“O
cameretta che già fosti un porto a le gravi tempeste mie diürne, fonte se’ or di lagrime nocturne”
Terminato
questo pensiero, ero arrivato a recuperare l'automobile. Più
tardi in albergo mi preparai per l'incontro. Volevo piacerle. Mi lavai, mi feci la barba, mi vestii sotto e sopra
con cura particolare. Poi
scesi dal portiere a chiedere la chiave della stanza dove avrebbe
dormito la signorina. Avevo preso una seconda camera per
non dare alle zie la certezza e la prova della nostra intimità.
Si sarebbero scagliate contro la “ragazzaccia”, dissoluta, dalle libidini
inaudite. La stanza era luminosa, con vista sui
monti pallidi che, posti a oriente, la sera si tingono di rosa, come una
donna che vuole incontrare l'amante. Però
la chiave non serrava bene la porta. "Qui
non si può fare l'amore con tranquillità - pensai - brutto segno". Dopo
l'ispezione andai a cenare, quindi partii per la stazione di Trento.
Durante il viaggio lungo una sessantina di chilometri, fantasticavo. Immaginavo
che dentro l'automobile, di fianco a me ci fosse una bambina
bella, bruna, vivace, simile a Ifigenia e, in meglio, anche
a me. La
nostra creatura immaginaria mi domandava: "Dove
andiamo, gianni?" "Alla
stazione di Trento, cocca, incontro alla mamma", rispondevo. "E'
bella la mamma?" "Sì,
amore, molto. Tua madre è una donna straordinaria: la più bella e intelligente
del mondo". "Più
bella di me?", voleva sapere, con rivalità tipicamente femminile. "No
tesoro", rispondevo con qualche imbarazzo, benché sia portato a corteggiare
le femmine umane di ogni età, condizione e razza, poiché
in tutte trovo qualcosa di interessante e degno di essere indagato,
come in me stesso. "Lei è la migliore di tutte le donne; tu sei la cittina più bella del mondo e la luce dei
miei occhi". Se
avessi avuto una figlia l’avrei corteggiata in questa maniera. Probabilmente è
per questo che Päivi o Dio, chiunque egli
sia, non me l’ha data. "Sì,
ma a te chi piace di più?" "Mi
piacete entrambe", concludevo da gesuita, senza dire che l’adulta
mi piaceva di più perché con lei
facevo l'amore. E perché era ancora reale. Così
tenni occupato il cervello durante il viaggio da Moena a Trento
dove arrivai poco prima del treno. La mia donna ne scese con aria da attrice
di successo. Era bella e sicura di sé. Quanto mutata da quella che era
arrivata in ritardo un anno prima, da me che la disprezzavo! Mi
raccontò dei suoi progressi all'Antoniano e del suo ottimo insegnante.
"Ottimo ma non attraente -aggiunse subito - ha la pancia". "Meno
male", borbottai. Poi dissi che l'avevo pensata molto, nel bene
e nel male. "Non
pensarmi troppo - ribatté - soprattutto nel male, poiché dopo vengono
fuori le scenate telefoniche come quella di ieri che francamente mi ha turbata parecchio". Non
risposi: non volevo indagare sull'argomento con il rischio di precipitare
nell'angoscia scoscesa; piuttosto bisognava fare l'amore innumerevoli
volte, fino a perdere il fiato e la lucidità mentale. Però
compresi che la mia brutta telefonata era stata presa male sul serio. Quando,
verso mezzanotte, arrivammo alla Campagnola, salimmo subito in camera mia e facemmo l'amore due volte; la
seconda con una
certa fatica. Quindi disse che aveva
sonno e voleva andare a dormire. "Va
bene - bisbigliai - vestiamoci. Ti accompagno". La seguii fino alla
porta della stanza assegnata a lei, senza dire altro. La salutai e tornai
nella mia cameretta che non era “un porto a
le gravi tempeste mie diürne”. Ricordato Petrarca
per nobilitare la mia pena, mi spogliai e mi infilai nel
letto. Mi chiedevo quale fosse il significato
dell'accaduto. Mi tornò ancora in mente il nostro rivederci
dell'anno precedente, il primo marzo del 1980. L'incontro alla
stazione di Trento, il viaggio fino a Bologna, poi il sesso nel mio
grande letto. Due orgasmi pure quella sera, due miseri orgasmi. Allora
con dolore e con pianto l’amante aveva notato che io non l'amavo più:
infatti nel marzo del '79 l'amore lo facevamo sei, otto volte, ed erano
altrettanti tripudi moltiplicati per due. "Adesso
è lei che non mi ama - pensai - devo farglielo notare". Saltai
fuori dal letto, mi rivestii, e tornai in camera sua, di corsa, per
domandarle se il mio ragionamento filava. Sapevo bene che non
faceva una grinza. Rispose
che le due situazioni non erano uguali: l'anno prima
eravamo arrivati alle dieci di sera, a Bologna, dove avevamo
a disposizione una casa con talamo matrimoniale; lì a Moena
era quasi l'una, il giaciglio era singolo, un po’ cigolante, e noi dovevamo
stare attenti a non fare rumore per via delle zie inevitabili,
capaci di controllarci perfino lassù: bastava una telefonata.
Sapeva che Anna Maria, la proprietaria
dell’albergo era una nipote acquisita della zia Giulia. Sofismi,
calo, adulterazione della passione: she has lost her passion (Ha perduto la sua passione. Cfr. T. S. Eliot, Gerontion, 61). "Va
bene" dissi, per niente convinto. "In effetti è tardi. Vado a dormire.
Ci vediamo domani". Nel
cuore sentivo che quella ragazza, bella, aspirante al successo, stava
diventando una donna, e come tale non mi voleva più: non aveva
altra ragione che l'esame da attrice per restare con me: non tanto
bello, né giovane, né ricco, né famoso. Mi mancavano i numeri
per una ragazza siffatta. Invece di dormire, mi inabissavo nel
naufragio della mia sorte.
Pesaro
11 ottobre 2024 ore 9, 41 giovanni ghiselli
p.
s.
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