Odissea vv. 35-43
Sommario
Zeus ricorda i misfatti di Egisto che ha commesso adulterio con una propria congiunta, moglie di un consanguineo, un cugino che poi ha ammazzato. Eppure era stato avvertito da Ermes che ai suoi delitti sabbe seguito un castigo con il quale li avrebbe pagati tutti.
Traduzione
“Così anche ora Egisto oltre il destino si prese la moglie legittima dell’Atride, e lo ammazzò appena tornato,
pur sapendo della morte scoscesa, poiché gliela predicemmo noi,/
mandando Ermes, l’Argifonte dalla vista acuta,
avvisandolo di non ammazzarlo e di non corteggiarne la sposa:
infatti da Oreste ci sarà la vendetta dell’Atride,
quando sia adulto e desideri la sua terra.
Così diceva Ermes, ma non persuadeva la mente
di Egisto, pur pensando al suo bene; e ora tutto insieme ha pagato”.
v.35 Ai[gisqo~ figlio di Tieste, figlio di Pelope, figlio di Tantalo.
La stirpe dei Tantalidi originaria della Lidia è maledetta quanto quella dei Labdacidi tebani arrivati con Cadmo dalla Fenicia.
Le loro sciagure ricorrono in molte tragedie.
Zeus esemplifica e condanna un comportamento negativo che ha creato dolore e rovina a molte persone ed è stato pagato con la vita da chi ha commesso i delitti. Omero in questi versi è un educatore e l’educazione procede attraverso gli esempi.
Platone nella Repubblica afferma che non sono diversi dai ciechi coloro che non hanno nell’anima nessun esemplare chiaro:"mhde;n ejnarge;" ejn th'/ yuch'/ e[conte" paravdeigma" (484c).
Seneca sostiene che la via per la saggezza è breve ed efficace attraverso gli esempi, mentre è lungo il cammino che passa per i precetti:"longum iter est per praecepta, breve et efficax per exempla (Epist. , 6, 5).
v. 36- jAtreΐdao : genitivo eolico che torna al v. 40 con jOrestavo.- jgh`m j (e) (v. 36): aoristo senza aumento da gamevw.- a[locon: sostantivo formato da aj-copulativo+ il grado forte di levco"=letto.
-mhsthvn : dalla radice di mnavomai, “corteggio”, “aspiro alle nozze”. Cosa che non si può fare, secondo questa morale, con una donna sposata.
Messalina, la famigerata imperatrice, voleva proprio sposare uno dei suoi amanti. Secondo Tacito questa moglie dell’imperatore Claudio :"iam...facilitate adulteriorum in fastidium versa ad incognitas libidines profluebat "[1], oramai volta alla noia per la facilità degli adultèri, si lasciava andare a dissolutezze inaudite.
L'incognita ed estrema libido fu quella di sposare l'amante Silio, e non a Claudio morto. L'amante la incalzava (urgebat) con l'argomento che "flagitiis manifestis subsidium ab audacia petendum ", negli scandali scoppiati bisogna chiedere soccorso all'audacia.
Messalina era dubitosa e accoglieva quelle proposte segniter (con indifferenza) non amore in maritum, non per amore verso il marito, ovviamente, bensì per timore che Silio, summa adeptus , afferrato il potere, poi disprezzasse l'adultera
"Nomen tamen matrimonii concupivit ob magnitudinem infamiae cuius apud prodigos novissima voluptas est " (Tacito, Annales , XI, 26), nondimeno desiderò la rinomanza del matrimonio per l'enormità della cattiva fama il cui piacere è l'estremo per gli scialacquatori del buon nome.
Si pensi ai disgraziati di oggi che si coprono di infamia pur di comparire in televisione.
Svetonio racconta un pettegolezzo il quale ha dell'incredibile:"Nam illud omnem fidem excesserit: quod nuptiis, quas Messalina cum adultero Silio fecerat, tabellas dotis et ipse consignaverit " (Vita di Claudio, 29), questo poi oltrepasserebbe ogni credibilità: che alle nozze contratte da Messalina con l'adultero Silio, egli stesso[2] avesse sottoscritto l'atto dotale.
v. 38: -pevmyante~ participio aoristo di pevmpw. Ermes poi, come psicopompo, accompagnerà Egisto nell’Ade.-
v. 39 mnavasqai: infinito di mnavomai con “distrazione” . Ha la stessa radice di mnhsthvr, pretendente. L’ultima parte dell’Odissea viene indicata come mnesterofonia, l’uccisione dei proci.
.-a[koitin (v. 39): la radice è kei- /koi-; a[koiti" è colei che dorme insieme, da aj copulativo+ kei'mai, "giaccio". Sulla stessa radice anche keimhvlion, "oggetto riposto", "tesoro".
-hJbhvsh/ (v. 41): congiuntivo dell’aoristo di hJbavw. Il congiuntivo introdotto da a[n significa l’eventualità che Oreste riesca a scampare alla malevolenza di Egisto. Sarà il primo test del suo eroismo. Egisto è invece un antieroe
Nel verso 43 ora tutto insieme ha pagato (ora tutto insieme ha pagato) troviamo una logica lapidaria di delitto e castigo che prelude alla tragedia Agamennone di Eschilo con la legge del contrappasso: " ejktivnei d j oJ kaivnwn.-mivmnei de; mivmnonto" ejn qrovnw/ Dio;"-paqei'n to;n e[rxanta", Agamennone , vv. 1562-1564 , paga chi uccide. Rimane stabilito, finché Zeus rimane nel trono, che chi ha fatto subisca: è infatti legge divina. Il tragediografo condanna lo spargimento di sangue, in particolare quello di un re legittimo da parte di un suddito e parente come un delitto inespiabile.
L’Odissea, in breve, si apre proprio sollevando un problema di giustizia ed è chiaro che il poeta ha voluto lanciare questa idea con forza, all’inizio del poema. Lo stesso poeta non tralascia mai l’occasione di mostrare gli dei che puniscono gli eccessi, di ricordare che Zeus è il protettore non soltanto degli ospiti, ma anche dei mendicanti (VI, 208) e dei supplici (IX, 270).
Da un capo all’altro dell’Odissea, di conseguenza, vediamo precisarsi quel senso della giustizia che nell’Iliade si poteva solo intravvedere. Forse dipende dal soggetto dell’opera, oppure dall’autore: ma è un fatto che questo stesso senso della giustizia si affermerà ancora di più in Esiodo e più tardi nel grande poeta tragico, in Eschilo (V sec- a. C.)”[3].
Egisto già secondo Omero si è meritata la morte, ma Atena fa notare: Odisseo che cosa ha fatto di male? Egli viene trattenuto in un'isola bagnata all'intorno dov'è l'ombelico del mare ("o{qi t h ojmfalov" ejsti qalavssh"", v. 50) da una qeav che sempre cerca di affascinarlo ("qevlgei", v. 57) con dolci e seducenti parole affinché scordi Itaca. Odisseo però vuole tornare a casa e Atena intende aiutarlo. L'intercessione della figlia d Zeus funziona. Il padre le risponde che non può dimenticare l'uomo il quale è al di sopra dei mortali quanto alla mente ("peri; me;n novon ejsti; brotw'n", v. 66) ed è pio siccome offre sacrifici agli dèi. Dunque l'intelligenza, il novo" rende simpatico l'uomo a Dio e lo assimila a lui creando un vincolo di comprensione reciproca. Parte insomma di qui la assimilazione a Dio che Socrate consiglia nel Teeteto di Platone (176b) sviluppando giustizia e santità oltre che la sapienza .
L’ombelico del mare e quello del mondo
Si può notare che l'ombelico del mare nell'Odissea (v. I, 50 citato sopra) è un luogo in definitiva repulsivo per il protagonista, mentre quello della terra, e del mondo, Delfi, nella successiva letteratura greca è centro attrattivo e propulsivo da dove Apollo, interprete del padre ("pavtrio" ejxhghthv"", Platone, Repubblica , 427c ) emana i suoi responsi, sempre vivi "aijei; zw'nta", secondo Sofocle nell' Edipo re , v. 481). Il mare dunque non gode di considerazione benevola nei primi autori, né in questo episodio omerico, né in Esiodo.
Questo poeta cel VII secolo consiglia dei limiti per la navigazione
che deve essere praticata solo nella tarda estate e al principio dell' autunno ( [Erga, 618-694).
In primavera, quando appare la foglia del fico sulla punta del ramo, tanto grande quanto l'orma che lascia una cornacchia(679-680):" o{son t j ejpiba'sa korwvnh- i[cno" ejpoivhsen", il mare è navigabile (tovte d j a[mbatov" ejsti qavlassa"681) ma Esiodo non consiglia di imbarcarsi in questo periodi siccome è un momento ajrpaktov , fugace (684), rapinoso, ed è tremendo morire tra le onde: deino;n d’ ejsti; qanei'n meta; kuvmasin", 687.
Nel romanzi I Malavoglia (del 1881), Mena dice:"il mare è amaro ripeteva ed il marinaio muore in mare"(p. 98).
In Orazio c'è l'Adriatico tempestoso (l'"Adriatico selvaggio" in I pastori di D'Annunzio) i cui flutti piegano i golfi di Calabria (Odi , I, 33, 15-16). Oppure l'Adriatico è un mare roco dai frangenti rotti (II, 14, 14), o è improbus Hadria , III, 9, 21, il "mare crudele" di una canzone degli anni '50
Scheda
L'eroe nella cultura europea. Primeggiare sempre e non cedere mai.
l'Achille di Omero, Nietzsche, Orazio, Callino, Tirteo, Carmen Jones di Otto Preminger, il Bruto Minore di Leopardi, Lucrezio, l’Aiace di Sofocle, Polissena nell’Ecuba di Euripide, Edipo, Guerra e pace di Tolstoj. Pindaro: Pelope e Giasone. La forza di quest’ultimo è la bellezza. L’affresco dei Carracci a Bologna (palazzo Fava). L’Achilleide di Stazio.
“Dopo che l’eroismo è sparito dal mondo, e invece v’è entrato l’universale egoismo, amicizia vera e capace di far sacrificare l’uno amico all’altro, in persone che ancora abbiano interessi e desideri, è ben difficilissima”[4].
Secondo Freud l’eroe del mito è colui che “coraggiosamente si leva contro il padre e alla fine lo supera vittoriosamente”. Ma vediamo di contestualizzare questa frase
L’inventore della psicanalisi ricorda ricorda il mito di Crono che divora la propria prole, considerandolo emblematico del fatto che "nel rapporto fra genitori e figli si cela più di un'occasione di ostilità. Negli strati più bassi come in quelli più alti della società umana, la pietà per i genitori suole cedere di fronte ad altri interessi. Le oscure notizie che, attraverso la mitologia e la leggenda, ci sono pervenute dai primordi della società umana, danno un'inquietante immagine della pienezza di potere del padre e dell'assenza di scrupoli con cui veniva esercitata. Crono divora i suoi figli, pressappoco come il cinghiale la figliata della femmina; Zeus evira il padre e si pone al suo posto in veste di dominatore"[5].
In L'uomo Mosè e la religione monoteistica Freud sostiene che in parecchi miti di vari popoli, l'eroe è il giovane che sopravvive alla malevolenza del padre, quindi lotta contro di lui per il possesso della madre fino ad uccidere l'aborrito rivale, realizzando così il desiderio inconscio di tutti i maschi. Vediamo alcune parole del testo:" I nomi più noti della serie che comincia con Sargon sono Mosè, Ciro e Romolo. Oltre ai quali, tuttavia, Rank ha raccolto un grande numero di figure eroiche appartenenti alla poesia o alla leggenda, cui viene attribuita, interamente o in frammenti ben riconoscibili, la stessa vicenda giovanile: Edipo, Karna, Paride, Telefo, Perseo, Eracle, Gilgamesh, Anfione e Zeto, e altri[6]. Fonte e intento di questo mito ci sono divenuti noti per merito delle ricerche di Rank. Mi basterà farvi riferimento, con poche brevi osservazioni. Eroe è colui che coraggiosamente si leva contro il padre e alla fine lo supera vittoriosamente. Il nostro mito insegue questa lotta nella preistoria individuale, perché fa nascere il bambino contro la volontà del padre e lo fa salvo nonostante le cattive intenzioni di questi"[7].
Il modello dell'uomo eroico che, avido di gloria e onore, pervade tutta la cultura greca, è la figura di Achille. Il figlio di Tetide, come gli altri protagonisti dell'Iliade, il poema epico che presenta il grado eroico dell'esistenza umana, passa la vita in un continuo cimentarsi e gareggiare. Il motto del combattente omerico è "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn"( VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri. Lo raccomandano i padri ai figli (nel sesto canto il licio Ippoloco a Glauco, nell'undicesimo Peleo ad Achille, v. 784).
Nietzsche fa di questo aspetto agonistico con volontà di primeggiare una caratteristica precipua dei Greci antichi: "Poiché il volere vincere e primeggiare è un tratto di natura invincibile, più antico e originario di ogni gioia e stima di uguaglianza. Lo stato greco aveva sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica e musica, aveva cioé delimitato un'arena dove quell'impulso poteva scaricarsi senza mettere in pericolo l'ordinamento politico. Con il decadere finale della gara ginnastica e musica, lo stato greco cadde nell'inquietudine e dissoluzione interna"[8]. Alla nobiltà dell'azione del resto doveva unirsi quella della mente. Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni:"muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn"[9], a essere dicitore di parole ed esecutore di opere.
Ancora Nietzsche con formula schopenhaueriana: “L’eroe, la più alta apparenza della volontà”[10].
L’eroe non cede mai.
L'eroe non fa niente che non stimi degno della sua natura: Achille , cedere nescius [11], non si lascia bloccare dalla profezia di sventura del cavallo fatato Xanto, e gli risponde:"ouj lhvxw"[12], non cederò.
Anche l’elegia guerresca contiene l’imperativo eroico del “non cedere”, con l’aggiunta dell’amore patrio, ripreso poi da Orazio[13]. Callino di Efeso (VII se. A. C.) esorta i combattenti a morire con le armi in pugno: “kaiv ti~ ajpoqnhvskwn u{stat j ajkontisavtw” (fr. 1 W,. V. 5), e ciascuno morendo scagli l’ ultimo strale.
Altrettanto fa Tirteo poeta e soldato spartano che scrive nello stesso periodo: “teqnavmenai ga;r kalo;n ejni; promavcoisi pesovnta-a[ndr j ajgaqo;n peri; h|/ patrivdi marnavmenon…jalla; ti~ eu\ diaba;~ menevtw posi;n ajmfotevroisi- sthricqei;~ ejpi; gh'~, cei'lo~ ojdou'si dakwvn” (fr. 10 W., vv. 1-2 e 31-32), in effetti è bello che un uomo valoroso sia morto cadendo tra i combattenti della prima fila mentre lotta in armi per la patria…avanti, ognuno rimanga saldo divaricando bene le gambe con entrambi i piedi fissato a terra, mordendo il labbro con i denti.
Questo guerriero che piantato in prima fila resiste senza tregua è xuno;n ejsqlovn tou'to povlhiv te pantiv te dhvmw/ (fr. 12 West., v. 15), un bene comune alla città e al popolo intero, in quanto combatte per la patria nella struttura compatta della falange oplitica.
Questa posa del guerriero diritto che non indietreggia è ripresa dal pugile che sostituisce il toreador nella versione cinematografica e americana[14] della Carmen di Bizet: “Stand up and fight, untill you hear the bell, stand toe to toe, trade blow for blow…untill you hear the bell, that final bell, stand up and fight like hell! ”, rimani in piedi e combatti, finché non senti la campana, rimani dritto punta contro punta del piede, rendi colpo per colpo, finché non senti la campana, quella campana finale, rimani in piedi e combatti come un inferno!
Della definizione oraziana dell'eroe si ricorda Leopardi nel Bruto Minore:" Guerra mortale, eterna, o fato indegno,/teco il prode guerreggia,/ di cedere inesperto"(vv. 38-40).
L’eroismo del “non cedere” viene attribuito da Lucrezio a Epicuro. Leggiamo alcuni versi che celebrano l’epoca vittoria del maestro greco sulla religio:
Quando la vita umana giaceva davanti agli occhi turpemente
schiacciata in terra sotto la religione opprimente
che dalle regioni del cielo mostrava la testa
incombendo sopra i mortali con il suo orribile aspetto,
per la prima volta un Greco, un uomo, osò alzare contro
gli occhi mortali e contrapporsi per primo,
(primum Graius homo mortalis tollere contra
est oculos ausus primusque obsistere contra)
uno che né la fama degli dèi, né i fulmini, né il cielo
con il rombo minaccioso trattenne, ma tanto più incitò
l'acuta forza dell'anima a volere spezzare per primo
gli stretti serrami delle porte della natura (De rerum natura, I, 62-71).
G. B. Conte trova che i versi 66-67 risentano da vicino del modello omerico: “ in Iliade XVII, 166 ss. Glauco rimprovera Ettore di non aver affrontato in duello il gigantesco terribile Aiace: “Non hai osato (oujk ejtavlassa~) stare a fronte ( sthvmenai a[nta ) di Aiace magnanimo guardandolo negli occhi (kat j o[sse ijdwvn) fra il grido nemico, né combatte con lui a faccia, prché è più forte di te”. Ecco la sequenza della sfida…porsi di fronte al nemico, guardarlo negli occhi per provocarlo a battaglia, senza farsene spaventare; segue il combattimento. E’ questo che Lucrezio aveva in mente quando (I 62-72), proprio all’inizio del poema, quasi subito dopo l’inno a Venere (che in un certo senso è fuoritesto), presenta l’eroe del suo poema…La vicinanza al modello è innegabilmente stretta: ejtavlassa~-ausus est ; sthvmenai a[nta-obsistere contra; kat j o[sse ijdwvn-mortalis tendere contra…oculos.”[15].
Non cede alle preghiere di chi pure gli vuole bene l'Aiace di Sofocle: questo eroe, il secondo dell’esercito greco dopo Achille, la torre puvrgo~[16], il baluardo dell’intero esercito acheo, non sopporta di sopravvivere al suo disonore, e prima di uccidersi dice:"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai-to;n eujgenh' crhv"[17], ma il nobile deve vivere nobilmente o nobilmente morire.
Nè manca la ragazza eroica che preferisce la morte ad una vita ignobile: Polissena nell'Ecuba di Euripide chiede alla madre di lasciarla morire senza opporre resistenza:"to; ga;r zh'n mh; kalw'" mevga" povno""(v. 378), infatti il vivere senza bellezza è una grande fatica.
Edipo è un altro personaggio sofocleo che non cede a nessuna pressione, anzi secondo Bernard Knox tutti i protagonisti delle tragedie del poeta di Colono sono caratterizzati dal non cedere alla pressione della norma. Sofocle "dimentica l'adattamento eschileo dello spirito eroico alle condizioni della polis, e fa ritorno ad Achille che, irriconciliabile, siede corrucciato nella sua tenda. Nei suoi eroi che affermano la forza della loro natura individuale contro i loro simili, la loro polis, e perfino i loro dei, egli ricrea ...la solitudine, il terrore e la bellezza del mondo arcaico"[18].
Il Pericle di Tucidide afferma la bellezza e la grandezza del non cedere:"gnw'te de; o[noma mevgiston aujth;n e[cousan ejn a{pasin ajnqrwvpoi" dia; to; tai'" xumforai'" mh; ei[kein (II, 64, 3), sappiate che essa (Atene) ha una grandissima rinomanza tra gli uomini per il fatto che non cede alle disgrazie. E’ una capacità attribuita a tutto il popolo, tanto che B. Knox, ricordando questo passo, ravvisa una somiglianza tra il carattere dei personaggi di Sofocle e quello del dh'mo" ateniese:"Atene proseguì, per tutto il periodo della virilità e della vecchiaia di Sofocle, il suo magnifico e ostinato cammino verso il disastro finale. Come un eroe sofocleo, era innamorata dell'impossibile[19]".
Come i nostri eroi archetipici si comporta il principe Andrej Bolkonskij di Guerra e pace: durante la battaglia di Austerlitz provò paura per un momento, ma poi pensò che questa non era degna del suo ruolo e della sua persona:"Mentre si avvicinava a cavallo, sopra di lui volavano l'una dopo l'altra le granate, ed egli sentì un tremito nervoso corrergli per la schiena. Ma la sola idea che potesse aver paura bastò a rinfrancarlo. "Io non posso aver paura", pensò e scese lentamente da cavallo in mezzo ai cannoni"[20]. Diversi anni più tardi, a Borodino, il nobile russo non si getta a terra, perché si vergogna di farlo, e viene ferito a morte da una granata:" Io non posso, non voglio morire, io amo la vita, amo questa erba, la terra, l'aria...Pensava a questo e nello stesso tempo si ricordò che lo stavano guardando"[21].
Il compenso che il prode si aspetta in cambio dell' ajrethv dimostrata obbedendo a tali obblighi impegnativi fino al sacrificio, è un riconoscimento in termini di onore: la timhv negata è una tragedia per il valoroso che si è distinto in battaglia: Achille si rifiuta di combattere constando che l'uomo codardo e il valoroso sono tenuti nello stesso onore:" ejn de; ijh'/ timh'/ hjme;n kako;" hjde; kai; ejsqlov""[22]. Allora sua madre implora Zeus di onorargli il figlio:"tivmhsovn moi uiJovn"[23], onora mio figlio-prega-, poiché è di vita più breve degli altri, e il signore di genti Agamennone lo disonorò ("hjtivmhsen"[24]) : gli ha preso il suo dono e lo tiene.
Pelope e Giasone nelle Odi pindariche
Pindaro è un altro cantore della vita strenua, al punto che considera indegna di essere vissuta l'esistenza ingloriosa e insignificante dei deboli e vili ignari di aretà : nell’Olimpica I Pelope, aspettando la gara con Enomao prega:"
Allora gli disse:" Se i cari doni di Cipride
rimangono in qualche modo nella tua gratitudine,
avanti, Poseidone, inceppa la lancia di bronzo di Enomao,
e fammi giungere in Elide sul carro
più veloce, e avvicinami alla vittoria.
poiché dopo avere ucciso tredici
pretendenti, procrastina le nozze
della figliola. Il grande pericolo
non prende un uomo imbelle.
Per quelli per i quali morire è necessario, perché uno dovrebbe
smaltire invano una vecchiaia anonima seduto nell'ombra
senza parte di tutte le cose belle? ma questa
gara giacerà sotto di me: tu dammi propizio l'evento".
Così diceva; né lo toccò con parole
senza effetto. E il dio onorandolo
gli diede un cocchio d'oro e cavalli
infaticabili per le ali. (vv. 75-89).
Nella Pitica IV il poeta tebano racconta la conquista del vello d'oro da parte degli eroi Argonauti nei quali la dea Era attizzava la voglia di non essere lasciati presso la madre a smaltire una vita senza rischio (vv. 329-331).
Vediamo qualche parola di Pindaro: Giasone appare splendidissimo in questa ode, dedicata ad Arcesilao IV re di Cirene che aveva vinto con il carro a Delfi nella Pitiade XXXI, nel 462 a. C. La forza suprema del figlio di Esone è la bellezza.
Il giovane giunse con due lance, suscitando meraviglia (ek-paglo~ , vv. 139-140), con una veste aderente, e i riccioli lucenti della chioma (koma'n plovkamoi…ajglaoiv, v. 145) non erano caduti sotto il taglio del ferro, ma gli ondeggiavano lungo tutto il dorso. Egli arrivò con passo diritto e si piantò tra la folla che lo ammirava. Poi giunse Pelia su un carro e, quando vide l’unico calzare nel piede destro del nuovo arrivato, stupì. Ne ebbe paura poiché l’oracolo delfico gli aveva predetto di stare bene in guardia dall’uomo con un solo calzare (to;n monokrhvpida, v. 75). Comunque dissimulò il timore e gli domandò chi fosse.
I tre Carracci, i fratelli Agostino e Annibale che con il cugino Ludovico affrescarono il piano nobile del palazzo Fava a Bologna (1583-1584), mettono in rilievo l’unico piede nudo di Giasone che arriva alle spalle di Pelia il quale si volta dissimulando a stento l’angoscia.
Giasone disse di essere un allievo di Chirone[25], e che intendeva rivendicare l’onore regale sottratto al padre Esone, il sovrano legittimo, dall’usurpatore Pelia. Egli era sparito poiché i genitori spodestati, temendo la prepotenza di un capo arrogante (uJperfiavlou-aJgemovno~ deivsante~ u{brin, vv. 195-196), appena nacque, gli fecero un finto funerale, come se fosse morto, e lo affidarono a Chirone, la fiera divina (fhvr…qei'o~, v. 211) che lo chiamò Giasone. Il padre pianse di gioia vedendo il figlio, che era diventato speciale, il più bello degli uomini (ejxaivreton-govnon ijdw;n kavlliston ajndrw'n, vv. 217-218).
Nel secondo poema, incompiuto, di Stazio, l’ombra come rifugio dei vili e paralisi della virtù dell’eroe, viene rinfacciata da Ulisse a Tetide che aveva imboscato il figlio nell’isola di Sciro dopo averne fatto un travestito: “ Nimis o suspensa nimisque/ mater! An haec tacita virtus torperet in umbra,/quae vix audito litui clangore refugit/et Thetin et comites et quos suppresserat ignes? ” (Achilleide, II, 37-40), troppo ansiosa e troppo madre! poteva paralizzarsi nell’ombra, in silenzio questa virtù che appena udito uno squillo di tromba è fuggito via da Tetide e dalle compagne e da quelle fiamme[26] che aveva represso?
Achille stesso ricorda poi ai Greci, mentre si accinge a seguirli verso Troia, come lo aveva educato Chirone: “visisque docebat/adridere feris nec fracta ruentibus undis/saxa nec ad vastae trepidare silentia silvae” (Achilleide, II, 103-105), mi insegnava a sorridere nel vedere le fiere e non temere le rocce spezzate dal precipizio delle cascate né i silenzi delle immani foreste. Il più giusto dei Centauri[27] dunque insegnava all’allievo la letizia e il coraggio.
Inoltre lo induceva a essere sempre competitivo: avevo appena compiuto dodici anni, racconta il Pelide, “volucris cum iam praevertere cervos/et Lapithas cogebat equos praemissaque cursu/tela sequi” (II, 111-113), quando mi spingeva a battere nella corsa i cervi veloci e i cavalli dei Lapiti e a inseguire correndo le frecce lanciate. Dopo queste fatiche, Chirone, che accompagnava il ragazzo finché glielo permise l’età, elogiava lieto l’allievo e lo sollevava sulle proprie spalle: “laudabat gaudens atque in sua terga levabat” (II, 116).
Gli insegnava anche a non camminare pesantemente ma con leggerezza: “Saepe etiam primo fluvii torpore iubebar/ire supra glaciemque levi non frangere planta” (II, 117-118), spesso poi al primo gelarsi del fiume mi ordinava di camminarci sopra e con passo leggero di non rompere la crosta di ghiaccio.
La caccia doveva essere pericolosa e leale: Achille non doveva inseguire e abbattere inbelles…damnas…aut timidas…lyncas (II, 121-122), imbelli caprioli o linci paurose, ma stanare orsi inferociti e cinghiali fulminei (tristes turbare cubilibus ursos/fulmineosque sues II, 123-124), o, se si dava il caso, una tigre enorme o una leonessa che aveva appena figliato.
Poi Achille si impratichiva nell’arte della guerra tra uomini. Non gli rimase ignoto nessun aspetto di Marte crudele.
Chirone gli insegnava anche a saltare enormi fossati, a correre su per le montagne veloce come in pianura, a respingere i macigni con lo scudo, a entrare in capanne incendiate a fermare una quadriga lanciata. Lo faceva entrare nel fiume tessalo Sperchìo quando era in piena e trascinava tronchi e macigni: Achille doveva respingere i flutti. Il ragazzo rimaneva in piedi con grande fatica: “ ferus ille minari/desuper incumbens verbisque urgere pudorem” (II, 150-151), quello minacciava con durezza dall’alto e con le parole sollecitava l’orgoglio.
Anche un alto amore di gloria, oltre un così grande testimone motivava Achille che reggeva a ogni fatica: “sic me sublimis agebat/gloria, nec duri tanto sub teste labores” (II, 152-153). Il lancio del disco, o la lotta o il pugilato, continua il giovane “ludus erat requiesque mihi” (II, 156) per me era gioco e ristoro, e questi esercizi non lo affaticavano più che il canto delle imprese degli antichi eroi. Inoltre Chirone insegnò al ragazzo “sucos atque auxilantia morbis/gramina, quo nimius staret medicamine sanguis/quid faciat somnos, quid hiantia vulnera claudat,/quae ferro cohibenda lues, quae cederet herbis/edocuit” (II, 159-163), i succhi e le erbe che curano le malattie, con quale rimedio si ferma il sangue eccessivo, che cosa si confà al sonno, cosa chiuda le ferite spalancate, quale male si deve aggredire col ferro, quale si risolve con le erbe.
Né mancò la parte etica e politica dell’educazione: “ monitusque sacrae sub pectore fixit/iustitiae, qua Peliacis dare iura verenda/gentibus atque suos solitus pacare biformes ” (II, 163-165), mi ha fissato nel petto i princìpi della sacra giustizia, con la quale suole dare leggi venerande alle genti del Pelio e mantenere in pace i suoi bimembri.
Seguono gli ultimi due versi del poema sul grande Achille che si interrompe così: “Hactenus annorum, comites, elementa meorum/et memini et meminisse iuvat: scit cetera mater” (II, 166-167), fino a qui, compagni ricordo e mi piace ricordare dei princìpi educativi dei miei primi anni: il resto lo sa la madre.
Bologna 30 aprile 2025 ore 18, 28 giovanni ghiselli
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[1]Tacito, Annales , XI, 26.
[2] Claudio, imperatore e marito di Messalina.
[3] Jacqueline de Romilly, Omero, p. 80.
[4] Leopardi, Zibaldone, 104.
[5] L'interpretazione dei sogni , p. 243
81"Karna è un eroe del Mahabharata, Gilgamesh è un eroe babilonese; tutti gli altri appartengono alla mitologia greca", ci informa una nota in fondo alla pagina.
[7]In Freud Opere 1930-1938 , vol. 11, p. 341.
[8]Umano troppo umano , (vol.2, p.211)
[9]Iliade , IX, 443.
[10] La nascita della tragedia, capitolo 16.
[11]Orazio, Odi , I, 6, 5- 6:" gravem /Pelidae stomachum cedere nescii ", la funesta ira di Achille incapace di cedere.
[12] Iliade , XIX, v. 423.
[13] Dulce et decorum est pro patria mori (Carmina III 2, 13).
[14] Carmen Jones diretto da Otto Preminger nel 1954.
[15] G. B. Conte, Genere e lettori, p. 10.
[16] Cfr. Odissea, XI, 556.
[17]vv. 479-480.
[18] L'eroe sofocleo in La tragedia greca, guida storica e critica, a cura di C. R. Beye, pag.85.
[19]Queste parole sono dette da Ismene per Antigone :" ajll& ajmhcavnwn ejra'"", ma sei innamorata dell'impossibile(v. 90), ma Knox assimila il carattere di Atene a quello di tutti gli eroi sofoclei, e particolarmente a quello di Edipo:"Ho affermato altrove che la stessa Atene, la sua eroica energia, il suo rifiuto di ritirarsi, di piegarsi a compromessi, aveva ispirato la figura di Edipo tyrannos . Ma, come abbiamo visto, Edipo è un personaggio dello stesso stampo degli altri eroi sofoclei" L'eroe sofocleo , in La tragedia greca. Guida storica e critica . p.93 .
[20] P. 288.
[21] Op; cit., p. 1222.
[22]Iliade , IX, 319
[23]Iliade , I, 505
[24]Iliade , I, 507
[25] Era nato, secondo Apollonio Rodio, dall’unione di Crono e Filira. La sua natura era semiequina poiché il dio per celarsi a Rea aveva assunto la forma di un cavallo dalla lunga criniera. Rea però li sorprese e Crono fuggì. L’oceanina Filira, per vergogna, andò a nascondersi nelle grandi montagne pelasghe dove diede alla luce il mostruoso Chirone, in parte dio, in parte cavallo (Argonautiche, 2, vv. 1231 sgg).
[26] L’amore per Deidamia.
[27] Dikaiovtato" Kentauvrwn (Iliade, XI, 832).