venerdì 18 novembre 2022

L’apprendistato di giovanni ghiselli. XV parte. Ecce homo

Sistemai alla meno peggio la roba, piuttosto brutta poiché in quel tempo le imperiose donne di casa mi avevano concesso, perché non impazzissi del tutto, la vecchia automobile e un poco di soldi, però continuavano a mandarmi in giro malconcio, quando invece la mia insicurezza tragica avrebbe tratto conforto dal presentarmi un poco meno malmesso.
Mia sorella poteva, anzi doveva vestirsi con abiti eleganti e costosi per attirare un pretendente di bell’aspetto e di “buona famiglia”, io invece dovevo girare sporco e trasandato perché il mio compito era solo quello di studiare. Il Cenerentolo di casa, il  sudicio Ceneraccio della zona mare di Pesaro humi abiectus.  
 
Mentre  mi avviavo a uscire dalla stanza, salutai i tre compagni dicendo che ci saremmo rivisti all’ora di pranzo. Fulvio ricambiò cordialmente e sobriamente con “Ciao Gianni, ci vediamo più tardi”, rendendomi lieto solo con il nominarmi, siccome allora ero talmente disgraziato che quasi nessuno mi chiamava più gianni o giovanni o giannetto per esigere la mia attenzione o impormi dei servigi, ma usavano il cognome o nomignoli spregiativi cui rispondevo tanto ero precipitato in basso, spinto da vari colpi, compresi quelle che mi infliggevo da solo.
Me l’ero anche voluta disprezzando i meno bravi di me, praticamente tutti durante il liceo. L’orrore:  ero arrivato a dire che volevo venissero dati più compiti alla classe perché imparavo prima degli altri. Poi era arrivato puntuale il contrappasso.
Luigi mi salutò con un triplice ciao e con gesti teatrali della mano sinistra, infondendomi altro coraggio.
 Danilo accompagnò la mia uscita con una fragorosa girandola di “caro da Dio, Dio caro, vieni benedetto, vieni a pranzo con noi, così ci faremo la bevutina della conoscenza dei più bei scavesacoi d’Italia. Dobbiamo festeggiare e consacrare con Dioniso  questo incontro benedetto  da Dio!”.
Fu in quel momento preciso che cominciai a riconoscere in lui il tipo o la maschera tipica del veneto, vini avidum genus, ma non mi dispiacque, e  continuavo comunque a vedere in Danilo una forma di ebbrezza gioiosa, messa per giunta in rilievo dal rosso del volto che credevo acceso dal sole.
 
 Quelle care persone attraverso il nome, cominciavano a restituirmi l’identità che per anni io stesso avevo sepolto.
L’anima straziata da ferite e ottenebrata doveva ritrovare la via verso la luce. “Non omnis mortus sum ” pensai. Posso rialzarmi: qui c’è chi mi sta dando una mano.  
 
Usciì dal collegio per esplorare l’ambiente e guardare le studentesse arrivate da ogni paese non fascista d’Europa. Mancavano infatti solo le Iberiche e le Greche, non invitate nella repubblica popolare Magiara per via dei loro regimi. Speravo che i miei sguardi da accattone dell’amore venissero contraccambiati. Come imploravo e  mi raccomandavo con gli occhi! Sapevo che l’avverarsi di quel desiderio era possibile solo molto remotamente, ma ero pur arrivato in un mondo davvero strano e remoto, un luogo dove tre ragazzi buoni mi avevano invitato a pranzare con loro chiamandomi per nome, trattandomi da essere umano, non da bestia  o da mostro come facevano i più tra i conoscenti negli ultimi tre anni della mia vita mortale, già quasi defunta, perciò nulla era del tutto impossibile, nemmeno che una donna bella e fine guardasse me imbruttito, cioè brutto assai, e avvilito parecchio. Elena sarebbe arrivata solo cinque anni più tardi ma nel frattempo diverse altre donne care e benedette da Dio avrebbero preparato il terreno.
Lì per lì tuttavia tali speranze vennero contraddette dal fatto che le fanciulle italiche, galliche, o scitiche, o circasse o iperboree che fossero , non mi guardavano punto, né mi facevano torto siccome mi muovevo panciuto come un pinguino, avevo un’espressione torbida dietro gli occhiali, i capelli luridi misti a festuche e la pelle foruncolosa come quella di un cane tormentato dalle zecche.
 Per giunta indossavo una maglia rossa,unta, sgualcita e sdrucita, il purpureum vestimentum di chi è stato maltrattato a lungo dagli uomini e dalla vita. Non avevo in testa la corona spinea del Cristo, eppure un’anziana di passaggio, forse una professoressa, indicandomi a un tale e disse a voce alta “ Ecce homo[1]. Non me ne offesi, anzi, nell’ottimismo del momento, pensai “ buon segno: significa che tra pochi giorni risorgerò da questa morte durata tre anni”.


Bologna 18 novembre 2022 - ore 17, 13
giovanni ghiselli

p. s
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[1] Cfr. N. T. Giovanni 19, 5

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