martedì 29 novembre 2022

La resurrezione. II. Il 1968. Anno cruciale: prosegue lo schiodamento

Le notti della primavera del ’68 comprese tra il 10 e il 20 aprile, le passai in una stanza di un collegio di Praga facendo l’amore con Helena, la fanciulla onesta che mi donò tutta sé stessa senza chiedere nulla in cambio: non dico soldi o regali, ma nemmeno alcun impegno o rinuncia. Pur troppo poco mi chiese quella ragazza che mi piacque assai e le volli anche un poco di bene, ma interessato com’ero alla rivoluzione del nostro mondo e della mia persona, alla diciottenne in quel tempo non diedi tutta l’importanza che aveva e avrebbe avuto più tardi,  beninteso per me. La ripensai e l’ho riconosciuta soltanto alcuni anni dopo, riconsiderandola e rimpiangendola, invano, quando tornai a Praga, per cercarla, nella primavera piovosa del ’72.
 Nel frattempo in Italia erano cominciate le stragi di Stato.
Quando le telefonai, Helena, rimasta onesta, mi tenne lontano poiché nel frattempo aveva stretto un legame con un compagno di università.
La indico quale modello a quante fanno mercato della loro gioventù, oppure, dopo avere preso un impegno con un uomo, appena questo si volta, si intrigano con altri che sanno lusingarle suscitando nelle labili menti vani sogni, folli speranze, morbosi ricordi. Oppure una libidine pazza. Meno riprovevoli queste. Agiscono male,  sed non propter nummos , ma non per i miseri quattrini né per il  potere fallace.
 
Helena Schejbalova mi ha aiutato a uscire del tutto dall’abisso di vuoto identitario in cui ero caduto dopo il liceo.
Non meno  importante allora fu  la rivoluzione spirituale del 1968. Un evento mondiale che mi aiutò a riconoscere e approvare del tutto  gli aspetti migliori del mio carattere e ad assumere i tratti decisivi del mio stile di insegnante: non demagogicamente permissivo come furono molti durante l’auge del movimento studentesco, né, tanto meno, dispotico come altri, o magari gli stessi sono diventati nella fase regressiva della restaurazione iniziata alla fine del ’69 in concomitanza con la pima delle stragi di Stato.
 Allora cominciavo a insegnare e volevo diventare un educatore interessato alla crescita umana e culturale degli studenti. Sarebbe stata parallela alla mia.
“L’umanità visse allora-scrive Benedetto Croce- uno di quei rari momenti nei quali la lieta fiducia di sé stessa e del suo avvenire tutta la riempie, e ampliandosi nella purezza di questa gioia, essa si fa buona e generosa, e vede attorno a sé fratelli e ama”[1]
Cito queste parole riferendole al momento di lieta fiducia della mia generazione.
Da questo movimento studentesco dunque,  e pure da Helena, presi la fiducia di poter ridurre lo squilibrio che ancora sentivo tra la mia vita e i miei sogni, tra le mie capacità e i miei atti.
 
In luglio tornai a Debrecen, sempre con la speranza di trovare l’amore.
Ritrovai alcuni dei compagni del 1966, ancora giovani molto, sebbene non più proprio ragazzi. Fulvio e Danilo, oltre me, rano studenti in uscita dalle aule universitarie, già alle prese con la tesi di laurea.
 
Fulvio cantava spesso mettendo in lingua umana i versi delle pernici e Danilo seguitava a bere, ebrius et ructabundus. Ma era anche un serio studioso. Ha fatto più carriera di me nella scuola.
 Comunque eravamo amici e insieme si giocava, si chiacchierava si cercavano le femmine umane. Finché mi innamorai di una ragazza di Helsinki, la prima del ciclo finnico: Eeva Vuortama.


Bologna 29 novembre ore 14, 38
giovanni ghiselli
 
p. s
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[1] Bnedetto Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono, capitolo sesto.

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