domenica 6 aprile 2025

Seneca Epistola 114.


Seneca saluta il suo Lucilio e pone il problema delle cause che hanno prodotto la corruzione dell’eloquenza così decaduta che l’oratio è diventata quasi incomprensibile. Mi sembra un decadimento anche attuale.

Seneca ne ricava una sentenza efficace : talis hominibus fuit oratio qualis fuit vita (1) Il modo di parlare di ogni modo rispecchia il suo modo di vivere. Perfino il linguaggio del corpo riverbera il logo~ della persona, il suo modo di pensare, la sua stessa anima. Questa invade l’ingegno, la parola, i movimenti.

 Seneca fa poi l’esempio di Mecenate che manifestava il suo potere nel disordine e nella dissolutezza. Apparet enim molllem fuisse non mitem, è chiaro che fu un rammollito non un mite.

 

 Molto diverso è il Mecenate della prima Ode del suo devoto cliente Orazio:

  Maecenas atavis edite regibus

o et presidium et dulce decus meum” (vv. 1-2) , Mecenate discendente da antenati re, o mia difesa e dolce onore mio.

Nell’ode III, 23, 1 il patrono è celebrato dal poeta protetto quale Thyrrena regum progenies. Mecenate era di Arezzo quindi di stirpe etrusca.

Tale incensamento deve farci riflettere prima di unirci al coro di quanti adulano i potenti in buona o in malafede. E pure agli anatemi  di quanti si accaniscono contro i caduti dal potere o contro chi al potere non è mai arrivato.

 

Seneca magari esagera nel demolire Mecenate defunto oramai da diversi decenni. Il maestro di Nerone procede attribuendo lo sconvolgimento mentale al successo e alla ricchezza  eccessivi - motum illi felicitate nimia caput (114, 8)

 

Cito Pasolini: “Ecco che cos'è il successo: una vita mistificata dagli altri, che torna mistificata a te, e finisce col trasformarti veramente"[1]

 

Tornando allo stile oratorio, Seneca preferisce una via di mezzo come nel cultus, nella cura della persona: alter se plus iusto colit, alter plus iusto neglegit; ille et crura, hic ne alas quidem vellit (14),  uno si cura più del giusto, un altro più del giusto si trascura; quello si depila le gambe,  questo  neppure le ascelle.

Nella composizione delle parole ciascuno rivela il suo carattere e tutta la sua vita: iracundi hominis iracunda est oratio  (20) e così via.

Se l'animo è sano, oratio quoque robusta, fortis, virilis est (22) anche lo stile è robusto, forte e virile; se si accascia pure il resto va in rovina

Rex noster est animus (23) il nostro sovrano è l'animo. D'altra parte il re può degenerare in tiranno che non mira alla virtù, anzi  inpotens, cupidus, delicatus  est, è incapace di dominarsi, avido, corrotto.

 

Nella Repubblica di Platone il tiranno è uomo, per natura, o per le abitudini, "mequstikov", ejrwtikov", melagcolikov"" (573c), incline al bere, al sesso, alla depressione; inoltre è di animo sostanzialmente servile"oJ tw'/ o[nti tuvranno" tw/' o[nti dou'lo""(579e).

 

Nella chiusura di questa lettera Seneca consiglia a Lucilio temperantiam omnium la moderazione  in tutto, la considerazione della brevità della vita e della sua incertezza: quidquid facies, respice ad mortem, qualunque cosa farai, pensa alla morte. Questo è più facile e naturale per un vecchio che per un giovane.

Pospero alla fine del dramma The tempest di Shalespeare dice che si ritirerà a Milano "where- every third thought shall be my grave" V, 1, 310-311) dove un pensiero si tre sarà la mia tomba.

Bologna 6 aprile 2025 ore 19, 29 givanni ghiselli

p. s.

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[1] P. P. Pasolini, , dai “Dialoghi con Pasolini” su “Vie Nuove” (1960) in Pasolini saggi sulla politica e sulla società, p. 910.

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