martedì 8 ottobre 2024

Ifigenia CLXIII- La donna non è materia.


 

Nel pomeriggio mi diedi a preparare le lezioni del giorno seguente, più l’italiano e la storia che il greco e il latino, ancora ai rudimenti.

 Cercavo comunque di innovare: insegnavo vocaboli chiave e stilemi costentualizzati in frasi belle di ottimi autori che colpissero, impressionassero la sfera emotiva e la fantasia degli scolari quattordicenni. Ricordavo come avevo scoperto la mia predisposizione per la letteratura greca una volta superata la fase dei tecnicismi.

La bellezza creata dagli ottimi autori serve alla vita: la potenzia.

Volevo l’attenzione di quei ragazzini. Sapevo che potevano aiutarmi mostrando interesse per quanto raccontavo, che mi avrebbero curato l’anima ulcerata. Intanto mi aiutava il mio impegno per loro.

 

Dopo cena telefonai a Ifigenia. Ero in balia di contraddizioni dolorose e non trovavo il criterio atto a risolverle. Non sapevo nemmeno definirle con precisione. Però sentivo che mi dilaniavano il petto come canidi dai denti aguzzi e affamati. Ci fu un dialogo non risolutivo tra noi: ripetevamo le solite parole già dette relative alla fedeltà, ai tradimenti, alle paure, ai ricordi, alle speranze. Le ho già scritte e non le ripeto per non annoiarti, lettore e non sentirmi imbecille del tutto, cretino integrale.

Meditai e rimuginai tutta la notte.

A tratti davo spazio alla mia indole tragica e all’abito letterario indossato fin dall’infanzia. Allora citavo. “Ho l’anima piena di scorpioni”.

In altri momenti mi venivano in mente delle battute del nostro repertorio comico. Come il nostro saluto mattutino quando prendevamo il primo caffè insieme in un bar.

“Buon giorno Lonzi”, faceva lei.

E io: “che cosa vuol dire?”

E Ifigenia: “Bellonzi. Ti chiamo così per non farmi capire da altri, mentre io ne godo. Anche tu vero?”

“Certo amatissima donna, ne gioisco, non tanto però quanto godrò più tardi nel talamo dei nostri tripudi sacri, benedetti anche dai diaconi santi”.

Quindi mi venivano in mente alcune battute del nostro repertorio goliardico-letteraro: “il mondo, quando tu non ci sei, non è migliore di un grosso porcile e casa mia diventa la caverna platonica”

“La mia dimora orba di te - rilanciava lei- mi appare più sporca e fetida delle stalle di Augia”

Durante buona parte del giorno seguente continuai a dibattermi cercando la risoluzione che dovevo a lei e a me stesso per non impazzire.

Finché, sul far della sera, a un tratto dentro di me si accese la luce del criterio che mi avrebbe tirato fuori da quell’inferno.

Il criterio della Giustizia che altre volte in passato mi aveva salvato dalla disperazione: da quando, fin da bambino, guerreggiavo contro i soprusi di quanti volevano sottomettermi: parenti, preti, maestri, poi professori, presidi, colleghi, i falsi amici. le amanti furenti.

Mi dissi che quanto stavo facendo e dicendo a Ifgenia non era giusto, anzi era un’iniquità stupida, cattiva e meritevole dell’ira divina che non avrebbe tardato a punirmi.   Dio mi aveva illuminato, mi aveva esaudito. Mi sentivo forte e felice. Erano le quattro del pomeriggio del 30 novembre 1980. Ifigenia quel giorno compiva ventisette anni. Il 14 io ne avevo compiuti 36.

Era già tempo che mettessi la testa a posto.

Sollevai il telefono per darle la buona notizia, proprio evangelica.

Sentivo di amarla siccome mi rendeva migliore, come aveva fatto Helena quandi ni disse: “Io non sono materia” in una sera remota di agosto..

 

Pesaro 8 ottobre 2024 ore 10, 14

 

  

 

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