Mia sorella poteva, anzi doveva vestirsi con abiti eleganti e costosi per attirare un pretendente di bell’aspetto e di “buona famiglia”, io invece dovevo girare sporco e trasandato perché il mio compito era solo quello di studiare. Il Cenerentolo di casa, il sudicio Ceneraccio della zona mare di Pesaro humi abiectus.
Mentre mi avviavo a uscire dalla stanza, salutai i tre compagni dicendo che ci saremmo rivisti all’ora di pranzo. Fulvio ricambiò cordialmente e sobriamente con “Ciao Gianni, ci vediamo più tardi”, rendendomi lieto solo con il nominarmi, siccome allora ero talmente disgraziato che quasi nessuno mi chiamava più gianni o giovanni o giannetto per esigere la mia attenzione o impormi dei servigi, ma usavano il cognome o nomignoli spregiativi cui rispondevo tanto ero precipitato in basso, spinto da vari colpi, compresi quelle che mi infliggevo da solo.
Me l’ero anche voluta disprezzando i meno bravi di me, praticamente tutti durante il liceo. L’orrore: ero arrivato a dire che volevo venissero dati più compiti alla classe perché imparavo prima degli altri. Poi era arrivato puntuale il contrappasso.
Luigi mi salutò con un triplice ciao e con gesti teatrali della mano sinistra, infondendomi altro coraggio.
Danilo accompagnò la mia uscita con una fragorosa girandola di “caro da Dio, Dio caro, vieni benedetto, vieni a pranzo con noi, così ci faremo la bevutina della conoscenza dei più bei scavesacoi d’Italia. Dobbiamo festeggiare e consacrare con Dioniso questo incontro benedetto da Dio!”.
Fu in quel momento preciso che cominciai a riconoscere in lui il tipo o la maschera tipica del veneto, vini avidum genus, ma non mi dispiacque, e continuavo comunque a vedere in Danilo una forma di ebbrezza gioiosa, messa per giunta in rilievo dal rosso del volto che credevo acceso dal sole.
Quelle care persone attraverso il nome, cominciavano a restituirmi l’identità che per anni io stesso avevo sepolto.
L’anima straziata da ferite e ottenebrata doveva ritrovare la via verso la luce. “Non omnis mortus sum ” pensai. Posso rialzarmi: qui c’è chi mi sta dando una mano.
Usciì dal collegio per esplorare l’ambiente e guardare le studentesse arrivate da ogni paese non fascista d’Europa. Mancavano infatti solo le Iberiche e le Greche, non invitate nella repubblica popolare Magiara per via dei loro regimi. Speravo che i miei sguardi da accattone dell’amore venissero contraccambiati. Come imploravo e mi raccomandavo con gli occhi! Sapevo che l’avverarsi di quel desiderio era possibile solo molto remotamente, ma ero pur arrivato in un mondo davvero strano e remoto, un luogo dove tre ragazzi buoni mi avevano invitato a pranzare con loro chiamandomi per nome, trattandomi da essere umano, non da bestia o da mostro come facevano i più tra i conoscenti negli ultimi tre anni della mia vita mortale, già quasi defunta, perciò nulla era del tutto impossibile, nemmeno che una donna bella e fine guardasse me imbruttito, cioè brutto assai, e avvilito parecchio. Elena sarebbe arrivata solo cinque anni più tardi ma nel frattempo diverse altre donne care e benedette da Dio avrebbero preparato il terreno.
Lì per lì tuttavia tali speranze vennero contraddette dal fatto che le fanciulle italiche, galliche, o scitiche, o circasse o iperboree che fossero , non mi guardavano punto, né mi facevano torto siccome mi muovevo panciuto come un pinguino, avevo un’espressione torbida dietro gli occhiali, i capelli luridi misti a festuche e la pelle foruncolosa come quella di un cane tormentato dalle zecche.
Per giunta indossavo una maglia rossa,unta, sgualcita e sdrucita, il purpureum vestimentum di chi è stato maltrattato a lungo dagli uomini e dalla vita. Non avevo in testa la corona spinea del Cristo, eppure un’anziana di passaggio, forse una professoressa, indicandomi a un tale e disse a voce alta “ Ecce homo”[1]. Non me ne offesi, anzi, nell’ottimismo del momento, pensai “ buon segno: significa che tra pochi giorni risorgerò da questa morte durata tre anni”.
Bologna 18 novembre 2022 - ore 17, 13
giovanni ghiselli
p. s
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[1] Cfr. N. T. Giovanni 19, 5
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