giovedì 10 ottobre 2024

Ifigenia CLXXX. Il gioco delle bocce al Maria di Moena.


 

Tornai alla Campagnola depresso. Avevo fatto un grosso sbaglio

aggredendola.

"D'altra parte-pensavo- non sono del tutto cretino né tanto portato

a commettere errori: quando voglio, li evito. Se non lo faccio,

significa che intendo utilizzarli per correggere o cancellare una

situazione morbosa e ammorbante. Domani vedremo".

Dopo questo pensiero mi riconciliai con me stesso e mi

addormentai.

La mattina del sei marzo andai a sciare al Laurino. Salivo con un

bidone, adagio, tra le gelide ombre di un bosco, poi scendevo a

precipizio per un pendio scosceso e poco innevato. La pista, ripida

al pari di un tetto aguzzo, è sovrastata dalla Roda di Vael, una

roccia sottile e appuntita come una guglia. Più volte mi buttai giù

per la dirupata discesa invocando Ifigenia: se vacillavo perché

mi aiutasse a non cadere, se scendevo veloce perché mi infondesse

la forza e il coraggio di continuare.

 Sul mezzogiorno, quando il sole sembrò sbaragliare le nubi con le quali lottava dalla mattina, mi fermai  sotto la rupe, tanto affilata e luminosa da sembrare una spada. Volevo abbronzarmi mentre mangiavo un panino. Presto

però la  calda luce fu soverchiata dal vento e dalle nuvole; allora

mi mossi per tornare a Moena.

 

Mentre entravo in paese, forai uno pneumatico dell'automobile che dovetti lasciare a un gommista poiché era bucata anche la ruota di scorta.

Per quanto riguarda le macchine e i meccanismi sono un idiota e quasi quasi me ne vanto.

 Aspettando che la Volkswagen avesse le gomme aggiustate, andai al bar Maria per vedere il gioco delle bocce, come facevo spesso quando ero

bambino. Vidi e riconobbi alcune persone di trent'anni prima.

Erano invecchiati, ma recitavano la stessa parte, dicendo parole e

facendo gesti simili a quelli di allora. Dopo avere lanciato, o

lasciato cadere di mano la boccia, la seguivano, la sgridavano, la

incoraggiavano, come si fa con una creatura. Notevole tra tutti era

Micelotto che gridava e si agitava in una farsa seguita dal pubblico

con grande piacere. "L'è bela, l'è bela", diceva spesso della propria

giocata, consapevole e soddisfatto di essere bravo.

Lo osservavo con attenzione e simpatia. "Quanti anni può avere?"

mi chiesi. "Allora era un ragazzo. Adesso una cinquantina. Però

gli piace sempre farsi guardare". Bocciava e recitava bene del

resto. La sua parte migliore nel mondo doveva essere quella: fare

vedere e sentire come sia bello giocare alle bocce.

 Certo è molto meglio che giocare con le persone.

In fondo ciascuno di noi, quando si accorge di avere un’attitudine per un lavoro o un gioco che gli  piace e gli riesce bene, dopo tanto  esercizio praticato con lena  diventa bravo e vuole darlo a vedere.

Il mio genio si manifestava nello studio delle lettere e nel pedalare la bicicletta.

 Micelotto era bravo a giocare le bocce. Accarezzava ognuna di quelle creature rotonde, la faceva uscire dalla mano, e la seguiva

incoraggiandola come un padre amoroso: se gli sembrava corta,

accennava il gesto di  spingerla; se lunga, di  trattenerla e

dissuaderla dal proseguire. Era un attore anche lui. Aveva un

repertorio limitato ma lo eseguiva con amore e con arte. Quando

piazzava un tiro ottimo, e gli riusciva spesso, lo ricompensavano

gli applausi del pubblico e un sorso di vino.

" Caro, simpatico Micelotto, mi piacevi quando io ero un bambino e

tu un giovane uomo, quasi un ragazzo ancora, un pò rincagnato a

dire il vero, ma dallo sguardo vivace, e mi piaci adesso, dopo che

sono passati trent'anni intorno a noi, come le nuvole sopra la valle

di Fassa.

 

Pesaro 10 ottobre 2024 ore 11, 39 giovanni ghiselli

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