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Cesare storiografo riprende un’idea razionale della storia
Se Erodoto è il padre della storia senz'altro, Tucidide può essere considerato il padre della storia politica e laica.
Luciano[1] anzi afferma che :" JO d j ou\n Qoukudivdh"... ejnomoqevthse", Tucidide diede le leggi. Tra i moderni Canfora dichiara che" la svolta tucididea è valsa ad affermare l'identificazione tra storia e politica"[2].
“Così Tucidide impose l’idea che l’unica storia seria era la storia politica contemporanea; ed Erodoto fu tagliato fuori dalla corrente della storiografia antica. La sua storia non era contemporanea né politica”[3].
Tucidide identifica addirittura la vita utile, attiva e produttiva, con la vita politica.
Tanto che fa dire a Pericle:"movnoi ga;r tovn te mhde;n tw'nde metevconta oujk ajpravgmona, ajll j ajcrei'on nomivzomen" (Storie, II 40, 2), siamo i soli a considerare non pacifico, ma inutile chi non partecipa alla vita politica.
Nel Paradiso di Dante Carlo Martello domanda: “Or di’: sarebbe il peggio-per l’uomo in terra, se non fosse cive?”
E il poeta risponde: “Si’” rispuos’io; “e qui ragion non cheggio” (VIII, 115-117)
“Collocando l’uomo nel suo cosmo politico , lo Stato gli conferisce, oltre alla vita privata, una sorta di seconda esistenza, il bivoς politikovς. Ognuno appartiene ora in certo modo a due ordini : l’elemento privato (i[dion) e il comune (koinovn) l’uomo non è soltanto “idiota” , ma anche “polita” (Jaeger, Paideia 1, p. 215.).
La parola ijdiwvthς è l’opposto di polivthς
Per il polivthς il fine supremo è lo stesso già insegnato da Fenice ad Achille: esser parlatore di discorsi e operatore di azioni. L’aretè politica deve essere capacità di parlare e di fare.
Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni:"muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn", a essere dicitore di parole ed esecutore di opere. Si vede la priorità della parola (Iliade , IX, 443.)
La vita unmana comprende un elemento comune (xunovn=koinovn) e una parte privata, individuale (i[dion).
Nel ’68 si diceva che anche il privato è politico e io lo credo ancora.
Aristotele nella Politica scrive politiko;n oJ a[nqrwpo~ zw`on ( 1253a) l’uomo è animale politico più di ogni ape e di ogni animale che vive in gregge.
Dante riprende Aristotele nel Convivio: “ E però dice lo Filosofo che l’uomo naturalmente è compagnevole animale” (IV, 4, 1)
Quindi nel Monarchia: “homo pro salute patrie seipsum exponat; nam si pars debet se exponere pro salute totius, cum homo sit pars quaedam civitatis, ut per Phylosophum patet in suis Politicis, homo po patria debet exponere seipsum, tamquam minus bonum pro meliori” (II, 7, 3)
La storia di Tucidide dunque è politica. Poi è laica: elimina il mito.
Sentiamo una sua dichiarazione metodologica:
" la mancanza del favoloso- to; mh; muqw`de~ aujtw`n- di questi eventi , verosimilmente, apparirà meno piacevole all'ascolto, ma sarà sufficiente che li giudichino utili-wjfevlima krivnein aujtav- quanti vorranno esaminare la chiarezza degli avvenimenti accaduti e di quelli che potranno verificarsi ancora una volta, siffatti o molto simili, secondo la natura umana (I, 22, 4)
Tra i latini Giulio Cesare seguirà questa regola tucididea
Mazzarino pone Giulio Cesare storiografo tra i seguaci di Tucidide.
“Tra Cesare e Alessandro Magno c’è una differenza, che è anche un segno dei tempi. A differenza del giovane Alessandro, questo maturo eroe romano dagli occhi neri, epilettico e indomito tuttavia, non prendeva le mosse da una concezione mitica della vita; si rifaceva ad un’idea razionale dell’uomo e della storia: distingueva, come Tucidide, tra la calcolata deliberazione e lo scrupolo religioso, che secondo Tucidide rovinò Nicia (…)
Nella sua opera sulla Guerra civile, questo condottiero non fa cenno a quell’ispirazione divina a cui i suoi contemporanei ricondussero la sua grande decisione della notte fra il 10 e l’11 gennaio: il passaggio del Rubicone. Il Cesare di tutti noi, è, ancor oggi, l’uomo che disse allora: “il dado è tratto”; questo non è il Cesare del Bellum civile, ma il Cesare delle Historiae scritte dal suo ufficiale più “indipendente” e acuto: Asinio Pollione.
Nel suo racconto Cesare aveva voluto esporre le ragioni storico-giuridiche della decisione presa, “condensate” in un’arringa ai soldati (B. C. I, 7)”[4].
Insomma la frase più famosa di Cesare non ce l’ha raccontata lui stesso
Ne De bello civili, Caesar apud milites contionatur , e denuncia il fatto che nella repubblica si sia introdotto novum exemplum…ut tribunicia intercessio armis notaretur atque opprimeretur” (I, 7), il veto dei tribuni veniva censurato e soffocato con le armi. Perfino Silla che aveva spogliato la tribunicia potestas, tamen intercessionem liberam reliquisse. Bisognava dunque andare a Roma per ripristinare la legalità.
“Asinio, che ancora portava nell’animo il ricordo fascinoso del capo, e tuttavia voleva a suo modo esercitare una critica “indipendente”, dipinse invece un “passaggio del Rubicone” in cui il lettore ritrovava ancora l’ansia e la gravità di quella decisione suprema”. Il racconto di Asinio lo ricostruiamo attraverso storici più tardi[5]. “Tra il racconto di Cesare, scritto forse verso il 46 a. C., e quello di Asinio, che cominciò le sue Historiae verso il 30, corrono quindici anni, o più; ma la differenza non è solo nelle date; è più significativa e radicale; Cesare, scrittore “tucididèo”, ossia razionale, non poteva intendere abbastanza i momenti irrazionali della sua stessa impresa…le Historiae di Asinio potevano riflettere la vera situazione, in maniera più adeguata, senza preoccupazioni apologetiche…Il Cesare autentico è però un incontro della razionalità tucididèa…con la passione politica, che lo animò in questi momenti decisivi”[6].
Cesare “Non permetteva, anche se ciò possa deluderla, che il suo cuore disponesse della sua testa”[7].
Bologna novembre 2022 ore 17, 25
giovanni ghiselli
p. s
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[1]Come si deve scrivere la storia (42).
[2]Luciano Canfora, Teorie e tecnica della storiografia classica , p. 12.
[3] A. Momigliano, La storiografia greca, p. 143.
[4] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 199-200.
[5] P. e. Svetonio, Caesaris vita, 32.
[6] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 201.
[7]
B. Brecht, Gli affari del signor Giulio
Cesare, p. 22.
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