NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 2 novembre 2022

Sul potere. XVI parte. Elogi della democrazia. Lo strapotere dell’ignoranza

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Elogi della democrazia e della libertà. Il
Menesseno di Platone. L'Anonimo Sul sublime. Il Dialogus de oratoribus di Tacito.
La democrazia ateniese del tempo di Pericle, nel discorso epitafico di Aspasia riferito da Socrate nel Menesseno  di Platone, è un’aristocrazia con il consenso della massa: “met j eujdoxiva~ plhvqou~ ajristokrativa” (238d)  ed è un regime educativo (trofh; ajnqrwvpwn), tale che non esclude nessuno per debolezza sociale, né per povertà, né per oscurità dei padri; e neppure preferisce alcuno per i motivi contrari. I medesimi pregi vengono attribuiti alla “sua” democrazia  dallo stesso Pericle nel discorso che gli fa pronunciare Tucidide in Storie II 35 sgg. quando lo stratego celebra con un  elogio i caduti nel primo anno di guerra e  Atene, la scuola dell’Ellade (II, 41). Questo argomento merita un discorso a parte.
Abbiamo visto del resto che non mancano i critici della democrazia, pure di quella periclea. Socrate nel Gorgia di Platone afferma che Pericle e prima di lui Temistocle, e altri, hanno ingrossato Atene piuttosto che renderla grande, poiché si sono occupati più di porti e arsenali che di educazione dei cittadini. Sicché la polis è diventata gonfia e infiammata.
Insomma questi capi hanno favorito lo sviluppo, non il progressa, mutuando termini pasoliniani.

Voglio contrapporre a questa critica alcuni elogi della democrazia: nel trattato anonimo Sul sublime un personaggio, il  filovsofo" fa dipendere la decadenza delle lettere dalla fine della democrazia che è la vera nutrice della grandezza (44, 2): manca la libertà-sostiene- e noi, imbalsamati fin dall'infanzia nei costumi della servitù, non siamo altro che grossi adulatori (kovlake"... megalofuei'"). La conseguenza della tirannide è l'universale carestia letteraria (lovgwn kosmikh;... ajforiva, 44).
Tacito nel Dialogus de oratoribus[1] dà una spiegazione simile a quella del  filovsofo". Curiazio Materno, portavoce dell'autore, afferma che una grande oratoria era possibile solo con la libertà o addirittura con la licenza della peggiore repubblica, nel fervore dei tumulti e dei conflitti civili. "Magna eloquentia, sicut flamma, materia alitur, et motibus excitatur et urendo clarescit " (36), la grande eloquenza, come una fiamma, si alimenta con del materiale, si ravviva con il movimento e bruciando diventa più luminosa.
Su questo argomento sentiamo anche Leopardi: “osservate come infatti l’eloquenza non abbia fiorito mai se non quando ha avuto il popolo per uditore. Intendo un popolo padrone di se, e non servo, un popolo vivo e non un popolo morto…Del resto appena le repubbliche e la libertà si sono spente, le assemblee, le società, le corti, non hanno mai sentito la vera eloquenza, non essendo uditorii capaci di suscitarla”[2].
Lo stesso vale per la tragedia
 
Lo strapotere dell’ignoranza
La fine della libertà fa decadere non solo l’oratoria ma tutta la cultura e la scuola.
 Encolpio, l’io narrante del Satyricon di Petronio,   mette sotto accusa il tipo dello studioso, estraneo  alla vita, lo stesso che Nietzsche definirà "l'eterno affamato, il "critico" senza piacere e senza forza, l'uomo alessandrino, che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si accieca miseramente sulla polvere dei libri e degli errori di stampa"[3].
Encolpio  lo contrappone ai grandi tragici:"nondum iuvenes declamationibus continebantur, cum Sophocles aut Euripides invenerunt verba quibus deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia deleverat, cum Pindarus novemque lyrici Homericis versibus canere timuerunt. et ne poetas solum ad testimonium citem, certe neque Platona neque Demosthenen ad hoc genus exercitationis accessisse video " (2, 3-5), ancora i giovani non erano chiusi nelle vuote declamazioni, quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano parlare, non c'era ancora un erudito cresciuto nell'ombra a scempiare gli ingegni, quando Pindaro e i nove lirici[4],  si peritarono a cantare in versi omerici. E per non far venire solo i poeti come testimoni, di certo non trovo che Platone né Demostene si sono abbassati a questo genere di esercitazione. 
Un altro personaggio “colto” del Satyricon , il  retore Agamennone, un maestro abituato a  "insudare molto nelle cose[5], accusa anche i genitori dei discepoli ":"parentes obiurgatione digni sunt, qui nolunt liberos suos severa lege proficere" (4, 1) poiché non vogliono che i loro figli migliorino con una dura disciplina
Simile rimprovero ai genitori lo rivolge Messalla nel Dialogus de oratoribus [6] di Tacito:"Quis enim ignorat et eloquentiam et ceteras artis descivisse ab illa vetere gloria non inopia hominum, sed desidia iuventutis et neglegentia parentum et inscientia praecipientium et oblivione moris antiqui?" (28), chi non sa infatti che l'eloquenza e le altre arti sono decadute da quella gloria antica non per carestia di uomini, ma per l'infingardaggine della gioventù, la noncuranza dei genitori, l'ignoranza dei maestri e  l'oblio del costume antico?
 
Nel Satyricon c’è una paralisi che blocca tutto, dalla scuola, all’amore, all’economia.
Del resto nel Satyricon è descritta una paralisi che blocca tutto: non solo la scuola, ma anche il sesso, colpito dall'ira di Priapo[7], e l'economia.  Trimalchione vanta i suoi smisurati e imperscrutabili latifondi:"deorum beneficio non emo, sed nunc quicquid ad salivam facit, in suburbano nascitur eo, quod ego adhuc non novi. dicitur confine esse Tarraciniensibus et Tarentinis. nunc coniungere agellis Siciliam volo, ut cum Africam libuerit ire, per meos fines navigem" (48, 2), grazie a dio non compro niente, ma ora tutto quanto fa venire l'acquolina in bocca nasce in quel podere vicino alla città che io ancora non conosco. Si dice che fa da confine con le terre di Terracina e quelle di Taranto. Ora con dei campicelli  voglio unire la Sicilia, in modo che, quando mi andrà di recarmi in Africa, possa navigare lungo le mie terre.
Qui si trova il problema del latifondo che si estende dal I secolo d. C. a partire dall'Africa.
"Ma indubbiamente anche in Italia le grandi tenute divennero sempre più estese e a poco a poco assorbirono le fattorie di media estensione e i poderetti contadineschi. Seneca lo dice esplicitamente ; ed egli poteva ben saperlo, essendo uno degli uomini più ricchi d'Italia, se non addirittura il più ricco, sotto Claudio e Nerone, e proprietario egli stesso di vaste tenute…Le tenute di media estensione furono a poco a poco rovinate dalla mancanza di vendita dei prodotti e vennero acquistate a buon mercato da grandi capitalisti. Questi ultimi naturalmente desideravano di semplificare la gestione delle loro proprietà, e, paghi di ottenerne un reddito sicuro se pur basso, preferivano dare la loro terra ad affittuari e produrre prevalentemente grano"[8].
 In Italia vengono meno le culture intensive di vite e olivo poiché le province, divenute autarchiche, non assorbono più questi prodotti. Quindi si torna a coltivare il grano con metodi non razionali: i braccianti, schiavi o liberi, non forniscono un lavoro di qualità; i proprietari assenteisti del resto non li seguono
 

Bologna 2 novembre 2022 ore10, 25
giovanni ghiselli
 
 
 


[1] Ambientato tra il 75 e il 77 e redatto, probabilmente, un quarto di secolo più tardi.
[2] Zibaldone, 161 e 162.
[3]Nietzsche, La nascita della tragedia , capitolo 16.  trad. it. Adelphi, Milano, 1977,
[4] Il canone alessandrino dei nove lirici più importanti comprendeva Saffo, Alceo, Anacreonte (lirica monodica), Simonide, Bacchilide, Pindaro, Alcmane, Stesicoro, Ibico (lirica corale). Li abbiamo menzionati quasi tutti come poeti d'amore e maestri dei latini.
[5] Cfr. Machiavelli, Il principe, 25.
[6] Ambientato tra il 75 e il 77 e redatto, probabilmente, un quarto di secolo più tardi.
[7] Circe manda a Encolpio-Polieno un'invettiva scritta rinfacciandogli la paralisi che lo aveva colpito:"paralysin cave" (129, 6).
[8]  M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'impero romano, p.115.

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