NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 13 novembre 2022

Euripide Medea Quinto Stasimo (vv. 1251-1292)

 

Prima strofe (1251-1260)

Oh terra e scintillante

raggio di Sole, osservate quaggiù, guardate la

 rovinosa donna, prima che  avventi

la mano sanguinaria che uccide la propria vita;

dalla tua aurea stirpe infatti

germogliarono, è un orrore che del sangue divino cada <a terra>

 per mano di uomini.

Ma, o luce divina, trattienila,

fermala, caccia da casa la miseranda

sanguinaria Erinni +mossa da demoni vendicatori+.

 

 

 

Prima antistrofe (vv. 1261-1270)- il testo di questa antistrofe è in parte corrotto

Va perduto invano il travaglio dei figli,

invano allora partoristi una cara discendenza, o

tu che hai lasciato il varco

assolutamente inospitale delle cupe rupi Simplegadi. 1264

Sventurata, perché una greve rabbia

 dell’animo ti assale  e strage

violenta contraccambia <la  strage>?

Difficili da sopportare infatti sono per i mortali le contaminazioni

consanguinee +sulla terra+; agli assassini della propria razza

toccano pene consone che cadono sulle case da parte degli dèi. 

 

Seconda strofe (vv. 1270a-1281a)

Figli (da dentro)

Ahimé.

 

Coro.

Senti le grida, senti quelle dei figli?

Ahi, sciagurata, o sventurata donna!

 

Primo figlio

Ahimé che fare? Dove posso fuggire le mani della madre?

Bambino 2

Non lo so, fratello carissimo: siamo già morti.

 

Coro

Devo entrare in casa? mi sembra giusto

salvare i figli dalla strage. 1276

Bambino 1

Sì, per gli dèi, salvateci: è necessario.

Bambino 2

Come siamo già vicini alle reti sotto la spada.

 

Coro.

Disgraziata, come davvero eri una roccia o ferro,

tu che ucciderai

la messe di figli che generasti

con un ruolo assassino assegnato alla tua stessa mano. 1281a

 

Seconda antistrofe (vv. 1282-1292)

Di una sola sento raccontare, una sola donna

tra quelle del passato che avventò le mani sui propri figli,

Ino resa pazza dagli dèi, quando la moglie

di Zeus la cacciò di casa per vagabondaggi;

e la disgraziata precipita in mare per l'empia

uccisione dei figli,

tendendo il piede oltre il promontorio marino,

e muore portando con sé nella morte  i due figli.

Che cosa dunque potrebbe accadere ancora di terribile? o

letto delle donne

 pieno di affanni, quanti mali hai  già

procurato ai mortali! 1292.

 

Un precedente del crimine di Medea: quello di Ino figlia di Cadmo. Un altro è quello di Procne.

 

  Ino, figlia di Cadmo e Armonia, era la seconda moglie di Atamante  dal quale ebbe due figli: Learco e Melicerte.

 La donna suscitò l’odio di Era poiché aveva allevato Dioniso, figlio di sua sorella Semele e di Zeus. La gelosissima consorte del re degli dèi spinse Atamante[1] a uccidere il figlio Learco, e  Ino a gettarsi nel mare, con l’altro figlio Melicerte in braccio.

Quindi ella venne trasformata in una Nereide dal nome di Leucotea (cfr. Odissea, V, 333-335)  mentre il bambino divenne il piccolo dio Palemone. Dante ricorda questa versione del mito deducendola  (p. 358) dalle Metamorfosi di Ovidio ( IV, 512-542):

“Nel tempo che Iunone era crucciata/per Semelè contra ‘l sangue tebano,/come mostrò una e altra[2] fiata,/Atamante divenne tanto insano,/che veggendo la moglie con due figli/andar carcata da ciascuna mano,/gridò: “Tendiam le reti, sì ch’io pigli/la leonessa e’ leoncini al varco”; /e poi distese i dispietati artigli,/prendendo l’un ch’avea nome Learco,/e rotollo e percosselo ad un sasso;/e quella s’annegò con l’altro carco”. (Inferno, 30, 1-12). Questo esempio tratto da Ovidio, come il seguente con la rabbia canina di Ecuba (“forsennata latrò sì come cane”, v. 20) serve a illustrare la rabbia furibonda dei falsari di persona situati nella decima bolgia dell’VIII cerchio, quello dei fraudolenti.  

 

Euripide sembra adottare una variante secondo la quale sarebbe stata Ino stessa a uccidersi con i propri figlioli.

 

A Roma Ino verrà venerata come mater Matuta, in quanto dea della maturazione: “Ino Cadmi filia nonne Leukoqeva nominata a Graecis Matuta habetur a nostris?” (Cicerone, Tusc. 1, 28), Ino, figlia di Cadmo non fu forse chiamata Leucotea dai Greci, e  da noi è ritenuta la dea Matuta? Cicerone prosegue affermando che il cielo è stato riempito con il genere umano, secondo la dottrina dell’evemerismo: gli dèi ebbero origine da uomini divinizzati dopo la morte.

 Ma torniamo opportunamente a Euripide e vediamo che Ino compare a più riprese nelle Baccanti tra le figlie di Cadmo che guidano le Menadi  (v. 229, v. 682, v. 926, v. 1129, v. 1228). In questa ultima tragedia l’arcimenade manifesta nei confronti del nipote Penteo la furia che ne fa una prefigurazione di Medea: “ Ino intanto compiva l'opera dall'altra parte/lacerandogli le carni, e Autonoe e l’intera truppa/delle Baccanti gli era sopra: era tutto un grido collettivo,/e mentre quello era lì che gemeva con quanto fiato gli restava,/loro urlavano grida di vittoria. Questa portava via un braccio,/quella un piede con lo stesso stivaletto: erano nude/le costole per le lacerazioni: ognuna coperta di sangue/ nelle mani, giocava a palla con la carne di Penteo”. (Baccanti, vv. 1129- 1136).

In realtà Ino non è l’unico caso di madre che infuria sul figlio oltre Medea: si può ricordare anche quello di Procne e del piccolo Iti.

Il prevalere della parte emotiva in Medea e in Progne, altra madre assassina, secondo Giovenale costituisce un’attenuante dei loro pur immani delitti: “Et illae/grandia monstra suis audebant temporibus, sed/non propter nummos. Minor admiratio summis/debetur monstris, quotiens facit ira nocentes/hunc sexum et rabie incendente iecur feruntur/praecipites…Illam ego non tulerim, quae computat et scelus ingens/ sana facit.” (VI, 644 sgg.), anche quelle osavano delitti mostruosi ai loro tempi, ma non per denaro. Meno stupore è dovuto ai massimi orrori, ogni volta che l’ira rende colpevole questo sesso e quando la rabbia brucia il fegato sono portate giù a precipizio ( …) io non posso sopportare quella che calcola e compie delitti colossali a mente fredda. Si tratta di Pontia, saevissima vipera (v. 641), avvelenatrice di due figli in una sola cena. Anzi la crudelissima madre dice: “Septem, si septem forte fuissent” (v. 642). 

“ Per fortuna non ho nessuna voglia di farmi sbranare: la donna perfetta sbrana quando ama…Conosco queste amabili Menadi…Ah che razza di piccolo predatore pericoloso, strisciante, sotterraneo! E in più così piacevole…

Una piccola donna che insegue la sua vendetta sarebbe capace di scavalcare anche il destino. La donna è indicibilmente più cattiva dell’uomo, anche più accorta; nella donna la bontà è già una forma di  degenerazione”. (Ecce homo, Perché scrivo libri così buoni. 5).

 

Bologna 13 novembre 2022- ore 11, 58

 giovanni ghiselli

p. s

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[1] “Atamante era re di Orcomeno in Beozia. Le sue fosche vicende familiari furono un soggetto prediletto dai tragici. Eschilo compose un Atamante (frr. 1-4 a Radt) di cui non si sa in pratica nulla; Euripide un Frisso (frr. 819-838 Nauck-Snell) e una Ino…Sofocle scrisse due tragedie intitolate Atamante (frr. 1-10 Radt) e un Frisso (frr. 721-723 a Radt)”. G. Guidorizzi (a cura di), Igino, Miti, p. 184.

[2] Aveva provocato l’incenerimento di Semele.

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