mercoledì 9 aprile 2025

Ifigenia XXV Il risveglio. La strada. La scuola. Tipi di colleghi.

 

La mattina seguente, il 30 novembre, mi alzai ancora assonnato. Aperta la finestra, vidi confortevoli segni della terra e del cielo: la grande nevicata era finita e la massa bianca si liquefaceva permettendo il transitare delle donne e degli uomini da casa al lavoro con qualsiasi mezzo. Anche il cielo si stava schiarendo: tra le nuvole che andavano diradandosi si vedevano alcuni pezzi di azzurro lucido. Questo, aiutato da un vento non freddo, apriva la strada ai cavalli del sole che, usciti dal mare Adriatico,  procedevano risalendo dalla parte dove di mattina il cielo è più vivo. Una nube nera ma squarciata nel mezzo e sbrindellata sui fianchi non poteva nascondere l’immagine luminosa, divinamente compatta che saliva rotonda su per il cielo con i raggi ancora irrorati dalla spuma marina, portando conforto, con l’augurio di un più sereno dì, a me e agli altri mortali oppressi dal buio inquieto del lungo pomeriggio nevoso. Nutrivo nell’anima ancora qualche apprensione per le difficoltà che avrei dovuto affrontare insieme con la giovane collega e amante malmaritata, tuttavia non avevo angosce quella mattina poiché dopo aver riposato e osservato la santa faccia luminosa del primo fra tutti gli dèi, pensavo che la bella ragazza  fosse disposta a lottare con me per seguitare a incontrarci nel talamo nostro dalle cinque alle sette del pomeriggio, e confidavo che per noi due ci sarebbe stato un futuro pieno di cose belle e utili da fare insieme. Non solo lussuriosi, libidinosi e dissoluti eravamo entrambi, ma anche capaci di creare nel bello secondo l’anima. Ifigenia queste speranze le aveva dichiarate più volte e quella mattina le condividevo mettendo via la sensazione  stanca, rinunciataria, senile che talora mi assaliva.

Quando per le strade non più ingombre fui arrivato al liceo ed ebbi parcheggiato la nera Volkswagen nel cortile della scuola, entrai nel piano terreno e lo percorsi tutto senza incontrare  la bella collega mia amante, quindi salìi le scale ed entrai nella sala dei professori.

In settembre avevo iniziato il terzo anno di insegnamento al Minghetti  che nei due precedenti era stato guidato dal preside gentiluomo Pietro Cazzani, democratico, colto, intelligente e ancora di bell’aspetto dopo i sessanta. Una figura paterna e quasi un modello per me.

Quest’uomo mi aveva aiutato nella difficile circostanza dell’inserimento nel nuovo ambiente piuttosto prevenuto nei confronti dei colleghi giovani e non deformi. Cazzani aveva incoraggiato con parole umane la mia laboriosa crescita culturale e professionale ancora in fìeri dopo l’esordio imolese dove un altro preside galantuomo mi aveva aiutato. Altri incoraggiamenti decisivi li avevo ricevuti dalle ragazze e dai ragazzi miei studenti.

Il preside nuovo arrivato che non era  bello né buono, quando andai a salutarlo per vedere chi fosse e farmi conoscere, mi respinse pregiudizialmente dicendo: “Io non l’ho fatta chiamare”. Tornai indietro  parecchio avvilito da quel modo di fare. Mi tornò in mente l’esordio alla scuola media di Carmignano di Brenta che tu, lettore, conosci[1].

“E’ un prepotente maleducato”, pensai anche questa volta.

 

Il nuovo  preside bolognese   mi era ostile come quello della scuola media di Carmignano dove avevo debuttato nel 1969, ma là trovai una collega autorevole che mi difendeva: la vicepreside Antonia Sommacal che sarebbe poi diventata un’amica, l’amica migliore che abbia mai avuto, migliore e più amica di tante amanti.

 

Nel liceo Minghetti di Bologna invece non avevo difensori decisi e sicuri tra i colleghi.

Il gruppo, o piuttosto il gregge degli apolitici, inutile peso alla terra,  per non avere noie si conformava agli umori del preside e al suo malvolere nei miei confronti; i fascisti cui non ero mai piaciuto, ma finché c’era il preside a me favorevole si limitavano a evitarmi, dopo l’avvento del preside simile a loro, lo aizzavano contro di me rendendolo sempre più malevolo e ostile alla mia persona.

E i comunisti?

Nemmeno quelli che avevo immaginato quali compagni politici mi amavano per la varietà delle idèe che traevo da autori diversi: dai “religiosi” arcaici Pindaro e Sofocle, come dal “sacrilego Euripide” e dai razionalisti Democrito, Epicuro, Lucrezio; per giunta mi piacevano  Nietzsche  e T. S. Eliot, autori che per alcuni di loro andavano addirittura messi all’indice. 

Tra i denigratori, i più attivi e accaniti mi accusavano di infamie su infamie, e  istigavano il preside  perché mi cacciasse una volta per tutte. Che cosa facevo  di male secondo il loro pensiero che presentavano confusamente   attraverso metafore e allegorie maliziose?

Insegnavo a pensare, a non credere, a non obbedire prima di averci pensato; estirpavo l’erba cattiva dei luoghi comuni dall’anima dei ragazzini invogliandoli a leggere i testi degli autori-accrescitori; stimolavo a confrontare gli autori tra loro, a esaminare idèe contrapposte-dissoi; lovgoi-, a verificare o smentire attraverso le loro esperienze le letture fatte, a raccogliere e ricordare le espressioni efficaci e belle, a utilizzare la cultura per potenziare la loro natura, come avevano insegnato a me  gli autori egregi che mi avevano accresciuto.

  Abituavo i ragazzi a considerare la grammatica e la sintassi quali mezzi necessari per arrivare a leggere i testi, a capirli, a conoscere bene i significati veri, cioè etimologici delle parole. Dagli autori che presentavo, citavo e spiegavo, i miei allievi dovevano imparare a parlare e a scrivere con chiarezza, brevità e forza, a trovare uno stile di eloquio, di scrittura e di vita, elegante e pure produttivo di risultati buoni. I ragazzi del liceo che mi avevano tolto seguitavano a chiedere la mia presenza perché si erano sentiti aiutati a maturare da un giovane insegnante impegnato a crescere con loro, a diventare uomo lui stesso con una disciplina ferrea e un entusiasmo che sapeva trasmettere.

Ma la cricca invidiosa che metteva su il nuovo preside contro di me gli dicevano che io plagiavo gli studenti seducendoli con artifici e astuzie indegne di un docente.

Una vecchia collega simpatica mi disse: “i ragazzi ti amano perché li attrai con i mezzi non comuni che hai, diversi colleghi ti odiano perché non  hanno le tue doti né le tue capacità”.

I simpatizzanti con il mio metodo e la mia persona però erano pochi, si facevano sentire di rado e assai flebilmente.

Bologna 9 aptile  2025 ore 17, 05 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Cfr i capitolo scolastici del mio Tre amori a Debrecen.  Potete averlo in prestito dalla biblioteca Ginzburg di Bologna. Non compratelo dunque!

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