Traduzione con pochissime note.
A chi vuole mando il mio testo abbondantemente annotato, gratis ovviamente.
Trovo ineleganti quelli vanno in televisione per pubblicizzarsi i libri sperando di venderli.
Un libro buono non ha bisogno di pubblicità.
Giasone
Donne, che state vicino a questa dimora,
è ancora dentro questa casa colei che ha compiuto
atti terribili, Medea, oppure è fuggita?
Bisogna infatti che quella davvero si nasconda sotto terra
o alato sollevi il corpo nella profondità del cielo,
se non vuole pagare il fio alla casata dei sovrani.
E' convinta che dopo avere ammazzato i signori del paese
fuggirà con i propri mezzi da questa casa, impunita? 1300
Ma in effetti non mi do pensiero di lei quanto dei figli:
a quella faranno del male coloro ai quali l'ha fatto,
io invece sono venuto a salvare la vita dei miei bambini,
perché i miei congiunti di stirpe non facciano loro del male,
facendo pagare l'empio delitto materno.
Coro
O infelice, non sai a quale punto dei mali sei arrivato,
Giasone: infatti non avresti detto queste parole.
Giasone
Che c'è? Forse vuole uccidere in qualche modo anche me?
Coro
I figli tuoi sono morti per mano materna.
Giasone
Ahimé che cosa vuoi dire? come mi hai distrutto, donna.
Coro
Dei tuoi figli pensa appunto che non ci sono più.
Giasone
Dove di fatto li ha uccisi? Dentro o fuori casa?
Coro
Apri le porte e vedrai la strage dei tuoi figli. 1313
Giasone
Aprite i chiavistelli al più presto, servi,
togliete i paletti, perché veda il duplice male 1315
<i morti e quella cui voglio farla pagare>
Medea (appare su un carro dove sono stesi i cadaveri dei figli. Questo era sospeso sopra la scena dalla mhcanhv, una specie di gru che negli esodi di altre tragedie teneva in alto una divinità: il deus ex machina. In questo esodo la parte è di Medea[1]).
Perché scuoti e vuoi forzare queste porte,
cercando i cadaveri e me che ho compiuto l'atto? 1318
Risparmiati questa fatica. Se di me hai bisogno ,
di’ quello che vuoi, ma non mi toccherai mai con le mani;
tale carro mi dà il Sole padre
del padre mio, una difesa da mano nemica. 1322
Giasone
Oh abominio, o donna odiosissima al massimo
agli dèi e a me e a tutto il genere umano,
tu che hai avuto l'ardire di gettare la spada sulle tue
creature dopo averle partorite e hai annientato me nei miei figli. 1326
E dopo avere fatto questo guardi il sole
e la terra, avendo osato il misfatto più empio?
Possa tu morire: io ora capisco, non capivo allora,
quando dalla tua dimora e da una terra barbara
ti portavo con me in una casa greca, grande male,
traditrice del padre e della terra che ti aveva nutrito.
Gli dèi hanno scagliato contro di me il tuo demone vendicatore;
infatti dopo avere ammazzato tuo fratello sul focolare di casa
ti imbarcasti sullo scafo di Argo dalla bella prua. 1335
Cominciasti da tali scelleratezze: sposata poi
a quest’ uomo e dopo avermi generato dei figli ,
per un letto e un talamo matrimoniale, li hai uccisi.
Non c'è donna greca che avrebbe osato
questo, mai, e a preferenza di loro io ritenni degna
di matrimonio te, parentela ostile e letale per me,
leonessa, non donna, con una natura
più crudele della Tirrenia Scilla. 1343
Scilla è la satanessa primordiale che Omero descrive come un mostro con sei colli lunghissimi su ciascuno dei quali c’è una testa spaventosa. I piedi sono dodici tutti deformi.
Latra innaturalmente, come una cagna neonata da ogni bocca munita di tre file di denti fitti e numerosi, pieni di nera morte. Con questi ghermisce sei compagni di Ulisse ( Odissea , XII, vv. 85 e sgg.).
Per quanto riguarda la leonessa, nell'Agamennone di Eschilo Cassandra individua in Clitennestra, la moglie adultera e assassina, la mostruosità ibrida chiamandola "divpou" levaina" (v. 1258), bipede leonessa. Ricordo che nella letteratura greca l'ibrido rimanda spesso al caos primordiale.
Questo caos primitivo torna periodicamente con ogni guerra nei fatti e nell’arte. Penso a Guernica di Picasso il quale all’ ufficiale tedesco che gli domandò se fosse stato lui a produrre quell’immagine, rispose: “no, siete stati voi!”. Risposta da genio.
Ma di fatto neppure con insulti infiniti
potrei morderti: tale sfrontatezza è innata in te;
va’ in malora, operatrice di obbrobri e sporca della strage dei figli.
Resta da piangere il mio destino a me
che non trarrò vantaggio dalle nuove nozze,
né ai figli che ho generato e allevato
potrò rivolgere la parola da vivi, ma li ho perduti. 1350
Medea
L’avrei fatta lunga contro queste
parole, se Zeus padre non sapesse
quali cose hai ricevuto da me e quali hai compiuto.
Tu non dovevi, dopo avere disonorato il mio letto,
passare una vita piacevole deridendomi, 1355
né la principessa, né quello che ti aveva proposto le nozze,
Creonte, doveva cacciarmi impunemente da questa terra.
Di fronte a questo chiamami pure leonessa, se vuoi,
<e Scilla che abitò la landa Tirrenica:>
infatti io ho contrattaccato il tuo cuore come si deve. 1360
E’ ricorrente il motivo dell’oltraggio e della derisione insopportabili e incompatibili con la vita.
Nell'Aiace di Sofocle il Telamonio prima di suicidarsi per non sopravvivere alla degradazione, dice :"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai- to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve vivere con stile, o con stile morire (vv.479-480).
Quando si vive fuori da ciò che è onorevole e bello, la morte può essere una liberazione.
Medea fa morire i figli uccidendo se stessa come madre e Giasone come padre di quei due bambini
Il quarto dei Gimnosofisti indiani[2] cui Alessandro Magno aveva fatto domandare perché avesse indotto Sabba alla rivolta: “ajpekrivnato kalw'~ zh'n boulovmeno~ aujto;n h] kalw'~ ajpoqanei'n”[3], rispose: volendo che quello nobilmente vivesse o nobilmente morisse.-
Nell'ultima scena (97) del film Medea di Pasolini Giasone, di fronte alla catastrofe finale dice alla madre dei loro figli assassinati: "Che cosa hai fatto, che cosa hai fatto? Ora, non soffri anche tu come me?"
E Medea risponde: "Pur che tu non rida, io voglio soffrire"[4].
Giasone
Ma anche tu soffri e sei partecipe delle sciagure.
Medea
Sappilo bene: mi giova il dolore se tu non ridi. 1362
Giasone
O figli, che madre malvagia vi è capitata!
Medea
O figli, come siete morti per la follia del padre!
Giasone
Invero non è stata certo la mia mano destra a ucciderli.
Medea
Ma l’oltraggio e le tue nozze appena contratte.
Giasone
E per il letto hai ritenuto giusto ucciderli ?
Medea
Pensi che questa sia una sofferenza piccola per una donna? 1368
Giasone
Se una è giudiziosa; ma tu sei impastata di male.
Medea
Questi qui non ci sono più: questo di
fatto ti roderà.Giasone
Sono questi, ahimé, i vendicatori sulla tua testa. 1371
Medea
Sanno gli dèi chi ha dato inizio alla sciagura.
Giasone
Sanno certamente che il tuo animo è ributtante.
Medea
Odiami: io detesto la tua voce sgradevole.
Giasone
E io la tua: facile sarà separarsi l’uno dallaltra.
Medea
E come ? Che cosa devo fare? Stai certo che lo voglio anche io. 1377
Giasone
Lasciami seppellire e piangere questi morti.
Medea
No davvero, poiché li seppellirò io con questa mano,
portandoli al santuario della dea Era Acraia
Questo tempio di Era Acraia doveva trovarsi sull’acropoli di Corinto (cfr. a[kro~=alto). Apollodoro racconta anche una storia alternativa all’uccisione dei figli da parte di Medea.
La donna dunque fuggì da Corinto su un carro trainato da serpenti alati ricevuti da Elio, suo nonno.
Lasciò i figli Mermero e Fere come supplici sull’altare di Atena Acraia, ma i Corinzi dopo averli portati via di là, li coprirono di ferite (katetraumavtisan). Poi Medea andò ad Atene dove sposò Egeo ed ebbe un figlio da lui, Medo. Quindi complottò contro Teseo e venne esiliata da Atene insieme con il figlio Medo. Questo andò in Oriente, sottomise molti barbari e chiamò Media la terra conquistata. Poi morì in una spedizione contro gli Indiani. Medea tornò nella Colchide dove uccise Perse il fratello del padre, che aveva usurpato il regno di Eeta il quale poté così tornare sul trono (Biblioteca, I, 9, 146-147)
affinché nessuno dei nemici li oltraggi
rovesciando le tombe; e a questa terra di Sisifo
attribuiremo una festa solenne e riti
per il futuro in cambio di questa empia strage. 1383
E io andrò alla terra di Eretteo,
a convivere con Egeo, figlio di Pandione.
E tu, come è naturale, vigliacco morirai da vigliacco,
colpito al capo da un rottame di Argo,
dopo avere visto l'amaro esito delle mie nozze.
Anapesti di uscita 1389-1419.
Giasone
Ma ti uccida l'Erinni dei figli
e la Giustizia degli ammazzati. 1391
Medea
Quale dio o demone ascolta te,
spergiuro e ingannatore degli ospiti?
Giasone
Ahi, ahi, abominevole e assassina dei figli.
Medea
Vai a casa e seppellisci la tua compagna di letto. 1394
Giasone
Vado, privato dei due figli.
Medea
Ancora non piangi: aspetta un po' la vecchiaia.
Giasone
O figli carissimi. Medea Alla madre solo, a te no.
Giasone
Per questo li hai ammazzati? Medea. Per infliggere pene a te.
Giasone
Ahimé infelice voglio baciare
la cara bocca dei figli. 1400
Medea
Ora li chiami, ora vuoi baciarli,
dopo averli respinti allora.
Giasone Concedimi in nome degli dèi
di toccare la tenera carne dei figli.
Medea
Non è possibile. Invano le tue parole sono buttate via. 1404
Giasone
Zeus tu senti questo: come vengo respinto
e quali ferite subisco da questa femmina abominevole
e leonessa assassina dei figli?
Ma per quanto almeno è possibile e ce la faccio
piango questo scempio e invoco gli dèi
chiamando a testimonio la potenza divina che tu,
dopo avermi ammazzato i figli, mi impedisci
di toccarli con le mani e seppellirne i cadaveri,
che io non avrei voluto vedere mai,
dopo averli generati, ammazzati da te.
Coro
Di molti casi Zeus è dispensatore sull’Olimpo;
e molti eventi in modo insperato compiono gli dèi;
e i fatti aspettati non vennero portati a compimento,
mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è andata a finire questa azione 1419.
Bologna 13 novembre 2022 ore 18, 39
giovanni ghiselli
p. s
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[1] Nell’Ifigenia fra i Tauri appare Atena ex machina, nell’Elettra i Dioscuri, nell’Elena di nuovo i Dioscuri, nello Ione Atena, nell’Oreste Apollo.
[2] “Laggiù…in meridioni più ardenti di quanti siano mai stati sognati da artisti: laggiù, dove gli dèi danzano e si vergognano delle vesti” (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 241.)
[3] Plutarco, Vita di Alessandro, 64, 6.
[4] Op. cit., p. 559.
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