io oggi |
La bellezza e bontà del mondo creato dall’ottimo demiurgo divino, il migliore di tutti gli artisti, arrivai a notarla, apprezzarla e amarla a mano a mano che smettevo di spregiare me stesso. In questo processo di riabilitazione mi aiutarono alcuni umani incontrati nei giorni seguenti in quella università estiva. Piccole cose ma immensamente benefiche per me che venivo da anni di calpestamenti subiti nella mente e nel cuore.
Avevo suscitato parecchi risentimenti negli anni dei successi liceali e ciclistici. Me ne ero inorgoglito e vantato troppo perché non avevo avuto altro di cui essere contento e andare fiero, fin da bambino.
Ricordo che mi inondò l’anima di gioia una biondina francese che mi fece un sorriso mentre cantavamo in corriera uno giorno in “gita scolastica” nei dintorni di Debrecen. Basta poco per aiutare un disgraziato. La fanciulla della Gallia mi infuse coraggio lanciandomi quel leggero, istantaneo segno di simpatia.
A volte, pedalando la mia bicicletta da solo, ripeto quella canzone - Chevaliers de la Table Ronde - e, ripensando al sorriso amabile, spontaneo e gratuito della compagna di corso, piango, piango di consolazione e di gioia. Non mi sazio di lacrime. Anche tu ragazzina ventenne, creatura benedetta da Dio e da me, sei viva nei canti dell’aedo di Debrecen.
Poi la già ricordata Britanna che mi permise addirittura di baciarla dopo il film. Che tu sia benedetta Elizabeth cara. Dal tuo bacio ho tratto succhi che hanno contribuito a salvarmi la vita. Questo avvenne nei primi giorni di agosto quando procedevo metodicamente sulla strada della salvezza.
Chi è per strada? Chi è per strada? Chi?[1]
Io ero per strada e alcune persone buone erano con me. Anche Fulvio, Danilo e Luigi, non solo le donne.
Tornato a Pesaro, mezzo rinsavito, ogni giorno dal tocco alle due, invece di desinare correvo digiuno sulla sabbia della costa in direzione di Fano. A sinistra il fragore del mare, a destra si allungavano ogni giorno di più le ombre del monte Ardizio. Era già autunno quando, con lo spuntare del grano, inizia la resurrezione, ritorna la vita. Ogni anno, con il volgere delle stagioni, sempre più vita e meno morte.
Appena giunto a Debrecen invece, l’oscuro velo dell’angoscia poteva ancora calarmi sugli occhi e discolorare, almeno con intermittenza, le cose belle della natura e della vita. Il laghetto in certi momenti, quando terminava l’ intervallum insaniae, mi appariva quale palude fetida sotto un ponte sgangherato e rumoroso di cigolìi sinistri: una specie di lago morto dove la vegetazione priva di succhi vitali si dissecca e disintegra in una cenere nera che il vento disperde 2.
Nei tramonti che tanto amavo e sarei tornato ad amare come annunci di resurrezione e segni di eternità, vedevo altrettante uccisioni del sole.
Attraversato il ponticello, camminai fino al regi Vigadó, un locale contiguo alla piscina, un ristorante dall’aria antica, quasi nobile, con un giardino coperto da un tetto di legno incoronato di edera come le baccanti seguaci di Dioniso: “ ejpi; d j e[qento kissivnou"-stefavnou"” 3.
L’amore della letteratura per lo meno era ancora vivo dentro di me.
Bevvi una birra e ne rimasi stordito, ma non mi dispiacque: in quel tempo la mia lucidità era spesso falsa e maligna, volta a denigrare me stesso, il prossimo mio e la vita intera. Un orientamento negativo, un carattere guasto, uno sguardo bieco nel ceffo reso deforme da pensieri sciagurati e dalla mancanza di amor proprio. Chi non ama se stesso non può amare nemmeno il prossimo né il lontano né la stessa vita.
Il sopravvenuto rimbambimento da birra, ostacolando la lucidità maligna dello spirito che invaso dal mio demone malato e cattivo voleva negare ogni cosa buona, rivalutava viceversa la vita opponendosi a quel demonio perverso.
Ma lo stordimento derivato dall’alcol, se concede un momento di pausa, poi passato quell’istante, invecchia gli infelici e aggrava le loro miserie.
Bologna 20 novembre 2022 ore 19, 23
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Cfr. Euripide, Baccanti,
v. 68: “tiv"
oJdw`/, tiv" oJdw`/ ti";
2 Cfr. Tacito, Historiae, V, 7: “atra et inania velut in cinerem vanescunt”
3 Euripide, Baccanti, 702-703
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