venerdì 11 ottobre 2024

Ifigenia LXXXIII. O cameretta che già fosti un porto

O cameretta che già fosti un porto
a le gravi tempeste mie diürne,
fonte se’ or di lagrime nocturne”

Terminato questo pensiero, ero arrivato a recuperare l'automobile. 
Più tardi in albergo mi preparai per l'incontro. Volevo piacerle. Mi lavai,  mi feci la barba, mi vestii sotto e sopra con cura particolare. 
Poi scesi dal portiere a chiedere la chiave della stanza dove avrebbe dormito la signorina. Avevo preso una seconda camera per non dare alle zie la certezza e la prova della nostra intimità. Si sarebbero scagliate contro la “ragazzaccia”, dissoluta, dalle libidini inaudite.
La stanza era luminosa, con vista sui monti pallidi che, posti a oriente, la sera si tingono di rosa, come una donna che vuole incontrare l'amante. Però la chiave non serrava bene la porta.
"Qui non si può fare l'amore con tranquillità - pensai - brutto segno".
Dopo l'ispezione andai a cenare, quindi partii per la stazione di Trento. Durante il viaggio lungo una sessantina di chilometri, fantasticavo. Immaginavo che dentro l'automobile, di fianco a me ci fosse una bambina bella, bruna, vivace, simile a Ifigenia e, in meglio, anche a me. La nostra creatura immaginaria mi domandava:
"Dove andiamo, gianni?"
"Alla stazione di Trento, cocca, incontro alla mamma", rispondevo.
"E' bella la mamma?"
"Sì, amore, molto. Tua madre è una donna straordinaria: la più bella e intelligente del mondo".
"Più bella di me?", voleva sapere, con rivalità tipicamente femminile.
"No tesoro", rispondevo con qualche imbarazzo, benché sia portato a corteggiare le femmine umane di ogni età, condizione e razza, poiché in tutte trovo qualcosa di interessante e degno di essere indagato, come in me stesso.
"Lei è la  migliore di tutte le donne; tu sei  la cittina più bella del mondo e la luce dei miei occhi".
Se avessi avuto una figlia l’avrei corteggiata in questa maniera. Probabilmente è  per questo che Päivi o Dio, chiunque egli sia, non me l’ha data.
"Sì, ma a te chi piace di più?"
"Mi piacete entrambe", concludevo da gesuita, senza dire che l’adulta mi  piaceva di più perché con lei facevo l'amore. E perché  era ancora reale.
Così tenni occupato il cervello durante il viaggio da Moena a Trento dove arrivai poco prima del treno. La mia donna ne scese con aria da attrice di successo. Era bella e sicura di sé. Quanto mutata da quella che era arrivata in ritardo un anno prima, da me che la disprezzavo! Mi raccontò dei suoi progressi all'Antoniano e del suo ottimo insegnante. "Ottimo ma non attraente -aggiunse subito - ha la pancia". 
"Meno male", borbottai. Poi dissi che l'avevo pensata molto, nel bene e nel male. "Non pensarmi troppo - ribatté - soprattutto nel male, poiché dopo vengono fuori le scenate telefoniche come quella di ieri che francamente mi ha turbata parecchio".
Non risposi: non volevo indagare sull'argomento con il rischio di precipitare nell'angoscia scoscesa; piuttosto bisognava fare l'amore innumerevoli volte, fino a perdere il fiato e la lucidità mentale. Però compresi che la mia brutta telefonata era stata presa male sul serio. Quando, verso mezzanotte, arrivammo alla Campagnola, salimmo subito in camera mia e facemmo l'amore due volte; la seconda con una certa fatica. Quindi disse che aveva sonno e voleva andare a dormire.
"Va bene - bisbigliai - vestiamoci. Ti accompagno". La seguii fino alla porta della stanza assegnata a lei, senza dire altro. La salutai e tornai nella mia cameretta che non era “un porto a le gravi tempeste mie diürne”.
Ricordato Petrarca per nobilitare la mia pena, mi spogliai e mi infilai nel letto. Mi chiedevo quale fosse il significato dell'accaduto. Mi tornò ancora in mente il nostro rivederci dell'anno precedente, il primo marzo del 1980. L'incontro alla stazione di Trento, il viaggio fino a Bologna, poi il sesso nel mio grande letto. Due orgasmi pure quella sera, due miseri orgasmi. Allora con dolore e con pianto l’amante aveva notato che io non l'amavo più: infatti nel marzo del '79 l'amore lo facevamo sei, otto volte, ed erano altrettanti tripudi moltiplicati per due. 
"Adesso è lei che non mi ama - pensai - devo farglielo notare".
Saltai fuori dal letto, mi rivestii, e tornai in camera sua, di corsa, per domandarle se il mio ragionamento filava. Sapevo bene che non faceva una grinza. Rispose che le due situazioni non erano uguali: l'anno prima eravamo arrivati alle dieci di sera, a Bologna, dove avevamo a disposizione una casa con talamo matrimoniale; lì a Moena era quasi l'una, il giaciglio era singolo, un po’ cigolante, e noi dovevamo stare attenti a non fare rumore per via delle zie inevitabili, capaci di controllarci perfino lassù: bastava una telefonata. Sapeva che Anna Maria,  la proprietaria dell’albergo era una nipote acquisita della zia Giulia. Sofismi, calo, adulterazione della passione: she has lost her passion (Ha perduto la sua passione. Cfr. T. S. Eliot, Gerontion, 61).
"Va bene" dissi, per niente convinto. "In effetti è tardi. Vado a dormire. Ci vediamo domani".
Nel cuore sentivo che quella ragazza, bella, aspirante al successo, stava diventando una donna, e come tale non mi voleva più: non aveva altra ragione che l'esame da attrice per restare con me: non tanto bello, né giovane, né ricco, né famoso. Mi mancavano i numeri per una ragazza siffatta. Invece di dormire, mi inabissavo nel naufragio della mia sorte.

Pesaro 11 ottobre 2024 ore 9, 41 

giovanni ghiselli



p. s.

Statistiche del blog

Sempre1628441

Oggi74

Ieri324

Questo mese3669

Il mese scorso9470

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia. CCI Tira e molla. Un’altra cena sul monte delle formiche. Excursus su Marisa.

  Appena arrivato a casa, per confermarmi nel proposito buono di scrivere presto tutta quanta la storia con gli antefa...