieme. Non so quanto. Io adesso devo pensare all’ esame. Dopo

si vedrà. Lasciamo fare al destino".

"Manco male", pensai, un'espressione quasi apotropaica, raccolta

dai colleghi veneti buoni bicchieri e simpaticamente fedeli alla loro diavlekto~ natia. Non la koinhv letteraria che da noi è la lingua toscana ma un dialetto comunque comprensibile, bonario e simpatico. Un dialetto dall’accento femminile, come hJ  divlekto~, “la dialetta”.

Glielo dissi per sdrammatizzare. Poi confermai le sue parole:"Certo che seguiremo le orme del nostro destino onnipotende e già tracciato. Lo faremo come abbiamo fatto sempre, con la coscienza di essere cari agli dei, favoriti da loro e dai nostri caratteri, maidiscordi con il volere del fato. Adesso andiamo a dormire, ché è tardi. Anche questo è destino, come perfino la caduta di un passero".

Ci alzammo, pagai il conto alla grossa signorina e tornammo alla

Campagnola. Non mi sembrò il caso di fare alcun'altra proposta.

Sicché ognuno andò direttamente in camera sua.

Quando mi trovai solo nel letto, dovetti fare i conti con sensi di

colpa e di inferiorità che, tutti sommati, davano angoscia. Cercavo

di trasformare i sentimenti in ragionamenti.

Pensavo:"E' vero che solo attraversando il dolore si può andare

oltre il dolore, che sono passato per Esmeralda e altre siffatte , prima di

arrivare a Ifigenia,  necessaria al mio scrivere, quanto Päivi lo

fu al mio studiare, lelena al mio sentirmi accettato dalle

donne belle e fini cioè dalla vita stessa; ma in questo modo con le persone ho

rapporti di sfruttamento. Così i miei progressi, se pure ci sono,

costano sofferenze infernali poiché non posso vivere me stesso e il

prossimo mio soprattutto le amani senza fare calcoli. Questa è stata una

creatura mia, l'ho fatta crescere io: è mia figlia più che se l'avessi

messa al mondo: devo provare a considerarla un fine, non un

mezzo. Sì, ma se è lei che non vuole essere uno scopo per me? E

poi per quale ragione non deve volermi? Perché non le piaccio? O

non le convengo? Oppure non si fida di me? Dice che l'ho

ingannata e delusa con la storia di Lucia. Ma lei stessa prima mi

aveva mentito! Quanto devo penare ancora per la restaurazione del

bene prezioso che ho adulterato? Quali altre sofferenze dobbiamo

infliggerci per riparare i danni della mutua ingiustizia? Dio,

aiutami tu!"

Mi addormentai tra questi tormenti.

 

Note

16

Cfr. Euripide, Ifigenia in Aulide, 1410.

17

Cfr. Dante, Paradiso, XXV,1-3

18

Euripide, Ifigenia in Aulide, 1410-1411. Maggiormente il desiderio delle tue

nozze mi penetra/mirando alla tua natura: infatti sei nobile.

19

Euripide, Ifigenia in Aulide, 1421. O anima nobile.

 

 

Pesaro 12 ottobre 2024 ore 9, 48 giovanni ghiselli

 

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