Nei primi tempi si faceva molto l’amore e ci piaceva assai farlo ogni giorno più volte. Ci sentivamo due atleti o due eroi, perfino due santi del sesso. Tuttavia sentivamo che mancava qualcosa. Allora non sapevo che cosa fosse. Poi ho constatato e ora so che l’emozione fondata sul piacere sessuale, magari associata all’orgoglio e al vanto della forza, della bellezza e della gioventù, pur se dura più a lungo del tempo necessario a sfogare la prima libidine, anche se può prolungarsi per diversi mesi quando la voglia è resa più piccante e tosta dal gusto di trasgredire le regole dei mediocri e di scandalizzare i furfanti bigotti, dopo due o tre stagioni esaurisce il suo vigore ascendente se l’ammirazione della bellezza non si associa alla conoscenza e alla prassi del Bene che è il sapere più alto, che è la sapienza vera, quella che giunge all’ajrchv, al principio del Bene, e chi ama tale Sofiva si sente frustrato, infelice se non riesce a salire su questa vetta che offre una larga visione dall’alto su tutta la vita umana.
Ora comprendo come comprese Admeto, il marito che dopo avere mandato a morire la propria moglie Al cesti, si rammarica e dice : “a[rti manqavnw”[1]. Ma quell’ora arriva spesso che è già troppo tardi.
L’amore non è solo impeto di cupidità quando gli amanti si appetiscono ma non si amano. Poi, saziato l’appetito, si nauseano uno dell’altro. Manifestai amore generoso a una donna soltanto una sera dell’agosto del 1971 quando lasciai perdere l’occasione ghiotta di una ragazza francese e chiesi scusa a Elena per avere corteggiato la fanciulla fresca come una prugna umida di rugiada pimaverile e agile come una rondine. Allora la donna matura mi disse: “io non sono materia”, e finalmente la stimai e l’ammirai oltre desiderarla. Dovetti farmi perdonare per toccarla di nuovo. Elena è la donna augusta che ricordo con maggior gratitudine e ammirazione siccome ci siamo scambiati non solo piacere ma anche rispetto[2]. Se avessimo avuto più tempo saremmo arrivati a una trasfusione di anime.
A un tratto mi alzai, guardai l’orologio e il tempo di fuori. Per Ifigenia era già tardi: mancavano pochi minuti alle sette e la neve che cadeva fittissima da quattro ore aveva formato in terra una difficoltà per il ritorno della sposa in tempo tale da non provocare burrascose scenate da parte del marito.
Ifigenia mi venne vicino e le feci notare che lo spessore bianco era talmente alto, compatto e scivoloso che dove copriva l’erta rampa di uscita dal mio garage poteva impedire la salita della nera Volkswagen.
Intanto vi scivolavano dei ragazzini distesi sopra delle slitte. Nessuno di noi due era capace di montare le catene da neve; per giunta non sapevo neanche se le avessi e dove potessi trovarle. Tale mancanza di abilità manuale e il disordine nel tenere le cose, con il tempo ci avrebbe dato non pochi fastidi. Sembra un particolare irrilevante rispetto alla grandezza di una passione amorosa, invece deficienze siffatte e pure più piccole possono generare seri imbarazzi e gravi disturbi in un rapporto. Se la sintonia non è totale, la minima difficoltà si associa subito al malumore e a un meschino spirito competitivo, accusatorio, denigratorio. Se la fiamma erotica iniziale non viene alimentata dallo spirito della generosità e dell’altruismo reciproco, l’ardore amoroso prima languisce nella ripetitiva, noiosa routine, poi con il tempo diventa un tizzone quasi del tutto spento, alimentato solo dal rancore reciproco. Andrà a finire così ma questa fine non era vicina. Del resto ogni cosa segretamente temuta accade sempre. Prima o poi.
Basta pensare alla morte.
Avvertenza: il blog contiene 2 note e il greco non traslitterato.
Bologna 8 aprile 2024 ore 20, 13 giovanni ghiselli.
p. s.
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