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martedì 8 novembre 2022

Tucidide. VIII

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Capitolo XXIII del primo libro (paragrafi 1 e 2)
Sommario del  capitolo
Delle guerre precedenti la più grande fu la seconda guerra persiana ma durò poco tempo; l'ultima invece si è protratta a lungo e ha causato sofferenze inaudite coinvolgendo numerose città, causando moltissime vittime con la coincidenza di eventi catastrofici e paurosi, come terremoti, eclissi di sole, siccità, carestie, pesti, che rendevano ancora più gravi le devastazioni del conflitto. Esso fu iniziata da Ateniesi e Peloponnesiaci quando ruppero i patti trentennali seguiti alla presa dell'Eubea. La vera ragione per cui li ruppero fu che il continuo accrescimento della potenza ateniese spaventò gli Spartani e li indusse ad entrare in guerra. Le cause dichiarate a parole invece saranno esposte nei capitoli successivi .
 
Il commento a questo denso capitolo comprende un riquadro su "la guerra civile e che cosa è aristocratico?", uno su "la terra desolata.    
 
I, 23, 1
Traduzione
"Delle imprese precedenti la più grande davvero compiuta fu la guerra persiana e questa tuttavia ebbe rapida la soluzione con due duoi`n battaglie navali e due terrestri.
La durata di questa guerra invece si protrasse a lungo, e capitò che in essa si producessero sofferenze - paqhvmatav te: per la Grecia quali non ce ne furono altre oujc e[tera in uguale periodo di tempo”
 
Commento
duoi`n : le due battaglie navali della seconda guerra persiana sono quelle dell'Artemisio e di Salamina, le terrestri quella delle Termopili e di Platea.
paqhvmatav te: le sofferenze degli uomini nella storia costituiscono un  insegnamento: sono maestre.
Tale tovpo~   trova l’ espressione più chiara e sintetica nella Parodo dell'Agamennone  di Eschilo: "tw/' pavqei mavqo"  (v. 177), attraverso la sofferenza, la comprensione".
Da Erodoto sappiamo che Creso si era illuso di essere l'uomo più felice della terra, ma, sconfitto e catturato da Ciro re dei Persiani, comprese che c'è un ciclo delle vicende umane il quale non permette che siano sempre gli stessi uomini a essere fortunati:"ta; dev moi paqhvmata ejovnta ajcavrita maqhvmata gevgone", le mie sofferenze che sono state spiacevoli, sono diventate apprendimenti (I, 207).
Tale idea è radicata nella tradizione
-oujc e[tera: impareggiabile dunque fu la grandezza della guerra (cfr. kivnhsi"...megivsth di I, 1, 2) e impareggiabili le sofferenze. Torna, in una composizione ad anello, l'idea che questa guerra fu un evento enorme e, quindi, ajxiologwvtaton tw'n progegenhmevnwn,  la più degna di memoria tra quelle accadute prima(cfr. I, 1, 1). La grande storia è storia di grandi guerre: "La storia è dunque essenzialmente storia delle guerre-nota Canfora-delle guerre in quanto "rivelatori" del livello raggiunto dalle forze materiali: la guerra "misura di tutte le cose", si potrebbe dire adattando alla realtà storica considerata da Tucidide la formula protagorea"[1].
Ammiano ricorda questo principio secondo il quale la storiografia non deve trattare avvenimenti minimi bensì  gli avvenimenti più importanti discurrere per negotiorum celsitudines non humilium minutias indagare causarum. Infatti  indagare sulle minuzie è come sperare di poter contare individua illa corpuscula volitantia per inane, ajtovmou~, ut nos appellamus. (26, 1, 1), quei corpi indivisibili, minimi che si muovono nel vuoto e noi chiamiamo atomi.

I 23, 2.
Traduzione
"Infatti mai tante città, dopo essere state espugnate, furono rese deserte hjrhmwvqhsan: alcune dai barbari uJpo; barbavrwn, altre dagli stessi che si facevano la guerra (ci sono anche quelle che, conquistate, cambiarono abitanti) né  tanti esili di uomini, e stragi -fugaiv...fovno"- certune nel corso della guerra, altre anche per le lotte intestine" dia; to; stavsiazein.-
Commento
.-hjrhmwvqhsan: aoristo passivo di ejrhmovw. Ecco una conseguenza delle grandi guerre, anche se poi, chi le vince, sul deserto conseguente ai massacri, mette il cartello con la scritta "pace":"atque ubi solitudinem faciunt pacem appellant " fa dire Tacito nell' Agricola (30) a Calgaco, il capo dei Caledoni ribelli.
Un altro caso di desertificazione dovuta alla guerra viene biasimato da Poseidone nel Prologo delle Troiane. Il dio del mare  critica, come  stolto (mw'ro", v. 95) tra i mortali chi distrugge le città (ejkporqei' povlei") ponendosi fuori dall’umanità cui appartiene per destino:"naou;" te tuvmbou" q, iJera; tw'n kekmhkovtwn,/ejremiva/ dou;" aujto;" w[leq j  u{steron"(vv. 96-97), templi e tombe, sacrari dei morti/dando al deserto, tanto anch'egli più tardi muore.
uJpo; barbavrwn: La guerra fu decisa dall'appoggio finanziario del princie persiano Ciro a Sparta. Le ultime tragedie di Euripide, particolarmente l'Ifigenia in Aulide , sono una chiamata a raccolta delle forze ateniesi contro i barbari d'Asia:
"è naturale che gli Elleni comandino sui barbari, e non i barbari,/madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi", proclama la fanciulla protagonista (vv.1400-1401) dopo avere offerto la sua vita per la patria:"do il mio corpo per l'Ellade./Sacrificate, espugnate Troia. Questo infatti sarà il mio/monumento a lungo, questi i figli, le nozze e la gloria"(vv.1397-1399).-fugaiv...fovno": viene ancora in mente Tacito: " plenum exiliis mare , infecti caedibus scopuli " (Historiae ,I, 2), il mare pieno di esilii, gli scogli sporchi di strage. Anche questo scempio si sta ripetendo.
  
La guerra civile - to; stavsiazein
La guerra civile (stavsi") è motivo di dismisura e transvalutazioni, morali e pure linguistiche.
Voglio premettere che Tito Livio considera con timore le seditiones  di Roma, ossia i contrasti tra patrizi e plebei, " id unum venenum, eam labem civitatibus opulentis repertam, ut magna imperia mortalia essent "(II, 44, 8) quell'unico veleno, quel flagello trovato contro le città fiorenti perché gli imperi fossero mortali.
Più avanti (III, 68, 7) Livio ribadisce il concetto in un discorso di un console che chiede la concordia:"discordia ordinum est venenum urbis huius", la lotta di classe è il veleno di questa città.
Tacito del resto nella Germania  (33) auspica la discordia di quelle popolazioni bellicose come condizione necessaria per la sopravvivenza dell'impero.
 
Tucidide scrive due  capitoli cruciali (82-83) nel III libro. L'occasione che dà lo spunto ad alcune considerazioni di carattere universale è la stavsi" di Corcira durante la quale (427-425 a. C.) si abbatterono sulle città molte  gravi sciagure che avvengono e avverranno sempre finché la natura degli uomini rimarrà la stessa:"  {ew" a]n hJ aujth; fuvsi" ajnqrwvpwn h\/" (III, 82, 2).  Il succo delle riflessioni è che la guerra è "bivaio" didavskalo""[2]  maestra di violenza e assimila alle circostanze i caratteri dei più:"kai; pro;" ta; parovnta ta;" ojrga;" tw'n pollw'n oJmoioi'"(III, 82, 2). In pace e nella prosperità invece, le città e i privati provano sentimenti migliori:"ajmeivnou" ta;" gnwvma" e[cousi".
In quella situazione dunque cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. :"kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw'n ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei" (III, 82, 4). Riporto alcuni esempi di questo slittamento linguistico: l'audacia sconsiderata (tovlma...ajlovgisto") fu ritenuto coraggio leale al partito (ajndreiva filevtairo"), l'indugio prudente invece (mevllhsi" de; promhqh;"), viltà speciosa (deiliva eujprephv"), la moderazione poi schermo della viltà (to; de; sw'fron tou' ajnavndrou provschma).
Queste parole sono commentate da Montaigne nel capitolo XXIII[3] dei Saggi :" Si leggono nelle nostre stesse leggi, fatte per rimediare a quel primo male[4], l'insegnamento e la giustificazione di ogni sorta di cattive imprese; e ci accade quel che Tucidide narra delle guerre civili del suo tempo che per favorire i pubblici vizi li battezzavano con nuovi nomi più dolci, per scusarli, temperando e ingentilendo la loro vera qualità"[5]. Si può pensare a come le due contrapposte propagande presentano ciascuna i propri crimini nel corso di questa guerra - temperando e ingentilendo la loro vera qualità-
Penso innanzitutto all’atto teroistico contro la ragazza Dugina.
L'elenco della degenerazione semantica e morale continua: l'intelligenza divenne infingardaggine, chi si adirava era considerato affidabile, chi gli si opponeva, sospetto. Il successo giustificava le insidie: ejpibouleuvsa~ dev ti~ tucw;n xunetov~, chi tendeva insidie, se gli riuscivano, era intelligente (III, 82, 5).
 
Il successo d'altra parte ha sempre santificato tutto, anche il crimine, almeno agli occhi dei più. Lo fa notare il vecchio Parini nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo:" Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall'intento, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l'onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi conviene o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla sempre"(Milano, 4 dicembre).
In effetti i capi fazione nella città (OiJ ga;r ejn tai`~ povlesi prostavnte~), mentre a parole curavano gli interessi comuni, ne facevano i premi della lotta, e lottando con tutti i mezzi per superarsi a vicenda osarono compiere i misfatti più terribili :"ta; me;n koina; lovgw/ qerapeuvonte" a\qla ejpoiou'nto, panti; de; trovpw/ ajgwnizovmenoi ajllhvlwn perigivgnesqai ejtovlmhsavn te ta; deinovtata" (III, 82, 8).
Sallustio riprende questa espressione nel De Catilinae coniuratione a proposito della lotta tra fazioni seguita al consolato di Pompeo e Crasso (70 a. C.) che avevano ripristinato il potere dei tribuni della plebe: “bonum publicum simulantes pro sua quisque potentia certabant” (38), mentre simulavano il bene pubblico, ciascuno lottava per la propria potenza.
Più avanti lo storiografo di Amiternum racconta che Catone, parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati catilinari "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo
Ma torniamo a Tucidide. I giuramenti (o{rkoi) quindi non avevano alcun valore e i più (oiJ polloiv) preferivano essere chiamati abili operatori di male (kakou'rgoi...dexioiv) che onesti sciocchi (ajmaqei'" ajgaqoiv): infatti di questo si vergognano (tw'/ me;n aijscuvnontai) mentre per l'altro si vantano ("ejpi; de; tw'/ ajgavllontai"). La causa (ai[tion, III, 82, 8) di tutto questo era la volontà di comandare (ajrch;) per cupidigia e ambizione ("dia; pleonexivan kai; filotimivan").
La Medea di Euripide che conserva una cultura arcaica e ieratica, rinfaccia a Giasone i giuramenti calpestati 
“E Medea, l'infelice donna oltraggiata,
 rinfaccia con grida i giuramenti, reclama il sommo impegno
 della mano destra, e chiama gli dèi a testimoni
di quale contraccambio ella riceva da Giasone. ( Medea, vv. 19-23).
Così ho trovato un nesso con la lezione di oggi pomeriggio su Medea
 

Bologna 9 novembre 2022 ore 10, 40
giovanni ghiselli

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[1]Storia Della Letteratura Greca , p.268.
[2] La guerra civile viene deprecata anche da Atena nelle Eumenidi: “ qurai'o~ e[stw povlemo~” (v. 863), la guerra sia esterna. Rifiuto una zuffa di uccelli domestici” (v. 865). 
[3] Della consuetudine e del non cambiar facilmente una legge accolta.
[4] Le prime faziosità (n.d. r.).
[5] Montaigne, Saggi (del 1585), p. 156.

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