Nel frattempo avevo dato tutti gli esami e mi ero liberato da diversi contagi contratti prima: non disprezzavo più me stesso e non temevo le donne dopo che alcune ragazze erano state carine con me. Stavo via via ritrovando le mete cui indirizzare le forze mentali e corporee liberate dalla corda attorcigliata attorno all’anima mia e tanto stretta che l’aveva quasi soffocata. Il nodo era quello dei pregiudizi, delle superstizioni, dei luoghi comuni ripetuti come dogmi da ogni ignorante.
Scioglierlo non era possibile: dall’Alessandro Magno di Curzio Rufo, Plutarco e Arriano avevo imparato che dovevo tagliarlo. “Nihil interest quomodo solvatur” mi dissi 1, e mi diedi a reciderlo.
Dopo l’estate benefica del 1966 mi ero rimesso a studiare con interesse personale, non solo a memoria dico, e non tanto per gli esami, quanto per la mia liberazione. Avevo ripreso sul serio anche gli altri due pilastri della mia identità: la bicicletta e la corsa, riducendo l’adipe e annullando i doloretti cardiaci sentiti quando ero sprofondato nell’angoscia più cupa. Li avevo creduti preannunzi di morte precoce, mentre erano sintomi di malessere mentale profondo.
A mano a mano che i ceppi con i quali avevo bloccato la mia persona si allentavano, ritrovavo le forze.
Prima di tutte quella di evitare quanti non mi rispettavano compiutamente: avevo capito che se qualcuno cercava di infliggermi ingiustizia o anche soltanto scortesia, non io ero in difetto, ma quel tale individuo.
Un poco alla volta rivalutavo le deficienze di cui mi avevano incolpato. Mi convincevo che non fumare, per esempio, favoriva la vita quindi non era un difetto.
Dovevo evitare i malevoli. Tagliare ogni ramo secco. Quindi non mi assoggettavo più ai giudizi sprezzanti, come negli anni della putredine e del disperato disgusto di tutto, compreso me stesso. Avevo cessato di considerare prossimo mio chi provava a offendermi: era feccia da lasciare nei bassi fondi dove si trovava.
Durante l’estate del ’67 amoreggiai con diverse ragazze nel corso di una vacanza sull’Adriatico, in Jugoslavia, poi sul mar Nero. Facevo il viaggio con due studenti di ingegneria miei vicini di tavola nel collegio Irnerio di Bologna dove eravamo alloggiati. Due ragazzi marchigiani, Mario Brodolini di Recanati e Andrea Gentili di Tolentino. Spero che siano vivi e stiano bene. Mi piacerebbe ritrovarli. Mario era nipote di un ministro galantuomo.
Ricordo le loro persone e i loro nomi con affetto perché erano probi, onesti e autentici.
Una autenticità che spesso anche nei meno artefatti di noi letterati viene incrostata, se non addirittura contraffatta, da un qualche sapere che spesso non diventa sapienza, non arriva a essere cultura umana, ad associarsi alla vita, a capirla, a potenziarla, e non aiuta a vivere umanamente, ma si ferma allo stipendio, o arriva solo all’esibizione, alla scena artificiosa, oppure perviene malignamente all’ironia denigratrice del prossimo, dei sentimenti veri, della infelicità umana. L’ironia non risolve difficoltà e angosce: tuttalpiù le nasconde. Il principe santamente e genialmente idiota di Dostoevskij non ne era capace.
Del viaggio di quell’estate remota voglio ricordare un episodio già menzionato nella storia di Helena Sarjantola.
Una mattina di sole mi svegliai nella spiaggia di Varna dove eravamo attendati. Non era presto e gli amici contubernali erano già usciti dalla tenda - dormitorio. Sicché andai da solo in un bar per bere il primo caffè.
Non lontano da me era seduta una ragazza bionda, giovane assai, ben giovane, dagli occhi azzurri, bellina. La guardai direttamente e le rivolsi un sorriso che mi contraccambiò apertamente. “Il mare ospitale - pensai - non è un eufemismo 2. Ecco l’eterno richiamo dei sessi”. Stavo imparando a darlo e a riceverlo. Quella fanciulla non solo contribuì alla mia emancipazione dal male infondendomi ulteriore ottimismo nel bar sul Ponto Eusino dove ero stato, temevo, abbandonato dai due amici con i quali avevo questionato la sera prima, non senza mia colpa, ma seppe anche darmi un esempio di comportamento chiaro e onesto: lì sul mar Nero, dopo un paio di baci, disse apertamente che se desideravo una donna, dovevo cercarmi un’adulta, siccome lei non si sentiva iam matura viro 3, disse proprio così. "Ho ancora 17 anni", aggiunse. Bellina!
Per giunta era già sulla via del ritorno a Praga dove studiava al liceo.
Un fatto che accrebbe il mio interesse per lei.
Del resto anche noi tre stavamo per tornare in Italia, nelle nostre amate Marche, poi a Bologna. L'estate era quasi finita. Helena dunque mi congedò senza umiliarmi né umiliare se stessa: mi diede una carezza dicendo che comunque le ero piaciuto e mi aveva stimato per la mia sensibilità delicata, disse.
“Anche io ho amato la tua gentilezza generosa - risposi - e spero di rivederti più avanti da qualche parte. I hope to see you later, somewhere”.
Parole che si dicono quasi sempre dopo un approccio gradevole e possono sembrare formulari, oppure l’espressione di un desiderio irrealizzabile; invece in dicembre mi scrisse pauca sed bona dicta 4: stava preparando l'esame di maturità e si sentiva maturare in tanti sensi. Mi invitò a Praga: aveva tante cose belle da raccontarmi e voleva sentire le mie. Bellina!
Ci andrai in aprile, per le vacanze di Pasqua. Era la Primavera di Praga.
Bologna 29 novembre 2022-
Oggi il tempo è davvero triste. E’ il terzo martedì di seguito che piove. Sarà impossibile pedalare, colpevole mangiare più di un boccone. Altrimenti sarebbe ybris. Dovrò andare a fare lezione in autobus. Sarà comunque una bella lezione tenuta a persone interessate e sintonizzate.
p. s
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1 Cfr. Curzio Rufo Historia Alexandri Magni, III, 1, 18
2 Il Mar Nero veniva chiamato il Mare Ospitale (per esempio da Erodoto in I, 6:" ej" to;n Eu[xeinon kaleovmenon povnton"), con un eufemismo, come ne fu constatata l'inospitalità a causa delle tribù selvagge della costa. Seneca nella Fedra (vv. 715 - 716) menziona la palude Meotide (ora si chiama Mar d'Azov) che incombe con onde barbare sul Mar Nero (barbaris...undis Pontico incumbens mari)
3 Virgilio Eneide, VII, 53.
4 Cfr. Catullo 11, 15 e 16
2 Il Mar Nero veniva chiamato il Mare Ospitale (per esempio da Erodoto in I, 6:" ej" to;n Eu[xeinon kaleovmenon povnton"), con un eufemismo, come ne fu constatata l'inospitalità a causa delle tribù selvagge della costa. Seneca nella Fedra (vv. 715 - 716) menziona la palude Meotide (ora si chiama Mar d'Azov) che incombe con onde barbare sul Mar Nero (barbaris...undis Pontico incumbens mari)
3 Virgilio Eneide, VII, 53.
4 Cfr. Catullo 11, 15 e 16
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