mercoledì 9 ottobre 2024

Ifigenia CLXXVI. La telefonata tragica, poi quella lirica.


 

Alle otto di sera, quando le telefonai, però Desdemona non era in

casa. Chi rispose mi disse che forse era all'Antoniano. Poiché la mia

chiamata era prestabilita e concordata, fui preso da un'angoscia

soffocante. Salivo a stento la scala di legno dell'albergo per

arrivare in camera, chiudermi dentro e buttarmi sul letto se non stramazzavo sui gradini.

Barcollavo con il corpo e con lo spirito: come uno spastico non

riuscivo ad armonizzare i movimenti somatici né a dominare le

convulsioni della mente ferita.

Rimasi dieci minuti disteso a domandarmi perché quella ragazza

indefinibile mi avesse lasciato: doveva averne trovato uno che le

piaceva o conveniva di più; però in un caso del genere, dopo due

anni e mezzo che si sta con un uomo, si prende tempo, ci si pensa,

se ne parla con lui, prima di andare con un altro: non si butta via in

poche ore una relazione lunga e non del tutto immonda come la

nostra. In effetti sarebbe finita in tale maniera. Non era questo lo

schianto finale, ma lo prefigurava: la sera del due marzo,

presentivo e presoffrivo la notte compresa tra il dodici e il tredici

giugno di quella stessa primavera.

Quando ver veniet meum?

Appena ebbi recuperate le forze, per evitare che mi scoppiasse la

testa, decisi di uscire e camminare sotto le stelle che vedono tutto.

Quando fui in fondo alle scale però, come dio volle, il portiere

disse che mi aveva cercato una signorina, Ifigenia, e aveva


lasciato detto di chiamarla a casa, appena fossi tornato.

Corsi  nella cabina con i venti gettoni che mi portavo in tasca sempre, come

quando ero rinchiuso in caserma nell'ospedale militare e pure in quelli civili aspettando operazioni che potevano uccidermi già con l’anestesia totale.

Afferrai l'apparecchio, feci il numero con mano tremante. Rispose

lei.

"Ciao tesoro, scusa il ritardo, ma sono tornata a vedere Ludwig

per sentirmi in qualche maniera vicina a te. Dopo, ho fatto una

corsa bestiale per arrivare in tempo: l'autobus non arrivava mai.

Scusami".

"Prego, prego-risposi-però mi sono preso paura che ti fosse

successo qualcosa".

"Mi è successo che senza di te la mia vita è incompleta, e io non

funziono bene. Io ti amo tanto".

"Anche io". Nonostante l'aria chiusa della cabina, il petto mi si era

aperto e riempito di salute, di forza, di gioia.

"Adesso vado a fare due passi e a pensarti con riconoscenza per

quanto mi hai detto: sono proprio felice".

Uscii nella notte illune, raggiante di felicità. Ringraziavo gli dei e

il mio destino di non avermi privato troppo per tempo di una

donna siffatta. Ora so che mi restavano altri tre mesi e mezzo scarsi.

Pesaro 9 ottobre 2024 ore 10, 57 giovanni ghiselli

p. s.

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