martedì 8 aprile 2025

James Joyce, Ulisse. Presentazione dell’autore.


 

Qualche notizia prima di entrare nel testo. Una parte non bella ma forse utile. Il testo è utile e bello.

 

 Joyce nasce a Dublino nel 1882. Studiò in un collegio dei Gesuiti.

Nell’adolescenza ebbe una vocazione sacerdotale che poi si tramutò in rivolta.

Sa madre morì di tumore. Joyce si rifiutò di confessarsi e comunicarsi quando la madre glielo chiese dal letto di morte.

Ebbe contatti epistolare con Ibsen. Nel 1904 lasciò per sempre l’Irlanda. A Trieste legò amicizia con Svevo. Poi Zurigo e Parigi. Morì a Zurigo nel 1941

1907 poesie Musica da camera e Poesie da un soldo. I temi sono quelli della bellezza femminile, dell’amore, del tradimento.

 1918 il dramma Esuli.

1914 Dubliners, 15 racconti.

John Huston ha tratto un film dall’ultimo racconto I morti. Dublino è il centro della paralisi.

1917 Rtratto dell’artista giovane conosciuto anche come Dedalus. Gli ultimi capitoli vennero pubblicati postumi con il titolo di Stefano eroe.

Ulisse 1922. Lo stesso anno di The waste land di T. S. Eliot.

Finnegans wake (1939) contiene l’estremizzazione stilistica dell’Ulisse con  il flusso di coscienza  che rappresenta i pensieri come girano in testa senza essere organizzati logicamente.

 In questo romanzo ci sono 42 lingue con parole ibride.

U. Eco chiama finneghismi le parole inventate come oromogio: un orologio che segna ore tristi

Il monologo interiore è parte del flusso di coscienza.

Era capace di cantare come tenore. Beveva molto. Nel 1904 incontrò Nora, una cameriera che poi sposò. La figlia Lucia impazzì e si suicidò.

 

Hermann Broch (1886-1951)James Joyce e il presente -conferenza del 1932

 

L’autore deve cogliere lo spirito del proprio tempo. Deve simbolizzare e rappresentare anche le forze che agiscono misteriosamente nel caos.

Joyce rappresenta 16 ore  di vita in 1200 pagine. L’opera d’arte deve essere uno specchio dello spirito dell’epoca e delle sue tendenze, ed è spesso difficilmente comprensibile subito poiché è anticipatrice della realtà e urta contro la cecità dei contemporanei. Rilevo che pure Euripide non venne apprezzato quanto meritava, non durante la vita.

Quanto più radicale è la dissoluzione dei valori, quanto più caotica la disgregazione, tanto più grande deve essere la capacità dell’artista di dominare e organizzare il caos. Nella giornata di Bloom si coglie la quotidianità universale dei primi anni del Novecento, e la presenza di tutte le forze anonime dell’epoca. L’emozione che si trova nella sua opera supera tutti gli aspetti razionali e coscienziali, manifesta ripugnanza per il pensiero razionale, e per la costruzione logica della lingua. La nausea per il razionale  spinge a capofitto nell’irrazionale, un rifugiarsi addirittura nella animalità.

Il romanzo racconta un giorno qualsiasi di una vita qualsiasi.

Leopold Bloom si guadagna mediocremente la vita come agente pubblicitario a Dublino. Lo seguiamo dalle 9 del mattino alle tre di notte il 16 giugno del 1905. La vita di Bloom viene definita banale, ma il personaggio non lo è. Sedici ore, non senza soste nei cessi. 1200 pagine: 75 per ogni ora. Più di una al minuto. Lo sfondo del quadro è realistico ma dal fondo balenano elementi fantastici e favolosi. Accanto al naturalismo compaiono stili diversi. Ci sono aspetti e richiami classici, altri aspetti sono espressionistici, e non manca il dadaismo. L’irrazionale prevale sulla logica. La vita è lovgo~ ma non è logica.

 

 

 

Questo agglomerato di stili può fare parlare di eclettismo , un eclettismo creativo per la sua armonia sinfonica. La complessità dell’opera scritta con stili eterogenei (come il Satyricon) rispecchia la complessità dell’epoca.

Joyce vuole afferrare un mondo inafferrabile con catene di simboli. Vuole anche mostrare la simultaneità, portare il corso degli eventi all’unità del simultaneo. Ogni azione presenta un significato naturalistico e pure degli altri. E’ un procedimento esoterico-allegorico.

 Il viaggio di Bloom ripete le tappe di quello di Odisseo.

 L’Irlanda e la sua storia vengono sollevate ad allegoria del mondo. I personaggi fluiscono l’uno nell’altro poiché fanno parte di una totalità organica che si impersona in Bloom: l’uomo. Bloom è l’Io in sé, l’umano senza specificazioni. Ogni personaggio è anche un altro personaggio che si dissocia da se stesso. Molly è la parte più oscura e animalesca di Bloom mentre Dedalus è la sua parte spirituale. Le scene del bordello sono l’acme drammatica dell’opera: qui la sua scatenata fantasia lo identifica con tutte le sue ipostasi.

 I discorsi di Dedalus si irrigidiscono fino ad assumere le forme di un catechismo rovesciato. Un residuo dell’educazione cattolico gesuitica ricevuta da Joyce combattuta con scarso successo . Si potrebbe anche parlare di un romanzo psicoanalitico per la presenza quasi ossessiva del rapporto padre-figlio: Bloom tra Viràg il padre suicida e Dedalus il figlio auspicabile che sostituisce quello morto.

Joyce come Svevo rifiuta la psicoanalisi ma  lo spirito dell’epoca che costringe l’uomo a scendere nella sfera metalogica dell’inconscio e dell’irrazionale con il monologo interiore, la libera associazione.

 Nella successiva Work in progress,  Finnegan’s wake, Joyce rappresenta se stesso e il proprio lavoro.

Nel capitolo Anna Livia Plurabelle due lavandaie inginocchiate sulla riva del fiume Liffey che attraversa Dublino lavano e fanno pettegolezzo. Il fiume lava la sporcizia della città. Un poco alla volta lo sciacquio della corrente si confonde con il chiacchiericcio delle lavandaie e queste diventano creature favolose e pure materiate: una è diventata il tronco di un arbusto, un’altra una pietra, bagnate entrambe dall’onda. Una sorta di realismo magico con il dionisiaco. Le parole si confondono con il mormorio dell’acque e diventano incomprensibili.

Il romanzo si può anche accostare alle arti figurative.

Lo scandalo della verità

 I quadri di Manet suscitarono le escandescenze del pubblico nel  1863

Sicché il Salon gli rifiutò la Colazione sull'erba ed altri lavori,  ed egli non fu molto sorpreso.  Manet non fu l'unica vittima dell'ostracismo della giuria, che non aveva accettato numerosissime altre opere. Per questo motivo Napoleone III decise di istituire un Salon des Refusés [Salon dei Rifiutati], così da consentire agli artisti non presenti nel Salon ufficiale di esporre comunque le loro opere..

La Colazione sull'erba fu al centro di uno dei più clamorosi scandali artistici dell'intera storia dell'arte. Gli animi benpensanti della borghesia di Parigi si indignarono rumorosamente di fronte alla donna nuda dipinta da Manet, e tacciarono l'intero quadro di una scandalosa «indecenza». Il nudo non solo era oggetto di studio nelle Accademie di tutto il mondo, ma era anche uno dei temi più accettati e consueti dell'intera storia dell'arte: gli artisti che si sono confrontati con il nudo, infatti, sono innumerevoli, da Sandro Botticelli (Nascita di Venere, 1482-1485 circa) a Diego Velázquez (Venere Rokeby, 1648 circa), passando per il veneratissimo Jean-Auguste-Dominique Ingres. Anche le due fonti iconografiche utilizzate dal Manet, il Concerto campestre e il Giudizio di Paride, raffiguravano nudi.

Lo scandalo non nasceva dalla scelta del tema, bensì dal fatto che la presenza della giovinetta nuda accanto ai due uomini vestiti non fosse giustificata da alcun pretesto mitologico, storico o letterario. La donna raffigurata da Manet non è una ninfa, o un personaggio mitologico, bensì è clamorosamente una parigina del tempo. Cfr. il  togliere le mutande ai borghesi della psicoanalisi successiva.

 A rincarare la dose neanche i suoi due compagni erano camuffati in paludamenti storici: ad abbigliarli non erano infatti abiti classici, o magari vesti rinascimentali, bensì «gli orribili costumi moderni francesi», come osservò disgustato il critico Hamilton. A sconcertare il pubblico era dunque il fatto che Manet avesse abbandonato il repertorio figurativo accademico e si fosse cimentato in un soggetto contemporaneo, fin troppo contemporaneo, senza ricorrere al «sostegno ipocrita del travestimento storico» (Abate).

L’arte cerca di rappresentare oggetti radicati nell’idea platonica.

L’oggetto può venire violentato e deformato (Picasso). La filosofia è consapevole del fatto che lo spirito logico non può abbracciare la totalità del mondo. Il sapere non è sapienza come scrive Euripide nelle Baccanti.

 La poesia invece cerca di rappresentare l’universale magari attraverso il paticolare. Goethe con il suo dilettantismo è l’uomo che, insoddisfatto di ogni scienza specialistica, tenta di raggiungere una conoscenza universale. L’arte vuole raggiungere la totalità: è una forma di religione questo puntare a una conoscenza totale

L’assillo della morte è un monito che induce a riempire la vita di significati. L’opera d’arte risulta tanto durevole quanto più si avvicina alla totalità

L’opera d’arte deve essere non solo estetica ma anche etica. Chi mira alla sola bellezza rischia il Kitsch

   Il sostantivo tedesco Kitsch indica lo stile di oggetti artistici di cattivo gusto.Il kitsch è spesso associato a tipi di arte sentimentali, svenevoli e patetici; il termine può comunque essere utilizzato per descrivere un oggetto artistico che presenta una qualsiasi mancanza: una delle caratteristiche di questo tipo di arte consiste, infatti, nel tendere ad essere una imitazione sentimentale superficiale e teatrale. Si sottolinea spesso la mancanza, negli oggetti chiamati kitsch, del senso di creatività ed originalità propri dell'autentica arte. Una definizione generica adottata nell'architettura e nel design indica come kitsch qualsiasi oggetto la cui forma non derivi dalla funzione.

L’arte deve scoprire le forze che agiscono nell’epoca e simbolizzarle. Nella disintegrazione dei valori l’arte cerca nuovi miti e un nuovo ordine.

Mella crisi del capitalismo che stiamo vivendo gli artisti dovrebbero suggerire una reazione proficua per l’umanità. Questa non può essere certo l’economia di guerra progettata da molti governi europei. E’ necessaria una svolta che comprenda utilità e bellezza.

Ricordo Orazo:  : “aut prodesse volunt aut delectare poetae,/aut simul et iucunda et idonea dicere vitae” (Ars poetica, 333-334), i poeti vogliono o giovare o dilettare, e dire cose insieme piacevoli e appropriate alla vita. Inoltre il poeta di Venosa suggerisce la brevità (esto brevis, v. 335), la verosimiglianza e, di nuovo, l’unione di utilità e piacevolezza: “omne tulit punctum qui miscuit utile dulci,/lectorem delectando pariterque monendo” (343-344), ha preso punteggio pieno chi ha mescolato l’utile al piacevole, dilettando il lettore e nello stesso tempo, ammaestrandolo.

 

Bologna 8 aprile 2025 ore 11 giovanni ghiselli.

p. s.

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Il 19 maggio presenterò l’Ulisse di Joyce confrontato con l’Odissea nella biblioteca Ginzburg di Bologna.

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