Adesso vediamo l' "Archeologia", dal capitolo secondo - successivo al proemio - fino diciannovesimo, seguendoli per sommi capi, riportando le espressioni più interessanti e commentandone alcune.
Quindi vedremo i quattro capitoli metodologici (20-23).
Impedivano il formarsi della ricchezza necessaria alla potenza le migrazioni (metanastavsei" I, 2, 1).
Quella che ora è chiamata Grecia non era abitata stabilmente un tempo, e facilmente i singoli popoli, sospinti da genti sempre più numerose, abbandonavano la terra. Poiché non c'era il commercio (th'" ga;r ejmporiva" oujk ou[sh" I 2, 2), e siccome non si incontravano senza pericolo gli uni con gli altri né per terra né per mare, ciascuno coltivava il suo appezzamento per quanto gli bastava a vivere, e non accumulavano ricchezze (kai; periousivan crhmavtwn oujk e[conte" I 2, 2.)
Dimostra la debolezza degli antichi (tw'n palaiw'n ajsqevneian I 3, 1) il fatto che prima della guerra di Troia la Grecia non compì alcuna guerra comune.
L'opera di Tucidide, dicevamo, è priva di elementi favolosi: egli anzi "è il creatore della storia politica", siccome è "tutto immerso nella vita dell'Atene di Pericle, e il pane quotidiano di quella vita era la politica. Sin dai giorni in cui Solone, nel disordine delle lotte sociali del VI secolo, aveva gettato le basi del saldo civismo che ammiriamo fin da principio nei cittadini d'Atene (...) la partecipazione di tutti gli uomini più eminenti alla vita dello Stato aveva fatto maturare qui una somma di esperienza politica e solide forme di pensiero politico". Ebbene tale "mirabile concentrazione del pensiero e della volontà politica... trova nell'opera di Tucidide la sua adeguata espressione intellettuale"[1].
In questi primi capitoli l'autore dunque afferma che nei tempi antichi non c'era un'agricoltura razionale, né città forti, né accumulo di ricchezza che potessero preludere allo sviluppo di una grande potenza la quale è presupposta da formazione di grossi capitali e da Stati con gli eserciti: l'imperialismo di Atene fornisce un metro con cui misurare tutta la storia.
Anche Omero e la guerra di Troia vengono scrutati "con l'occhio del politico imperialista", suggerisce ancora Jaeger[2], sempre alla luce dell'idea della potenza che raggiunse l'acme solo alla fine dell'età di Pericle.
"Tucidide, quando scoppiò la guerra del Peloponneso, s'avviava a raggiungere il pieno vigore della sua maturità. Erano gli anni in cui Erodoto compiva, recitandole in pubblico, le sue storie, e il pubblico greco si esaltava udendo il racconto, che pareva leggendario, delle gesta gloriose degli avi. Ma il giovane ateniese, a cui le discussioni dei sofisti e le esperienze svariate della vita attuale avevano acuito lo sguardo, trovava che più del passato era grande e interessante il presente per le forze che vi cozzavano, superiori a quelle dell'età più antica, e prevedeva che la guerra avrebbe assunto una grandiosità a petto della quale sarebbero impalliditi nonché i conflitti dell'età antichissima, a partire dal maggiore di essi, l'assedio di Troia celebrato da Omero, le stesse guerre persiane. Da ciò il proposito di far argomento di storia le vicende che si svolgevano sotto i suoi occhi" [3].
Tucidide, la guerra di Troia e la guerra in Ucraina
I rapporti umani sono assai spesso relazioni di potere.
Lo constatiamo molte volte nel lavoro e non poche volte nelle relazioni amorose, talora perfino nei legami familiari.
Se tali sono i rapporti tra le persone, potete figurarvi tra gli Stati.
Tucidide razionalizza il mito secondo il quale Agamennone mobilitò i pretendenti di Elena vincolati dal giuramento fatto a Tindaro, il padre putativo di lei: chiunque fosse stato scelto come marito, sarebbe stato sostenuto, nelle difficoltà, da tutti gli altri[4].
La verità dello storiografo è che Agamennone raccolse la flotta poiché superava in potenza tutti i capi greci di allora (tw'n tovte dunavmei prouvcwn, I 9, 1).
Il lidio Pelope di fatto aveva portato dall'Asia immense ricchezze venendo in Grecia tra gente povera (ej" ajnqrwvpou" ajpovrou", I 9, 2) e proprio per questo si costruì una potenza politica (duvnamin I, 9, 2) e divenne eponimo di quella terra, poi chiamata Peloponneso appunto.
Il figlio di Pelope, Atreo, continua Tucidide, ereditò la potenza paterna e la lasciò, accresciuta, ad Agamennone, il quale, divenuto più forte degli altri anche con la flotta, poté guidare la spedizione dopo avere raccolto l'armata panellenica non con l'amore più che con la paura:"th;n strateivan ouj cavriti to; plevon h] fovbw/ xunagagw;n"(I, 9, 3).
Questa tesi viene autorizzata con l'attestazione di Omero e la citazione di un verso dell'Iliade (II, 1O8):"pollh'/sin nhvsoisi kai; [Argei panti; ajnavssein", su molte isole e su l'Argolide tutta poteva regnare[5].
Tucidide parla della guerra di Troia ma siccome coglie sempre l’aspetto universale delle vicende che racconta, questo gigante della storiografia ci aiuta a capire anche la guerra attuale
La crociata di tutta l’Europa contro la Russia è stata raccolta e mobilitata dagli Stati Uniti in quanto costituiscono la maggior potenza dell’Occidente.
Se ora i Russi stanno perdendo la guerra come si afferma, non è per l’eroismo degli Ucraini e la vigliaccheria dei Russi, bensì perché adesso chi ha subito l’invasione è armato meglio e dunque in guerra è più forte dell’invasore.
Questo a lungo andare può spingere i Russi a usare l’atomica.
Quindi: non facciano gli ingenui quanti dicono che bisogna mandare altre armi alle vittime aggredite dai prepotenti.
La prepotenza dei Russi è stata provocata dalla prepotenza della Nato. Ora la Russia si sente minacciata e potrebbe assumere un ruolo difensivo tanto potente da distruggere l’Europa.
Dunque dobbiamo fare di tutto per arrivare alla pace e poi darla vinta alla volontà popolare. Si facciano votare gli abitanti delle regioni russofone in modo che possano scegliere liberamente. Che ci sia dunque un controllo imparziale in modo che non si debbano più sentire le chiacchiere incontrollate di chi sparla dell’uno o dell’altro secondo la propria convenienza.
Dobbiamo adoperarci intanto per un armistizio. Ne va delle nostre vite.
La volontà popolare italiana è in grande maggioranza per la pace
Uno tra i luoghi più ameni del mondo invero, e ne consiglio il giro ciclistico: Patrasso, Corinto, Epidauro, Micene, Sparta-Taigeto, Kalamata, Tempio di Apollo Epicurio, Olimpia, Patrasso; otto giorni per chi è già un poco allenato, un paio di settimane per chi ha meno lena.
Più scolasticamente invece invito i giovani alla lettura dell’ Olimpica I dove Pindaro splendidamente racconta come Pelope si preparò a conquistare l'isola fatata e destinata a lui
6 novembre
Dunque l'Atride aveva una flotta e da questa spedizione si deve congetturare (eijkavzein de; crhv, I, 9, 4)) quanto (meno) grandi siano state le precedenti.
Quella guerra del resto non poté essere tanto grande quanto l'ultima combattuta dai Greci. Lo stesso Omero che, siccome poeta, ingrandisce, racconta di 1200 navi con un carico di uomini non innumerevoli: dai 120 delle imbarcazioni dei Beoti, ai 50 dei vascelli di Filottete. La conclusione del ragionamento è che, per chi considera la media, non sembrano molti quelli andati a Troia, visto che erano stati mandati da tutta la Grecia in comune:"to; mevson skopou'nti ouj polloi; faivnontai ejlqovnte", wJ" ajpo; pavsh" th'" jEllavdo" koinh'/ pempovmenoi"(I, 10, 5). H. Strasburger ne deduce una volontà emulativa dello storiografo:"Ciò che indusse Tucidide alla sua opera fu piuttosto, come abbastanza chiaramente egli stesso lascia capire, la speranza di poter superare la guerra di Troia e quella contro i persiani con la sua guerra , e conseguentemente Omero ed Erodoto con la sua narrazione"[6].
Quale fu il motivo che causò la lunga durata della guerra troiana? La limitata potenza dei Greci di quei tempi antichi, causa (ai[tion) a sua volta casata non tanto dalla mancanza di uomini (hJ ojliganqrwpiva) quanto dalla scarsità dei mezzi ( hJ ajcrhmativa, I, 11, 1). Durante quei dieci anni i Greci assedianti non poterono mettere in campo tutte le loro forze, del resto non enormi, perché dovettero dedicarsi all'agricoltura e alla pirateria per mantenersi: senza queste (a[neu lh/steiva" kai; gewrgiva", I,11, 2) avrebbero conquistato facilmente la città.
Dunque per scarsezza di risorse (di j ajcrhmativan ) furono deboli (ajsqenh', I, 11, 3) queste epoche passate, e anche questi avvenimenti particolarmente celebrati si rivelano di fatto inferiori alla fama (uJpodeevstera o[nta th'~ fhvmh~) e alla rinomanza che si è stabilita per i racconti dei poeti (dia; tou;~ poihtav~).
Tucidide percorre tutta la storia greca con questo criterio: formazione dei capitali, della flotta, della potenza, la quale non poteva diventare rilevante finché gli Elleni, anche dopo la guerra di Troia, continuavano a emigrare e a fondare colonie: gli Ateniesi colonizzarono la Ionia e gran parte delle isole; i Peloponnesiaci ampie regioni dell'Italia e della Sicilia:" [ Iwna" me;n jAhnai'oi kai; nhsiwtw'n tou;" pollouv" w[kisan, jItaliva" de; kai; Sikeliva" to; plei'ston Peloponnhvsioi( I 12, 4).
Questo riguarda anche la nostra storia e pure la letteratura: il principe del romanzo Il Gattopardo rileva il destino della sua isola di essere colonizzata da popoli diversi, e lo considera una causa della stanchezza dei Siciliani:"Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna germogliata da noi stessi.. da duemila cinquecento anni siamo una colonia"[7].
Poi venne il periodo delle tirannidi e si costruirono delle flotte a partire da quella di Corinto che, situata sull'istmo, era un nodo commerciale ( jempovrion, I 13, 5) e i suoi abitanti erano potenti per le ricchezze ( crhvmasiv te dunatoi; h\san).
Questa città di mercanti sarà la più decisa nel volere lo scoppio della grande guerra nell'estate del 432, quando si riunì a Sparta l'assemblea federale della lega peloponnesiaca cui furono invitati anche gli ambasciatori degli Ateniesi dei quali i delegati della città dell'istmo danno un ritratto (I, 68-71) inciso con l'acume dell'odio eppure non troppo diverso da quello, nobilmente elogiativo, che fornirà Pericle nell'orazione epitafica sui caduti durante il primo anno di guerra (II, 35-46). Comunque i cittadini di Corinto, una località che i poeti antichi denominarono opulenta ( ajfneiovn, I 13, 5) allestita una flotta, eliminavano la pirateria (to; lh/stiko;n kaqh/vroun). La libertà dei mari porta come conseguenza l'accrescimento della ricchezza e quindi della potenza.
“Erodoto e Tucidide, che pure non sono affatto alieni dal polemizzare con i loro predecessori, non dimostrano di essere al corrente di storie così arcaiche. Tucidide non ci dice, in I 13, dove abbia trovato informazioni sulla storia navale”[8].
La pulizia dei mari invero era stata iniziata, molto tempo prima, nel periodo della talassocrazia cretese, per quanto gli era stato possibile, da Minosse perché meglio gli giungessero i contributi:" tov te lh/stikovn, wJ" eijkov", kaqhv/rei ejk th'" qalavssh" ejf j o{son ejduvnato, tou' ta;" prosovdou" ma'llon ijevnai aujtw'/"(I, 4).
Prima di Minosse la pirateria era molto diffusa poichè i predoni aggredivano comunità senza mura e disperse in villaggi ("prospivptonte" povlesin ajteicivstoi" kai; kata; kwvma~ oijkoumevnai~", I, 5, 1) e l’ attività dei pirati, guidati dai più forti[9] per il loro profitto e per il nutrimento dei più deboli (hJgoumevnwn ajndrw'n ouj tw'n ajdunatwtavtwn kevrdou" te tou' sfetevrou aujtw'n e{neka kai; toi'" ajsqenevsi trofh'"") non era motivo di biasimo, anzi poteva conferire una certa gloria:"oujk e[contov" pw aijscuvnhn touvtou tou' e[rgou, fevronto" dev ti kai; dovxh" ma'llon" (I, 5, 1).
Sentiamo Leopardi
“ Se in qualche nazione antica, o moderna selvaggia, la legge o l’uso vieta il rubare, ciò s’intende a’ propri compatrioti (…) e non mica al forestiere che capita, o se vi trovate in un paese forestiere)
Vedi il Feith, Antiquitates homericae, nel Gronovio, sopra la pirateria ec , lh/steiva, usata dagli antichissimi legalmente e onoratamente cogli stranieri”[10].
Infatti nell'Odissea (III, v. 73) Nestore domanda a Telemaco e a Mentore-Atena, senza offenderli, se vadano errando sul mare "oi|av te lhiŸsth're"", come corsari.
Viceversa Odisseo si offende quando Eurialo, il più bello dei Feaci dopo il principe Laodamante, lo aggredisce dicendo che non gli sembra un uomo capace nelle gare, ma un mercante che sorveglia i guadagni rapaci- ejpivskopo~ kerdevwn ajrpalevwn [11].
Altre armate importanti furono messe insieme dagli Ioni al tempo di Ciro il Vecchio (VI secolo), da Policrate di Samo al tempo di Cambise, dai Focesi che fondarono Marsiglia (Massalivan) e sconfissero i Cartaginesi in una battaglia navale (Karchdonivou" ejnivkwn naumacou'nte" I 13, 6).
Non erano comunque grandi flotte né grandi potenze: disponevano di poche triremi (trihvresi me;n ojlivgai" crwvmena I, 14, 1). Varie generazioni dopo la guerra di Troia la tecnologia non era cambiata. Ci fu una svolta poco prima delle guerre persiane e della morte di Dario (486), quando i tiranni siciliani e i Corciresi ebbero triremi in gran numero.
Invece gli Ateniesi fecero costruire la flotta tardi (ojyev), persuasi da Temistocle quando erano in lotta con gli Egineti e oramai erano attesi i barbari (tou' barbavrou prosdokivmou o[nto" I 14, 3).
Le numerose navi dunque procuravano potenza: sia con l'afflusso di ricchezza, sia attraverso il predominio sugli altri (crhmavtwn te prosovdw/ kai; a[llwn ajrch'/, I 15, 1) . Invece non ci furono guerre di terra tali da produrre una qualche potenza. Impedimento alla crescita (kwluvmata mh; aujxhqh'nai, I, 16) nel caso degli Ioni fu l'aggressione di Ciro dopo che ebbe abbattuto Creso e conquistato tutto il territorio dal fiume Alis al mare.
Dario poi conquistò anche le isole con la flotta fenicia (Darei'ov" te u{steron tw'/ Foinivkwn nautikw'/ kratw'n kai; ta;" nhvsou", I, 16).
Come si vede, dopo Erodoto, nella grande storiografia gli stessi personaggi ritornano[12].
Da nessuno dei tiranni fu compiuta un' opera degna di essere narrata ( e[rgon ajxiovlogon, I, 17) poiché badavano esclusivamente al proprio interesse (to; ejf j eJautw'n movnon proorwvmenoi).
E' da notare che questo biasimo dei tiranni come razza meschina che mira esclusivamente al proprio vantaggio, senza giungere a favorire quello della città, si trova anche in Sofocle il quale nell' Antigone fa dire da Tiresia a Creonte che la genìa dei tiranni è volta ai turpi guadagni ( to; d j ejk turavnnwn aijscrokevrdeian filei', v. 1056).
Poi i despoti, tranne quelli di Sicilia, vennero scacciati da Atene (Ippia nel 510; Tarquinio da Roma nel 509, quasi coincidenza sospetta) e dal resto dell'Ellade grazie alla forza di Sparta che fin dai tempi più antichi ebbe un buon governo e fu sempre immune da tirannidi ( ejk palaitavtou kai; hujnomhvqh kai; aijei; ajturavnneuto" h\n, I 18, 1).
Sono più di quattrocento anni infatti, fino alla fine di questa guerra che gli Spartani godono della medesima costituzione (th'/ aujth'/ politeiva/ crw'ntai).
Ecco che si affaccia il problema del buon governo (eujnomiva), una questione agitata "per lo meno da Solone ad Aristotele" ricorda Canfora e poco più avanti aggiunge che a Tucidide "indotto a orientarsi in senso oligarchico moderato" Sparta "appare pur sempre-come appariva a tanti aristocratici ateniesi- la naturale incarnazione dell'eunomia"[13].
Vediamo pure in Tucidide il rifiuto della dismisura che è tipica della tirannide, e della democrazia radicale.
Anche D. Musti colloca Tucidide tra i moderati:"nel profondo continua infatti ad operare l'ideologia conservatrice dello scrittore, che, se non è certo ostile alla civiltà democratica ateniese, lo è però nei confronti delle sue forme politiche più avanzate...E' improbabile che Tucidide dissentisse dall'elogio pericleo (II 35 sgg.) della civiltà democratica ateniese...ma per Tucidide la democrazia, se ha da esserci, dev'essere guidata (II, 65)[14], o, meglio ancora, temperata con elementi di oligarchia, come era ad esempio previsto nel progetto di democrazia moderata che limitava, nel 411/10, a soli 5000 cittadini ateniesi il possesso dei pieni diritti politici(VIII, 97, 2)”[15].
Machiavelli è un altro ammiratore della stabilità politica di Sparta:"Talché felice si può chiamare quella repubblica la quale sortisce un uomo sì prudente che gli dia leggi ordinate in modo che, sanza avere bisogno di ricorreggerle, possa vivere sicuramente sotto quelle; e si vede che Sparta le osservò più che ottocento anni sanza corromperle o sanza alcun tumulto pericoloso"[16].
A proposito del rapporto Machiavelli-Tucidide, Bowra scrive:" Tucidide è stato confrontato con Machiavelli, e il confronto è ragionevole, in quanto entrambi ritenevano che in un uomo politico la qualità più importante era la saggezza pratica"[17].
Seguirono le guerre persiane, poi la divisione della Grecia : non molto tempo dopo, si divisero tra Ateniesi e Spartani (" u{steron ouj pollw'/ diekrivqhsan pro;" te jAqhnaivou" kai; Lakedaimonivou""I, 18, 2) i Greci che si erano ribellati al re e avevano combattuto insieme. Si formarono quindi due blocchi intorno ad Atene e Sparta: infatti gli uni erano potenti nella terra ferma, gli altri con le navi (" i[scuon ga;r oiJ me;n kata; gh'n, oiJ de; nausivn"). La potenza dunque unisce e divide. L'alleanza (hJ oJmaicmiva) tra i Greci durò poco, quindi gli Spartani e gli Ateniesi, diventati nemici, combatterono gli uni contro gli altri affiancati dagli alleati (" ejpolevmhsan meta; tw'n xummavcwn pro;" ajllhvlou"", I, 18, 3). In sostanza durante la pentecontaetia si prepararono alla guerra del Peloponneso: gli Spartani non imponevano il tributo agli alleati, ma badavano che essi fossero sottoposti a governi oligarchici favorevoli a loro; gli Ateniesi invece prendevano le navi, tranne quelle di Chio e di Lesbo ("plh;n Civwn kai Lesbivwn", I, 19) e contributi da tutti.
Nel 478-477 Aristide aveva costituito la lega Delio-Attica tra Atene, le isole dell’Egeo e diverse città della Ionia. Il tesoro della lega costituito dai tributi (fovroi) degli alleati fino al 454 erano tenuti a Delo, nel tempio di Apollo, poi vennero portati sull’acropoli di Atene
Segue il primo capitolo metodologico (20) con la denuncia di alcune tradizioni trasmesse senza esame critico"ajbasanivstw""(I, 20, 1). La massa degli Ateniesi per esempio (" jAqhnaivwn gou'n to; plh'qo"") crede che Ipparco fosse tiranno quando fu ucciso da Armodio e Aristogitone, mentre aveva il potere Ippia, il figlio maggiore di Pisistrato. Da questo e da altri casi si vede come la ricerca della verità (hJ zhvthsi" th'" ajlhqeiva") sia una faccenda senza cura (ajtalaivpwro") per i più che preferiscono volgersi alle informazioni già pronte:" ejpi; ta; ejtoi'ma ma'llon trevpontai" (I, 20, 3)
Nel VI libro Tucidide afferma che l’atto di audacia di Armodio e Aristogitone fu intrapreso per un caso erotico: “To; ga;r jAristogeivtono~ kai J Armodivou tovlmhma di j ejrwtikh;n xuntucivan ejpeceirhvqh” (VI, 54, 1).
Più avanti vedremo come Canfora commenta questa variante, probabilmente anteriore.
Bologna 6 novembre 2022 ore 10, 15
giovanni ghiselli
p. s
Statistiche del blog
All time1291255
Today44
Yesterday173
This month1289
Last month7472
[1]Jaeger, Paideia , I vol., pp. 643-644.
[2]Op. cit., p. 648.
[3]G. De Sanctis Storia Dei Greci , II vol. p. 410.
[4] Cfr. pseudo Apollodoro, Biblioteca, 3, 131-132.
[5] Omero fa la storia dello scettro che Agamennone tiene in mano. Era di origine divina e glielo aveva lasciato Tieste da portare come simbolo del potere (“a regnare”, appunto).
[6] La storia secondo i Greci: due modelli storiografici, in La storiografia greca , p. 18.
[7] G. Tomasi Di Lampedusa, Il Gattopardo p. 121.
[8] A. Momigliano, La storiografia greca, p. 5.
[9]A. Maddalena nel suo commento a questo primo libro(Thucydidis Historiarum Liber Primus ) scrive:"per T. la differenza di potenza è un dato della storia"(p. 25 del I vol.).
[10] Leopardi, Zibaldone, 2253.
[11]Odissea , VIII, 159 e sgg.
[12]Come nel romanzo di Musil L'uomo senza qualità: Le stesse cose ritornano si intitola la Parte Seconda del grande romanzo.
[13]Canfora, Storia Della Letteratura Greca , pp. 275 e 276.
[14]dove Tucidide ricorda che Pericle katei'ce to; plh'qo" ejleuqevrw", dominava il popolo lasciandolo libero
[15] D. Musti (a cura di) La storiografia greca , Introduzione p.XXX e p. XXXII.
[16]Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio , I, 2.
Nessun commento:
Posta un commento