martedì 15 ottobre 2024

Ifigenia. CLXCIX. Il cammino ripercorso e ripensato. La ierofania.


 

 

Lunedì sedici marzo 1981, dopo la scuola, tornai sulla collina dove

Il  ventotto ottobre del 1978  avevo portato la ragazza dopo averla

incontrata davanti alla libreria Feltrinelli. E' un'altura senz'alberi,

situata tra il botteghino di Zocca sulla valle di Zena  e Pianoro sulla via della Futa. Arrivato, fermai la bianca Volkswagen dove allora avevo lasciato la nera. Ne uscii e ridiscesi lungo l'erto pendio fino al cupo fondo dove era terminata la nostra corsa precipitosa.

Sedetti per terra nel luogo infimo dove ci eravamo fermati. Il cielo era freddo, ventoso, scuro di nubi.

Ricordai che due anni e quattro mesi prima, invitando la ragazza a

seguirmi giù per quel campo scosceso dove si addensavano le

rapide ombre del pomeriggio autunnale, avevo voluto indicarle la

 l'oscurità dell'anima mia.

 Nella primavera misera,  priva di grazia, rimpiangevo l’ottobre di Ifigenia.

Cominciai a risalire la china con la mano destra tesa dietro la schiena, per ripetere e ritualizzare  il gesto di allora, quando avevo offerto aiuto alla ragazza insicura tirandola su.

Pensavo che quell'autunno lontano era stato preceduto da un triennio di studio feroce: tre anni interminabili passati a riempirmi la testa di

paradigmi, traduzioni, manuali, letture critiche ; un lavoro che

doveva procedere spietatamente, tutti i giorni, in ogni stagione. Se

mi concedevo una pausa, per ristorare il cervello di aria e di luce,

andavo proprio su quel colle sopra la valle di Zena , ma solo nel primo pomeriggio della domenica, in automobile, tacito e solo, perché l’evasione

non mi togliesse energie e concentrazione dovute allo studio.

Avevo un paio di compagne di letto che potevo vedere solo di rado e a turno per giunta, siccome dovevo indirizzare perfino i sentimenti sui libri, oggetto

di studio e di ogni libidine forte. Prima delle nove di sera non

volevo vedere nessuno, per paura di perdere tempo e l'autonomia

necessaria a conseguire l'alto scopo di imparare tanto, e tanto bene

da farmi non solo ascoltare ma pure ammirare dalle ragazze e dai

ragazzi. Anche dalle colleghe carine se possibile, quando ne venivano arruolate per delle supplenze.

"Ne va della vita", mi dicevo talora; "se fallissi, non potrei più

sopportarmi". Invece avevo raggiunto lo scopo, l'ammirazione dei

giovani, e il premio di tanta fatica: Ifigenia stessa. Una talmente

giovane e bella che prima di quella vittoria davvero olimpica , non avrei

osato nemmeno guardare in faccia.  Elena, l’ Augusta, l’accrescitrice era bella non meno di lei ma non così giovane.

 Studio feroce dunque, ma non disperato, né matto, né vano, anzi pieno di buone speranze,razionale, e fiducioso di conseguire un contraccambio concreto, una borsa di studio1 non certo in denari che non mi interessavano punto, ma in termini di accrescimento spirituale e vitale. Compresi subito che per insegnare qualche cosa, prima bisognava piacere, e per questo

dovevo procurarmi, oltre la sicurezza nelle parti tecniche del latino

e del greco, un vasto repertorio di lezioni storiche, letterarie,

filosofiche,  ricche di contenuti interessanti, ornate da citazioni

efficaci, dette a memoria senza alcuna incertezza, collegate tra

loro con intelligenza. Per questo tipo di insegnamento non avevo modelli;

casomai contromodelli, siccome dovevo discostarmi dai metodi

appresi ascoltando tediato i professori usuali che annoiano se stessi e gli

studenti con lezioni fiacche, povere di cultura e carenti di vita.

Sapevo di avere i mezzi per farcela, anche se all'inizio, quando

presi l'incarico, i ragazzi più preparati del  liceo Rambaldi di Imola

ne sapevano non meno di me. Avevo paura, tremavo, ma non me ne lasciai

travolgere, né volli tentare di fingere. Feci la cosa migliore che

potevo: mi lasciai guidare dagli allievi ottimi, li ascoltai, compresi che

cosa dovevo imparare per interessarli. E studiai, spietatamente

verso me stesso sul momento.  Ma con il tempo tale spietatezza sarebbe diventata pietas e ne sarei stato ricompensato dagli dei e dagli uomini. La guida piùsicura verso le cose buone che ho dato e avuto, sono stati i ragazzi.

Con Ifigenia dunque avevo ricevuto il premio sperato, voluto

con tutta la forza, e di valore adeguato all'immane fatica. Eppure

non ne ero stato felice poiché avevo voluto appropriarmi di quella

ricompensa meravigliosa e divina, divorandola con voracità animalesca,

invece di rispettarla e contemplarla fino a  comprenderne tutta la bellezza, la poesia, la provenienza celeste. Era una persona, una creatura umana, non era materia. L’Augusta coetanea Elena me l’aveva insegnato, mentre Ifigenia non ne aveva coscienza, non lo sapeva e non me lo ricordava.

Mentre risalivo la china del colle, ad un tratto il cielo si aprì, e un

raggio di sole per un momento riscaldò la terra, ravvivò il verde

della vegetazione novella. Interpretai quella luce fendente le nubi

come una ierofania che preannunciava il ritorno di Ifigenia.

 

Nota

1 Cfr. il romanzo Tess of the D'Ubervilles (del 1891) di T. Hardy dove Angel Clare si

rivolge a Tess dicendole

: " darling, the great prize of my life-my Fellowship" (XXXII

capitolo), cara, il più grande premio della mia vita, la mia borsa di studio

 

Pesaro 15 ottobre 2024 ore 11, 36 giovanni ghiselli

p. s.

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