NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 2 novembre 2022

Sul potere. XVII parte. Democrazia e politeismo

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La democrazia, ha sostenuto Cacciari in un
[1] intervento televisivo è strutturalmente politeistica.
Nel trattato Della tirannide (del 1777) Vittorio Alfieri distingue la religione cristiana dalla pagana, rilevando l’incompatibilità della prima con la libertà: “La religion pagana, col suo moltiplicare sterminatamente gli dèi, e col fare del cielo quasi una repubblica, e sottomettere Giove stesso alle leggi del fato[2], e ad altri usi e privilegi della corte celeste, dovea essere, e fu infatti, assai favorevole al vivere libero (…) La cristiana religione, che è quella di quasi tutta la Europa, non è per se stessa favorevole al viver libero: ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver libero (…) Ed in fatti, nella pagana antichità, i Giovi, gli Apollini, le Sibille, gli Oracoli, a gara tutti comandavano ai diversi popoli e l’amor della patria e la libertà. Ma la religion cristiana, nata in popolo non libero, non guerriero, non illuminato e già intieramente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca obbedienza; non nomina né pure mai la libertà; ed il tiranno (o sacerdote o laico sia egli) interamente assimila a Dio” (I, 8).
A proposito della religione “nata in un popolo non libero e interamente soggiogato dai sacerdoti”, Nietzsche nella Genealogia della morale Uno scritto polemico (1887) scrive: “gli Ebrei, quel popolo sacerdotale, che non ritenne di avere ricevuto la dovuta soddisfazione dai popri nemici e sopraffattori, se non dopo averne ribaltato radicalmente i valori, cioè solo grazie a un atto della più spirituale vendetta. Questo solo era adeguato a un popolo sacerdotale, al popolo della più latente sete di vendetta sacerdotale” (Buono E Malvagi”, “Buono E Cattivo” 7) 
 
Del resto Euripide denuncia la malvagia violenza della scellerata gentaglia e pretaglia delfica.
Nell'Andromaca  il tragediografo rappresenta la morte di Neottolemo lapidato senza ragione dagli abitanti di Delfi sobillati da Oreste innamorato della frivola spartana Ermione.  Invano "il ragazzo di Achille"(v.1119) domanda:
"per quale ragione mi uccidete mentre percorro il cammino della pietà? per quale causa muoio? Nessuno di quelli, che erano migliaia e stavano vicini, mandò fuori la voce, ma gettavano pietre dalle mani"(vv. 1125-1128). Il clero non è estraneo a questo “crimine sacro”: a un certo punto, dai recessi dl tempio rimbombò una voce terribile e raccapricciante e aizzò quel manipolo e lo spinse a combattere (vv. 1146-1148). Il messo alla fine della rJh'si" accusa Apollo di essere w}sper a[nqrwpo" kakov" (v.1164), come un uomo malvagio, e domanda:"pw'"  a]n ou\n ei[h sofov";" (v. 1165), come potrebbe essere saggio?
A questo proposito G. De Sanctis scrive:"Ora può darsi che Euripide osasse porre in così cattiva luce Apollo profittando del mal animo degli Ateniesi verso il dio che spartaneggiava in quegli anni come poi filippizzò"[3].
Critiche della cultura ebraica e sue difese
In un celebre excursus delle Historiae, Tacito descrive la Giudea come una regione corrotta abitata da gente corrotta: “Moyses quo sibi in posterum gentem firmaret, novos ritus contrariosque ceteris mortalibus indidit. Profana illic omnia quae apud nos sacra, rursum concessa apud illos quae nobis incesta” (Historiae, V, 4), Mosè per tenere legato a sé il popolo nell’avvenire, introdusse riti inauditi e contrastanti con quelli degli altri mortali. Empio è là tutto quanto da noi è sacro e, viceversa, lecito tutto quanto da noi è impuro. Tacito ricorda alcune  usanze vetuste e antichi riti giudaici , quindi riassume: “cetera instituta, sinistra, foeda, pravitate valuere” (V, 5), le altre costumanze, sinistre, ripugnanti, si affermarono per la depravazione. Lo storiografo latino respinge l’analogia che si è voluta trovare tra il padre Libero e il dio venerato dai Giudei: “Quippe Liber festos laetosque ritus posuit, Iudaerum mos absurdus sordidusque” (Historiae, V, 4), Libero infatti ha istituito riti festosi e lieti, mentre il costume dei Giudei è assurdo e squallido.
George Steiner. 
Tralascio gli antisemitismi recenti per riassumere e commentare l’interpretazione di Steiner. Gli Ebrei sono visti come gli inventori e i propagatori di ideali troppo duri e scomodi per i popoli dell’Europa occidentale, insomma per noi. Il primo vulnus inferto all’Europa pagana fu quello del monoteismo. Steiner cita Nietzsche: “ Nel politeismo consisteva la libertà dello spirito umano, la sua poliedricità creativa. La dottrina di una singola divinità…è “il più mostruoso di tutti gli errori unani” (“die ungeheuerlichste aller menschlichen Verirrungen”)”[4].
 
 Nietzsche non si limitò a questo. C’è una ostilità culturale piuttosto che razziale-biologica, come fa notare Thomas Mann: “Quando Socrate e Platone cominciarono a parlare di verità e di giustizia egli dice una volta ‘non furono più greci, ma ebrei, o che so altro’. Orbene, gli ebrei, grazie alla loro moralità, si sono dimostrati buoni e tenaci figli della vita. Con la loro fede in un Dio giusto, essi sono sopravvissuti ai millenni, mentre il piccolo, dissoluto popolo greco di esteti e di artisti è presto scomparso dalla scena della storia. Ma Nietzsche, pur lontano da ogni odio razziale antisemitico, vede nel giudaismo la culla del cristianesimo e in questo, a ragione ma con aborrimento, il germe della democrazia, della rivoluzione francese e delle odiate “idee moderne che la sua parola squillante marchia con il nome di ‘morale del gregge’…ciò che egli disprezza e maledice in queste idee è ‘utilitarismo e l’eudemonismo, il loro far della pace e della felicità terrena i beni più desiderabili ed alti, mentre l’uomo nobile, tragico, eroico, calpesta questi valori molli e volgari”[5].
Certamente non è l’eudemonismo la quintessenza della cultura ebraica. Piuttosto essa è contrassegnata dal monoteismo.
Ma leggiamo alcune altre parole di questo saggio critico pubblicato nel 1948 in Neue Studien dall’editore Bermann-Fischer a Stoccolma
“A questa tragica saggezza che benedice la vita in tutta la sua falsità, durezza e crudeltà, Nietzsche ha dato il nome di Dioniso”
Da Socrate “lo spregiatore dell’istinto, l’esaltatore della coscienza, deriva, secondo Nietzsche, una culturascientifica, alessandrina, pallida, dottorale, estranea al mito, estranea alla vita (…) La storia, per puro amore di conoscenza, non esercitata ai fini della vita e senza il contrappeso della “dote plastica” della spontaneità creatrice, è suicidio, è morte (…) Il suo grido di omaggio non è “osanna” ma “evoè”
 
 
Bologna 2 novembre 2022 ore 10, 55
giovanni ghiselli

p. s
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[1] Gennaio 2006.
[2] Il predominio del fato non risparmia nessuno: il Prometeo di Eschilo, afferma consolandosi del suo martirio, che nemmeno Zeus "potrebbe in alcun modo sfuggire alla parte che gli ha dato il destino (th;n peprwmevnhn)"(Prometeo incatenato, v. 518).  Ndr. 
[3]Op. cit. , II vol., p. 331.
[4] G. Steiner Nel castello di Barbablù Note per la riedifinizione della cultura, p. 39.
[5] La filosofia di Nietzsche in Nobiltà dello spirito Saggi critici (pp. 801-844)

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