Leopardi: "Tutto si è perfezionato da Omero in poi, ma non la poesia"[1].
Potremmo iniziare da diversi punti di partenza, come il primo canto dell'Odissea , il poema il cui autore, chiunque egli sia, conclude il Proemio con la richiesta alla Musa, la dea figlia di Zeus, di raccontare anche a lui le vicende dell'uomo versatile cominciando da qualche parte, una qualunque:"Tw'n aJmovqen ge, qea; quvgater Diov", eijpe; kai; hJmi'n" (I, 10) . Questo perché nell’Odissea c’è tutto quanto è umano e pure divino e anche mostruoso.
Il "poeta sovrano"[2] sarebbe fiorito verso l'850 a. C.
“Omero come poeta dell’Iliade e dell’Odissea non è una tradizione storica, bensì un giudizio estetico”[3].
Seneca mostra di non apprezzare la questione omerica e l'attività filologica di Aristarco: “quantum temporis inter Orphea intersit et Homerum, cum fastos non habeam, computabo? Et Aristarchi notas quibus aliena carmina compunxit recognoscam, et aetatem in syllabis conteram? (…) adeo mihi praeceptum illud salutare excidit: “tempori parce”? Haec sciam? Et quid ignorem?” (88, 39), conterò quanto tempo ci corra tra Orfeo e Omero pur essendo privo di documenti? Ed esaminerò i segni diacritici di Aristarco con cui egli infilzò i versi interpolati e consumerò la vita a contare le sillabe?( ...) davvero mi è sfuggito quel sano precetto: risparmia il tempo? Dovrei sapere queste pedanterie? E che cosa ignorare?
“Diceva Seneca nella medesima lettera a Lucilio: tempori parce, “abbi pietà del tempo!”. Non si pensa mai che il tempo sia una creatura viva e possa soffrire: il tempo subisce ogni giorno un’incredibile quantità di vessazioni informative…Qualcuno dovrebbe decidersi a scrivere un trattato Sulla dieta informativa. Siamo sommersi di notizie, servizi, scoop, di valore e significato assolutamente disuguale ma tutti da consumare in quantità pantagruelica: la tale attrice ha il seno rifatto, no anche le labbra….”[4].
L'Estetica di Hegel:" Per citare un altro paio di esempi, ricordiamo l'episodio tragico di Didone, che è di colore così moderno da spingere Tasso ad imitarlo, anzi a tradurlo in parte letteralmente, e da suscitare ancor oggi l'ammirazione dei francesi. E tuttavia che differenza con l'umana ingenuità, verità e spontaneità degli episodi di Circe e Calipso![5]
Lo stesso si può dire della discesa di Ulisse nell'Ade. Questa oscura e crepuscolare dimora delle ombre appare in una nube tetra, in una mescolanza di fantasia e realtà, che ci incanta e stupisce. Omero non fa scendere il suo eroe in un mondo sotterraneo bello e pronto; ma Odisseo stesso scava una fossa, in cui versa il sangue dell'ariete che ha ucciso, poi invoca le ombre che sono costrette ad affollarsi intorno a lui ed egli chiama le une a bere il sangue vivificante, perché gli parlino e gli possano dare notizie, mentre scaccia con la spada le altre che si affollano intorno a lui assetate di vita. Tutto accade qui in modo vivo ad opera dell'eroe stesso, che non si comporta umilmente come Enea o Dante. In Virgilio invece Enea discende ordinatamente agli Inferi, e le scale, Cerbero, Tantalo e tutto il resto acquistano l'aspetto di una casa ben tenuta, come in un freddo manuale di mitologia"[6].
Omero a volte sonnecchia (dormītat, Orazio, Ars poetica, 359)
In un capitolo del saggio Sul Sublime (XXXIII) l'Anonimo annovera Omero tra i grandissimi nei quali egli stesso ha rilevato non pochi difetti ("oujk ojlivga...aJmarthvmata") i quali però non sono errori volontari ma piuttosto sviste dovute a casuale noncuranza ("paroravmata di& ajmevleian eijkh'/") e prodotte distrattamente dalla loro stessa grandezza. E' la neglegentia che faceva parte anche dello stile altissimo del Petronio di Tacito[7]. In effetti tale noncuranza spesso geniale, talvolta difettosa, è preferibile all'ineccepibile correttezza di Apollonio Rodio.
Il filosofo napoletano Giambattista Vico che dedicò alla Discoverta del vero Omero il terzo libro della seconda edizione della Scienza nuova (1744). Omero sarebbe un nome che indica i Greci:"perché essi popoli greci furono quest'Omero".
Omero è ammirato al punto che gli viene riconosciuto "d'essere stato incomparabile in quelle sue selvagge e fiere comparazioni. In quelle sue crude ed atroci descrizioni di battaglie e di morti, in quelle sue sentenze sparse di passioni sublimi, in quella sua locuzione piena di evidenza e splendore. Le quali tutte furono proprietà dell'età eroica de' greci, nella quale e per la quale fu Omero incomparabil poeta; perché, nell'età della vigorosa memoria, della robusta fantasia e del sublime ingegno, egli non fu punto filosofo". Fu invece storico e "sociologo": "Ma sopra tutto, per tal discoverta, gli si aggiunge una sfolgorantissima lode: d'esser Omero stato il primo storico, il quale ci sia giunto di tutta la gentilità; onde dovranno, quindi appresso, i di lui poemi salire nell'alto credito d'essere due grandi tesori de' costumi dell'antichissima Grecia".
Dopo il 1870 si aggiungono le scoperte archeologiche di H. Schliemann (1822-1890) che su una collina in vista dell'Ellesponto dissotterrava (dal 1871) i resti di una città, diverse volte rasa e risorta più o meno "splendidamente su le mute vie", e in uno strato individuava la Troia di Omero; poi (dal 1874), scavando nell'Argolide, trovò le tombe di Micene con il cosiddetto tesoro degli Atridi.
Cerchiamo ora di vedere un poco più dettagliatamente i già accennati eventi storici che si riflettono nei poemi omerici,. All'inizio del II millennio nella penisola balcanica calarono popolazioni greche le quali "contribuirono in ultimo a creare quella civiltà del bronzo del periodo 1400-1200, tecnicamente evoluta, che noi chiamiamo micenea e che aveva i suoi centri principali nel Peloponneso in luoghi come Micene, Argo e Pilo. La recente decifrazione della loro scrittura sillabica-la cosiddetta Lineare B-ha dimostrato che, almeno nei palazzi, la lingua era una forma primitiva di greco"[8]. Sappiamo che "Micene divenne d'improvviso un centro di ricchezza e di potenza e di una civiltà guerriera senza uguali in questa regione...E sappiamo che la società aveva assunto una stratificazione gerarchica ed era governata da una classe di guerrieri alle dipendenze di un capo o di un re...a partire da 1400 (e nella maggior parte dei casi non prima del 1300 circa), si passò bruscamente dall'esclusivo interesse alle grandi camere sepolcrali[9] all'erezione di un certo numero di palazzi-fortezze. "[10].
Secondo la cronologia tradizionale tra il 1194 e il 1184 ci fu la guerra di Troia e poco meno di un secolo dopo, intorno al 11OO, "il ritorno degli Eraclidi", ossia l'invasione dei Dori, come ci spiega Tucidide:"Dwrih'" te ojgdohkostw'/ e[tei xu;n JHrakleivdai" Pelopovnnhson e[scon" (I, 12, 3), e i Dori ottant'anni dopo occuparono il Peloponneso sotto la guida degli Eraclidi[11].
In senso proprio, gli immigrati originari non erano Greci, ma gente che parlava proto-greco e che più tardi doveva diventare un elemento nell'aggregato che potè a buon diritto rivendicare quel nome. Il caso degli Angli e dei Sassoni[12] in Britannia presenta una buona analogia: non erano inglesi, ma un giorno lo sarebbero diventati"[13].
Gaetano De Sanctis sostiene che tale frattura non c'è stata in quanto i "migratori dorici" occuparono l'Acaia e l'Argolide non dopo il 1600 a. C. circa. Indizio (in senso tucidideo) ne è il fatto che in Omero non si trova "nessuna notizia d'una improvvisa e spaventosa catastrofe tra mezzo all'età che egli celebra idealizzandola e l'età presente in cui i principi godono nel sentir dagli aedi cantare le glorie degli eroi nei quali riconoscono i loro avi e i loro modelli". Del resto:"Nulla di più remoto dalla serenità classica della epopea greca che quel senso tragico d'un passato irrimediabilmente scisso dal presente onde furono così cari ai romantici i carmi ossianici del Macpherson." Quindi:"Da ciò scende con assoluta necessità che i principali autori e rappresentanti della civiltà micenea, i popoli dell'Argolide, appartenevano fin d'allora alla stirpe che fu poi chiamata dorica"[14]. Ma tra gli studiosi dai quali prendo le informazioni è l'unico ad avere questa opinione.
Bologna 27 aprile 2025 ore 18, 07 giovanni ghiselli
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[1]Zibaldone , 58.
[2] Dante (Inferno , IV, 88) trae questa alta considerazione di Omero dalle lodi che ne leggeva negli scrittori latini (Orazio, Cicerone, Seneca, Paolo Orosio). Altro riconoscimento della supremazia omerica si trova nel Purgatorio quando Virgilio informa Stazio sulla situazione ultraterrena dei poeti antichi e chiama Omero "quel greco/che le Muse lattar più ch'altro mai"(XXII, 101-102). Nelle opere minori di Dante si trovano pure citazioni omeriche di seconda e terza mano; per esempio in Vita nuova II 8:" e vedeala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero:"Ella non parea figliuola d'uomo mortale, ma di deo", ricavata, non direttamente, dall'Etica Nicomachea di Aristotele.
[3] F. Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869, p. 36.
[4] M. Bettini, I classici nell’età dell’indiscrezione, p. 5.
[5]Voglio fare allo studente-lettore un esempio di semplicità "verità e spontaneità" che ha sempre colpito i miei studenti-uditori. Nel V libro dell' Odissea dunque Ulisse, che convive con Calipso nell'isola di Ogigia, piange in continuazione sospirando il ritorno. Immaginate le chiacchiere che ci farebbe sopra un moderno, psicologo, romanziere o azzeccagarbugli. Omero usa quattro parole per indicare la causa più plausibile e vera in questo tristissimo caso di frequentazione obbligatoria:"ejpei; oujkevti hJvndane nuvmfh" (v. 153), piangeva poiché la ninfa non gli piaceva più. Punto e basta.
[6]G. W. F. Hegel, Estetica , pp. 1422-1423.
[7]In Annales , XVI, 18.
[8]M. I. Finley, Gli antichi Greci , p. 11.
[9]"la spettacolare tomba a tholos . Si trattava di un vano a pianta circolare scavato in una collina; si accedeva ad esso attraverso un corridoio (dromos ); la copertura era realizzata mediante una pseudo-cupola fatta con pietre in cerchi decrescenti e terminanti con un'ultima pietra di coronamento al livello dell'altezza naturale della collina" (M. I. Finley, La Grecia dalla preistoria all'età arcaica, p. 70).
[10]M. I. Finley, La Grecia dalla preistoria all'età arcaica,, p 65 e pp. 74-75.
[11]Euripide scrive gli Eraclìdi attorno al 430.
[12]Popoli germanici che passarono in Britannia dopo che le guarnigioni romane, nel V secolo d. C., ebbero lasciato l'isola.
[13] Finley, Il mondo di Odisseo , p. 3.
[14]Op. cit., pp. 153-154.
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