martedì 8 ottobre 2024

Ifigenia CLXII La Memoria quale madre delle Muse e dell’Oratoria.


 

La mattina seguente quando mi alzai vidi l’annuncio di una giornata orribile di fine novembre: il cielo buio e nebbioso aggravò la mia depressione. Avevo gli occhi gonfi, la testa intronata, la lingua inceppata mentre cercava di deprecare ad alta voce il male che vedevo fuori e sentivo dentro di me. Telefonò Ifigenia e mi domandò come stessi. “Non bene”, risposi e le chiesi del tempo per potermi chiarire con lucidità che cosa pensassi della nostra situazione. Durante le quattro ore di scuola lavorai in qualche maniera continuando a rodermi il cuore e il cervello. Niente nella mia vita funzionava come doveva, come avrei voluto in quanto ero io a non funzionare bene.

Ogni giorno mi chiedo: “Come funziono oggi?”.

Intendo nel lavoro, nello sport, negli affetti.

In questo momento, per esempio, non c’è male.

Quella mattina remota invece sonno mi pesava al pari di un bue sulla sulla lingua e sulla memoria.

A scuola leggo il meno possibile e se non mi assiste Mnhmosuvnh, la madre delle Muse e dell’Oratoria, lo scrigno dell’intelligenza, faccio pena a me stesso e a quanti mi ascoltano. Pena e disgusto provo di fronte ai docenti e agli oatori che parlano leggendo tutto quello che dicono: niente estraggono dal loro cervello intontito  né dal cuore arido.

 Mentre parlavo con stento, sentivo che la testa mi pulsava come una ferita dove sembrava bussare il cuore stesso sradicato e travolto dal sangue che l’aveva trascinato dentro il cranio.

 

Quando fui uscito dal tetro liceo nell’aria ancora più cupa della città abbandonata dalla luce del sole, capivo che il problema tra noi non era tanto quello del ballerino quanto il fatto desolante che tra Ifigenia e me non c’era più niente in comune poiché la ragazza aveva perduto ogni interesse per lo studio: ella voleva entrare nel mondo dello spettacolo attraverso qualsiasi porta, buco grande o breve pertugio che fosse stata capace di aprire in qualunque maniera. Doveva avere pensato che Gennaro le aveva socchiuso un uscio stretto o uno spiraglio troppo angusto. Lei lo avrebbe allargato.

 

A me non restava che raccontare la nostra storia nel tanto tempo libero che l’insegnamento ginnasiale mi lasciava. Ifigenia avrebbe avuto un araldo della sua bellezza condannata a sfiorire presto dalla voracità di quel cormorano che è il tempo e della sua stessa vanità.

 La giovane donna fiorente sarebbe rimasta tale per sempre nelle mie pagine, come le tre finlandesi di cui avrei raccontato la storia quale preludio a questo ultimo amore.

Quelle erano donne studiose: due di loro- Kaisa e Päivi avevano fatto una buona carriera. Elena era uno qaumasto;n crh`ma : bella, buona e fine. Come mai non avevo funzionato per più di quattro settimane nemmeno con loro?

Forse perché non avevo fatto altrettanta carriera, né ero una meraviglia come Elena.

Dal cielo scendeva pioggia mista a neve. Mi consolai pensando che non era lontano il Dies natalis Solis invicti. Quanto alla carriera potevo ancora rifarmi.

 Ma ci voleva altro tempo. Intanto quello felice delle finlandesi era già passato da diversi anni.

 

Pesaro 8 ottobre 2024 ore 9, 54

 giovanni ghiselli.

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