giovedì 17 novembre 2022

L’apprendistato di giovanni ghiselli. XIV parte. L’alloggio nel collegio. L’ incontro con i tre contubernali

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Quando ebbi ricevuto il posto del necessario ricovero per il mese seguente, cercai ansiosamente di inserirmi tra gli altri giovani del corso estivo. A cominciare dagli italiani maschi con i quali per lo meno riuscivo a parlare senza incepparmi. Del resto non feci nulla per nascondere la mia debolezza, non ne ero capace, né lo volevo, e mi manifestai non celando le paure che mi assillavano da quando, finito il liceo tre anni prima, avevo smarrito la mia identità di ragazzo molto bravo a scuola, ottimo pure nelle corse a piedi e in bicicletta, e non ne avevo trovata alcun’altra mia

Non era possibile: un’ identità altra era quella di un altro o degli altri, non la mia. Avevo tentato di assumere  identità gregarie che mi mettevano a disagio e mi davano dolore più di una maschera o una scarpa stretta. Dovevo ritrovare lìidentità originaria, adatta alla mia natura, a me congeniale:  essere bravo in quanto facevo, ossia fare quello per cui ero dotato, lo studio e lo sport, a livello più maturo, più alto e, soprattutto, proficuo non solo per me.
Volevo imparare a piacere alle donne. Per  fare questo sarebbe stato necessario incontrare persone, soprattutto femmine umane che apprezzassero le qualità mie e mi motivassero a potenziarle. E’ bene sviluppare il proprio genio. Chi lo tradisce va inevitabilmente in rovina. Quelle che mi hanno capito e amato di più, le più intelligenti e buone, mi hanno detto “tu sei un genio”, provocandomi a dimostrarlo con tutti i mezzi, con tutte le forze a disposizione.
Entrato nella camera 4 del III piano del collegio numero uno dunque, scoprìi subito le mie carte bassissime che non volevo coprire con la mia mano tremante; del resto non sarebbe stato facile tenerle nascoste dietro l’aspetto devastato dall’infelicità  e con il mio comportamento drammaticamente insicuro. La grande, totale infelicità traspariva da tutti i miei atti “d’allegrezza spenti”.

Ma Dio che mi aveva guidato fin lì, mi aiutò: i miei contubernales   erano persone buone: mi diedero la mano di cui avevo bisogno per cominciare la risalita dall’abisso scosceso e dirupato della sventura. Tra questi c’era Fulvio di Parma che sarebbe diventato il mio amico migliore, poi Danilo, un ragazzo veneto, studioso eppure ebbro di incontenibile gioia, almeno così mi sembrò, e Luigino un dolce ragazzo di Roma, molto sensibile, intelligente, colto e capace di comprendere le difficoltà del prossimo suo, come le proprie. Fulvio mi piacque subito molto. Mi sembrò che osservasse le cose e le persone per meditarci sopra, invece di spiarle per impossessarsene, usarle o sottometterle, come fa la gente volgare.
Aveva due anni e mezzo più di noi altri e un’aria assai più matura. Lo scelsi come l’educatore, il padre, il  maestro e l’ amico di  cui avevo un grande, insoddisfatto bisogno.  Le sue parole non erano mai prive di idèe e sentimenti: Fulvio non era vago di ciance e ostile al pensiero, come tanti omuncoli e diverse donnicciole incontrati sia a Pesaro sia a Bologna. Anche Luigino e Danilo mi piacquero.  Erano tutti e tre degli studiosi capaci di apprezzare letture e cultura. Da loro capìi di averle colpevolmente sottovalutate per paura della mia diversità dalla gente usuale “ una gente - zotica, vil; cui nomi strani, e spesso -argomento di riso e di trastullo - son dottrina e saper”. 

Quei ragazzi, se citavo un verso di Virgilio o di Euripide o di Leopardi, non mi deridevano, anzi mi approvavano e incoraggiavano a continuare o a ripetere. Capìi che questa mia sensibilità alle parole e la mia memoria ottima, rara, erano qualità, non difetti come sostenevano i più nel borgo selvaggio dal quale ero partito così desolato.
Fui subito bendisposto verso queste persone tanto differenti da quelle che avevo preso la cattiva abitudine di frequentare: queste non mi avrebbero umiliato né deriso, né ferito, siccome non erano di uno stampo del tutto differente dal mio. Fulvio era di destra, gli altri due di sinistra e avremmo fatto anche discussioni accese, ma eravamo tutti e quattro tendenzialmente, anzi sostanzialmente diversi dal borghese che trae identità dai miseri quattrini. A loro tre, come  a me, interessavano l’amore, la bellezza, le idèe,  più delle cose materiali: vestiti, automobili, mobili padelle, o altre minuzie . Avevamo bisogni spirituali innanzitutto e nessuno di noi è diventato un filisteo un  “a[mouso" ajnhvr",  un uomo estraneo alle muse” , uno di quegli individui “continuamente affaccendati nel modo più serio attorno a una realtà che non è tale (…) Di conseguenza le ostriche e lo champagne  sono il punto culminante della sua esistenza” . O addirittura le partite di calcio.
Spero che questi amici,  e alcuni altri incontrati più avanti,  non me ne vorranno se ricordando  i nostri  vizi e le nostre virtù non ho cambiato i loro nomi a me cari come le loro persone. Un abbraccio forte a tutti e tre.
Fulvio intanto è diventato un amico celeste.
 Cari amici di quella che sarebbe stata l’età più bella, vi chiedo scusa se più avanti, dopo queste parole di affetto, non vi risparmierò canzonature e motteggi. Del resto non li ho mai risparmiati nemmeno a me stesso. 


Bologna 17 novembre 2022 ore 20 
giovanni ghiselli

p. s
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