lunedì 7 novembre 2022

La fobia dell’amore (terza lezione all'Università Primo Levi)

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Domani dalle 18 farò la terza lezione alla Primo Levi.

Concluderò l’Alcesti e presenterò almeno una parte della Medea di Euripide
Prendo spunto dal verso 330  pronunciato dalla protagonista-“Ahi, ahi, che grande male è l'amore per i mortali!” per divulgare una scheda importante del mio commento
 
 La fobia dell'amore e del sesso. Tentativi di riabilitazione
 Le Argonautiche, che descrivono la fase iniziale dell'amore di Medea per Giasone, sono piene di anatemi di Eros: il dio quando arriva, mandato dalla madre, per costringere Medea ad amare e aiutare Giasone, è invisibile, sconvolgente (tetrhcwv~, Argonautiche, 3, 276), come l’assillo (oi\stro~) che si scaglia sulle giovani vacche[1].
Rapidamente questo dio del dolore prese una freccia dolorosa: “poluvstonon ejxevlet j ijovn” (v. 279). La freccia ardeva profonda nel cuore della ragazza, come una fiamma (flogi; ei[kelon, v. 287), ed ella consumava l’anima in una dolce afflizione: “glukerh'/ de; kateivbeto qumo;n ajnivh/” (v. 290). Quindi ardeva in segreto Eros funesto: “ai[qeto lavqrh/ ou\lo~   [Erw~ ” (vv. 296-297).
Come Giasone appare splendidissimo al desiderio di Medea, il giovane prestante  viene paragonato a Sirio che si leva alto sopra l'Oceano, bello e splendente però reca sciagure infinite alle greggi: così il figlio di Esone portava il travaglio di un amore angoscioso (Argonautiche, 3, vv. 957-961). L'infelicità è connessa all'amore prima ancora che questo si realizzi:  quando la ragazza si avvia incontro a Giasone, che è stato salvato da lei e le ha promesso le nozze, la Luna la osserva e, con parole ambigue tra la simpatia e il dispetto, le dice: il dio del dolore ("daivmwn  ajlginovei"", 4, v. 64) ti ha dato il penoso Giasone per la tua sofferenza. Va' allora e preparati in ogni modo a sopportare, per  quanto sapiente tu sia, il dolore luttuoso.
Questo presunto amore di Medea e Giasone non dona gioia ai due amanti, anzi produce orrori: dopo che i due scellerati hanno concordato l’assassinio del fratello di lei, lo stesso autore del poema rivolge un'apostrofe ad Eros quale latore di infiniti dolori: “ Eros atroce, grande sciagura, grande abominio per gli uomini ("Scevtli j [Erw", mevga ph'ma, mevga stuvgo" ajnqrwvpoisin") da te provengono maledette contese e gemiti e travagli, e dolori infiniti si agitano per giunta. Ármati contro i figli dei miei nemici, demone, quale gettasti l'accecamento odioso nell'animo di Medea (oi|o" Mhdeivh/ stugerh;n fresi;n e{mbale" a[thn)", Argonautiche, 4, vv. 445- 449).
 L'amore sembra legato alla pena da un vincolo di necessità. Si ricorderà che anche Virgilio apostrofa l’amore come un dio malvagio  : “Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis!” (Eneide, IV, 412).
Questo è l’amore di Didone, frustra moritura, destinata a morire invano,  per Enea.
  
Nell’Ippolito di Euripide, quando Fedra  domanda alla nutrice che cosa è ciò che gli uomini chiamano amore, ella risponde: una cosa dolcissima (h[diston) e nello stesso tempo dolorosa (taujto;n ajlgeinovn q  j a{ma, v. 348). Poi Fedra le confessa di essere innamorata di Ippolito: allora la nutrice vede il sovvertimento della bellezza e dei valori: “ejcqro;n eijsorw' favo~ ” (v. 355), odiosa vedo la luce.    
 Più avanti però consiglia alla pupilla l’ardimento di amare ( tovlma d’ ejrw'sa, v. 476) e poco dopo le dice: non di  parole decorose hai bisogno tu, ma di  quell’uomo (ouj lovgwn eujschmovnwn-dei' s j, ajlla; tajndrov~, vv. 490-491). La premessa è che Cipride non si può sostenere, quando si abbatte possente: “Kuvpri~ ga;r ouj forhtov~, h]n pollh; rJuh'/”(v. 443) e gli dèi stessi ne sono stati soggetti, come Zeus che amò Semele. Tu non puoi essere più forte degli dèi: cessa di essere arrogante: “ lh'xon d j uJbrivzous j ouj ga;r a[llo plh;n u{bri~ -tavd j ejstiv, kreivssw daimovnwn ei\nai qevlein” (vv. 474-475), non è altro che arroganza questo, voler essere più forte degli dèi.  Dunque: “ tovlma d’ ejrw'sa: qeo;~ ejboulhvqh tavde (v. 476), un dio l’ha voluto. Ora infatti è giunto il momento dell’ ajgw;n mevga~- sw'sai bivon sovn (vv. 496-497) e in questa gara suprema non si possono lesinare o riprovare i mezzi per vincerla. Il primo stasimo cantato da donne trezenie canta con sgomento la necessità di venerare Eros, il tiranno degli uomini (tuvrannon ajndrw'n, v. 538) che distrugge (pevrqonta, v. 541) e incede in mezzo a sventure di ogni tipo (dia; pavsa~-ijovnta sumfora'~, 541-542). La madre Cipride non è da meno: ella uccise la madre di Bacco con folgore fiammeggiante  e dovunque spiri, terribile (deinav), continua a volare come un’ape (mevlissa oi{a, vv. 563-564). Cioè punge.
    
Nella Fedra di Seneca la figlia di Pasife, innamorata del proprio figliastro, cerca di giustificarsi con la nutrice denunciando l’onnipotenza del dio alato Amore cui soggiacciono gli stessi dèi maggiori poiché egli ha un potere incontrollato in ogni parte del mondo: “Hic volucer omni pollet in terra impotens (v. 186) e vola parimenti penoso nel cielo e sulla terra: “volitat caelo pariter et terra gravis” (v. 194).
 
Secondo Christa Wolf  invece la negazione della gioia non è implicita nell'amore in sé, ma al contrario deriva dall'odio per la vita. Ecco quanto Giasone nel suo monologo ricorda di avere sentito dalla madre dei suoi figli, la quale gli parlava senza essere stata corrotta dal rancore:"Ma tu, ascolta bene quello che ti dico, non fare del male a Glauce. Perché ti ama, ed è fragile, molto fragile…Non ne proverai gioia. Non proverai mai più molta gioia. Le cose si stanno mettendo in un modo che non solo quelli che sono costretti a subire un torto, ma anche quelli che il torto lo fanno saranno scontenti della loro vita. Del resto mi domando se il piacere di distruggere la vita degli altri non dipenda dal fatto che si ricava pochissimo piacere e pochissima gioia dalla propria"[2].
 
Nella letteratura latina  il sermo amatorius pullula di metafore che  identificano l'amore con il fuoco, le ferite, la peste, il veleno, la follia, addirittura il cancro:"sed antiquus amor amor cancer est " (Satyricon  42, 7), ma un amore vecchio è un cancro.
 
Catullo  usa la parola pestis  in nesso allitterante con pernicies[3]  per definire il proprio amore doloroso dal quale vorrebbe liberarsi, con l'aiuto degli dèi, come da una malattia non meritata (76, 20-22). Nella parola pestis  è già implicita l'idea, oggi terroristicamente conclamata, dell'Aids, chiamata la peste del secolo, quando negli incidenti stradali muoiono, in Italia, ottomila persone all'anno[4], ne restano ferite molte di più, e chissà quante altre  vengono consumate dal cancro, quello vero, dovuto ai gas di scarico. Se i rapporti umani, in primis quelli amorosi, non venissero sporcati, calunniati, annichiliti, gli uomini non comprerebbero tante macchine e altre schifezze nocive, o quanto meno inutili.
 
 Sono le distruzioni e le guerre che spingono a comprare. Il consumare è collegato al distruggere, è una sua metafora. Sono le attività empie, le malattie dello spirito che distolgono dall’amore. Nell'Atene dominata dal demagogo guerrafondaio Cleone, Diceopoli, il cittadino giusto compiange la sua città perché gli abitanti non si curano della pace (Acarnesi, v. 27) e pure la odia, mentre ama la pace e rimpiange il suo villaggio dove ciascuno produceva il necessario per sé, mentre nella povli" è onnipresente l'invito a comprare:"privw"[5], che si tratti di carbone, di aceto o di olio ( vv. 34-36). Ecco dunque un altro male deleterio nei confronti dell’amore: il consumismo e il mercato che uccide gli affetti. Un disagio analogo viene manifestato da Ulrich in L'uomo senza qualità :" Come gettando uno sguardo fuori d'una finestra aperta di colpo, egli sentì quello che in realtà lo circondava; i cannoni, i commerci d'Europa"(p. 800).  Qualche anno fa il regista Attilio Bertolucci disse che andava a cercare valori in Oriente, dove infatti sono ambientati alcuni suoi film, siccome in Occidente non c'è altro interesse che il vendere e il comprare.   
"In Apollonio e in Catullo era presente la tragedia greca, specialmente Euripide. Anche Virgilio si riattacca ad Euripide direttamente (e non solo attraverso Apollonio e Catullo): il IV libro meglio degli altri dell'Eneide  ci mostra come egli utilizzi e fonda suggestioni non solo di autori vari, ma di autori che sono già tra loro in un rapporto di dipendenza, quasi ponendosi coscientemente all'estremità di una catena letteraria. Euripide poteva offrirgli spunti non solo per il personaggio di Didone, ma anche, con Giasone o altri, per il personaggio di Enea"[6].
La personificazione del tormento amoroso dei mortali nel De rerum natura è costituita da Tizio:"Sed Tityos nobis hic est, in amore iacentem/quem volucres lacerant atque exest anxius angor " (III, 992-993), ma  Tizio è qui in noi, quello che, prostrato nell'amore, gli uccelli dilaniano e un angoscioso affanno divora. "La pena di Tizio-il gigante ucciso da Apollo per aver insidiato Latona, e disteso nel Tartaro col fegato continuamente roso dagli avvoltoi- è per Lucrezio, come sarà pure per Orazio (carm. 3, 4, 77-79; cfr. Servio, ad Aen. 6, 596), allegoria dell'angosciosa passione amorosa, la cupido"[7].
 Ma i versi più dolorosi sull'amore sono quelli dove il termine vulnus , ferita, non basta più e il segno lasciato dall'ansia erotica diviene una piaga che potrebbe diventare mortale se non curata :"Ulcus enim vivescit et inveterascit alendo/inque dies gliscit furor atque aerumna gravescit,/si non prima novis conturbes vulnera plagis/vulgivagaque vagus Venere ante recentia cures/aut alio possis animi traducere motus " ( De rerum natura, IV, 1068-1072), la piaga infatti si ravviva e vigoreggia a nutrirla,  la smania cresce di giorno in giorno, e l'angoscia si aggrava, se non confondi le antiche ferite con nuovi colpi, e le recenti non  curi prima, vagando con una Venere vagabonda o ad altro oggetto tu non drizzi i moti dell'animo.
 
Nel IV libro dell’Eneide Didone “s’ancise amorosa”[8], ma già nelle opere precedenti  Virgilio fa bruciare, soffrire e lottare per amore non solo gli uomini e le donne, ma anche gli animali che sono omologati agli umani nel patimento erotico.
Fanno eccezione le api le quali hanno un costume che desta meraviglia in quanto non si concedono all'accoppiamento né sciolgono neghittose i corpi in Venere né  producono la prole con le doglie:"quod neque concubitu[9] indulgent nec corpora segnis[10]/in Venerem solvunt aut fetus nixibus edunt " (Georgica IV , vv. 198-199).
Nell'ecloga II   il pastore Coridone arde d'amore per il bell'Alessi. (Formosum pastor Corydon ardebat Alexin, 1) che non ha pietà di lui. Fin dalle Bucoliche  Virgilio è il poeta dell'amore infelice e luttuoso, il cantore della passione sulla quale si proietta un'ombra di morte:" O crudelis Alexi, nihil mea carmina curas?/nil nostri miserere? Mori me denique coges" (vv. 6-7), o crudele Alessi, non ti curi dei miei canti? non hai compassione di me? Infine mi costringerai a morire , sospira l'innamorato ardente.
Coridone non ha tregua dall'ardore amoroso nemmeno quando il bestiame e, con motivo teocriteo[11]  perfino i ramarri, riposano al fresco:"Nunc etiam pecudes umbras et frigora captant / Nunc viridis[12] etiam occultant spineta lacertos "  (vv. 8-9), ora anche il bestiame cerca di prendere le ombre e il fresco, ora i rovi spinosi nascondono perfino i verdi  ramarri.
Alla fine della II bucolica il tramonto  raddoppia le ombre ma non concede pausa all'ardore di Coridone e alla passione che trascina ciascuno sconvolgendo ogni misura :"…trahit sua quemque voluptas...et sol crescentes decedens duplicat umbras;/me tamen urit amor : quis enim modus adsit amori?  " (v.65 e vv. 67-68).  Chi è afferrato da Eros ignora  la giusta misura siccome l'amore è follia:"A Corydon, Corydon, quae te dementia cepit!  ", v. 69.
 
Nella Georgica III, che tratta l'allevamento del bestiame, la conflagrazione amorosa riguarda, oltre  gli umani, anche  gli animali:"Carpit enim vires paulatim uritque videndo/ femina, nec nemorum patitur meminisse nec herbae/ dulcibus illa quidem inlecebris et saepe superbos/cornibus[13] inter se subigit decernere amantis[14],  " (v. 215-218)  logora infatti le forze a poco a poco e li brucia guardandoli la femmina, e non lascia che si ricordino dei boschi né dell'erba, ma quella certo li attira con dolci seduzioni e spesso costringe i fieri pretendenti  a combattere con le corna.
Tale istinto è uguale per tutte le creature viventi:  "Omne adeo genus in terris hominumque ferarumque/et genus aequoreum, pecudes pictaeque volucres/ in furias ignemque ruunt: amor omnibus idem  "(vv. 242-244) così ogni specie sulle terre di uomini e di animali, e la razza marina, il bestiame e gli uccelli colorati si precipitano in ardori furiosi, amore è lo stesso per tutti.
Esso accresce la ferocia delle belve:"Tempore non alio catulorum oblita leaena/saevior erravit campis nec funera volgo/tam multa informes ursi stragemque dedere/per silvas; tum saevos aper, tum pessima tigris;/heu, male tum Libyae solis erratur in agris " (vv. 245-249), in nessun altro tempo, dimentica dei cuccioli, la leonessa ha errato più furiosa per le pianure, né tanti lutti e strage sparsero gli orsi orribili per le selve; allora il cinghiale è furioso, allora la tigre è più feroce che mai; ahi allora si vaga con rischio nei campi deserti della Libia.
 
Nella letteratura italiana  Boccaccio,  in un brano di chiara derivazione virgiliana, fa descrivere l'invasamento erotico e bellicoso degli animali dalla dea Venere che vuole convincere Fiammetta ad assecondare la sua passione amorosa e adulterina:"ne' boschi li timidi cervi, fatti tra sé feroci quando costui[15] li tocca, per le disiderate cervie combattono, e, mugghiando, delli costui caldi mostrano segnali; e i pessimi cinghiari [16], divenendo per ardore spumosi, aguzzano gli eburnei denti; e i leoni africani, da amore tocchi, vibrano i colli"[17]. 
 
Torniamo a Didone la quale, poco dopo avere visto Enea, è già "infelix pesti devota futurae" (Eneide, I, 712), disgraziata, consacrata alla rovina imminente: infatti dopo un altro po’ di tempo lo ama, spiritualmente e carnalmente, quindi muore suicida  " misera ante diem" (IV, 697), disgraziata prima del suo giorno, maledicendo l’amante e i suoi discendenti. L’amore spesso ferisce e brucia.
 
Nel Pervigilium Veneris[18]  che celebra l'inizio della primavera e la potenza di Afrodite, Amore è in vacanza ("feriatus est amor ", v. 31) perciò gli è stato ordinato di andare inerme, di andare nudo:"neu quid arcu, neu sagitta, neu quid igne laederet " (v. 33), per non ferire qualche creatura con l'arco, con la saetta, con il fuoco. Eppure, avverte l'autore, o l'autrice, "Nymphae, cavete, quod Cupido pulcher est:/ totus est in armis idem quando nudus est amor " (vv. 34-35), guardatevene o Ninfe, poiché Cupido è bello: ed è tutto armato anche quando è nudo Amore.
 
 
La pessima fama del sesso non è assente dalla prosa. Platone rappresenta Sofocle come un vecchio[19] pentito del sesso: Cefalo riferisce di essere stato presente quando a un tale che  domandava al poeta di Colono:"pw'"...e[cei" pro;" tajfrodivsia; e[ti oi|ov" te ei\ gunaiki; suggivgnesqai;",  come ti va nelle cose d'amore? sei ancora capace di congiungerti con una donna?
 Il tragediografo  rispose: "eujfhvmei w\ a[nqrwpe: aJsmenevstata mevntoi aujto; ajpevfugon,  w{sper luttw'ntav tina kai; a[grion despovthn ajpodrav"" (Repubblica , 329c), sta' zitto tu, infatti con grandissima gioia me ne sono liberato, come se fossi fuggito da un padrone furente e selvaggio. La vecchiaia, commenta il padrone di casa, significa dunque un liberarsi da moltissimi tiranni numerosi e pazzi:"despotw'n pavnu pollw'n e[sti kai; mainomevnwn ajphllavcqai" (329d). Tra questi, in primis,  Eros.
 Questo anatema di Sofocle viene riptuto non senza compiacimento da Catone il Vecchio nel De senectute  di Cicerone :" Bene Sophocles, cum ex eo quidam iam affecto aetate quaereret utereturne rebus veneriis:"Di meliora! inquit; libenter vero istinc sicut ab domino agresti ac furioso profugi " (14), opportunamente Sofocle quando, già vecchio e fiaccato dagli anni, un tale gli chiedeva se facesse ancora del sesso, disse: dio ne scampi, volentieri invero sono scappato di lì come da un padrone selvaggio e furioso!  
 Nella stessa opera il piacere  dei sensi in generale viene smontato:" impedit enim consilium voluptas, rationi inimica est, mentis, ut ita dicam, praestringit oculos, nec habet ullum cum virtute commercium " (12), in effetti il piacere impedisce il giudizio, è nemico della ragione, abbaglia, per così dire, gli occhi della mente e non ha alcun rapporto con la virtù. 
Di fatto ancora negli anni Cinquanta del Novecento la pretaglia delle parrocchie di Pesaro diceva ai ragazzini che se uno pensava troppo alle femmine umane, fino a “toccarsi”[20], diventava cieco, e non solo di mente. Tutta gente che non aveva più abbastanza corpo per soddisfare l'anima e si rifiutava di ammetterlo.
Il cristianesimo " diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio[21]. Non solo il cristianesimo che è  "un platonismo per il popolo"[22]  
 
Cerchiamo qualche spiegazione di questa congiura, quindi tentiamo una difesa dell'amore e del sesso.
D. H. Lawrence[23] scrive:"C'è un desiderio incoffessato, implacabile, dietro a tutte le teorie del sesso. Ed è desiderio di annullare, di cancellare completamente il mistero della bellezza. (…) La scienza ha una misteriosa avversione per la bellezza, in quanto non riesce a sistemarla adeguatamente nella visione che essa ha del mondo come serie di cause ed effetti. La società a sua volta ha una misteriosa avversione per il sesso, in quanto interferisce perpetuamente con la organizzazione bene ordinata che l'uomo sociale ha inventato per fare quattrini. Le due avversioni si assommano e ne risulta che il sesso e la bellezza sono soltanto espressioni dell'istinto di riprodursi. E allora diciamolo: il sesso e la bellezza sono una cosa sola, come la fiamma e il fuoco. Se provi odio per il sesso, lo provi anche per la bellezza. Se ammiri la bellezza vivente, provi rispetto anche per il sesso… La sventura della nostra civiltà deriva dall'odio morboso che proviamo per il sesso"[24]. Tutto ciò che è morboso è contro la vita.
 
Sentiamo una riflessione di Giacomo Casanova, personaggio di La recita di Bolzano:“Ma qual era dunque il morbo? Riflettè. Quindi, solo nella stanza, disse a voce alta: l’egoismo. Dietro ogni mal d’amore si udiva sempre la vocina stridula dell’egoismo, che cercava di salvare quanto poteva e pretendeva tutto ciò che un essere umano può pretendere da un altro, possibilmente senza dover offrire in cambio nulla di autentico e di sostanziale”[25].
 
 Ricordo anche Marcela Serrano[26], una delle nuove voci della narrativa sudamericana:  " Sai una cosa? Penso all'amore. Tutto, gira e rigira, ha a che vedere con questo sentimento così comune, fantastico, alienante, sopravvalutato, raro. Ho l'impressione che tutte quante, senza rendercene conto, siamo ferme davanti al nocciolo del dramma di questi tempi, uno dei dilemmi fondamentali di questa fine secolo: la mancanza di un punto d'incontro tra i due sessi"…E' tutto molto moderno. Com'è frigida questa modernità…In tutto e per tutto frigida. Al giorno d'oggi il grande sconfitto è l'amore…Il sistema vuole escludere l'amore e il piacere. Allora bisogna abbattere il sistema, Floreana, come vecchi rivoluzionari"[27].
 
Wilhelm Reich considera il terrorismo sessuale inflitto ai bambini come un'arma che ammorba la vita erotica e nello stesso tempo annienta per sempre la loro indipendenza:"L'inibizione morale della sessualità naturale del bambino, la cui ultima tappa è una grave limitazione della sessualità genitale del bambino piccolo, rende quest'ultimo pauroso, timido, timoroso dell'autorità, ubbidiente, "buono" ed "educabile" in senso autoritario: l'inibizione morale paralizza, perché ormai ogni impulso libero e vivo è affetto da grave paura e provoca, attraverso la proibizione del pensiero sessuale, una generale inibizione del pensiero e una incapacità critica; in breve il suo obiettivo è la creazione di un suddito che si adatti all'ordine autoritario e lo subisca nonostante la miseria e l'umiliazione"[28]. Si ricorderà che kritikov" deriva da krivnw, "giudico"; ebbene per giudicare ci vuole esperienza, altrimenti non si tratta di giudizio ma di pregiudizio: è il caso di Demea, il fratello all'antica, catoniano, degli Adelphoe , come viene interpretato da Micione, l'altro fratello, lo zio liberale, politicamente corretto si direbbe oggi:" Homine imperito numquam quicquam iniustiust,/qui nisi quod ipse fecit nil rectum putat " (vv. 98-99),  Non c'è mai niente di più ingiusto di un uomo senza esperienza che considera tutto sbagliato tranne quello che ha fatto lui.    
Non solo il cristianesimo  si è adoperato per l'infibulazione mentale delle nostre donne e la castrazione spirituale di noi maschi.
 
Orwell in 1984 fa un discorso più ampio descrivendo un regime repressivo, tra l'altro, della libertà erotica poiché l'astinenza sessuale  produceva isterismo il quale " si poteva facilmente trasformare nell'infatuazione per la guerra e nell'adorazione dei capi…Il partito cercava con ogni mezzo di annullare l'istinto sessuale, ovvero, nel caso in cui non fosse riuscito ad annullarlo, di pervertirlo e insudiciarlo" (p. 70)
Ma c'è una ragazza, Jiulia, che comprende e si ribella facendo l'amore con gioia, e spiega: “Quando fai all'amore, spendi energia; e dopo ti senti felice e non te ne frega più di niente. Loro non possono tollerare che ci si senta in questo modo (...) Tutto questo marciare su e giù, questo sventolio di bandiere, queste grida di giubilo non sono altro che sesso che se ne va a male, che diventa acido. Se sei felice e soddisfatto dentro di te, che te ne frega del Grande Fratello e del Piano Triennale, e dei Due Minuti di Odio, e di tutto il resto di quelle loro porcate?"[29].
Spogliandosi questa ragazza bruna "faceva un gesto magnifico, proprio quello stesso magnifico gesto dal quale sembra che venga distrutta tutta intera una civiltà" (p.133). Il  protagonista del romanzo, Winston, vede nell'istinto della donna sensuale "un colpo inferto al Partito (...) un atto politico". Quando la sua giovane amante si spoglia infatti la osserva pieno di ammirazione, quindi le dice:"Sta' a sentire. Con più uomini sei stata e più ti voglio bene. Hai capito?"[30].
La fobia del sesso  fa parte della propaganda di qualsiasi regime. L'odio dell'amore, la guerra all’amore si volge facilmente all’ amore per la guerra.
 Infatti nella Lisistrata[31] , che in questa vigilia di guerra[32] gruppi di femministe stanno rappresentando in alcune città americane, la protagonista afferma che se Eros glukuvqumo" , delizioso, e Afrodite, spireranno desiderio sui seni e le cosce delle femmine e infonderanno nei maschi una piacevole tensione e turgore di clave (rJopalismouv" ), le donne un giorno tra i Greci saranno chiamate Lisimache (vv. 551-553), ossia dissolvitrici di battaglie. Del resto lo stesso nome parlante della protagonista eponima  significa "colei che dissolve l'esercito".
 Qui il discorso funziona a rovescio rispetto a quello di Orwell: nel suo romanzo  gli umani vengono inibiti sessualmente perché vogliano fare la guerra; nella commedia antica i maschi devono smettere di fare la guerra, se vogliono fare l'amore con le loro donne. La parola d'ordine di Lisistrata è "bisogna astenersi dal bischero!"(v. 124).
Una situazione che la guerra rende comunque necessaria:"monokoitu'men  dia; ta;" stratiav" " (v. 592), dormiamo sole a causa delle spedizioni militari, lamenta la stessa Lisistrata, la quale aggiunge che le donne vengono particolarmente penalizzate da queste assenze dovute alla guerra oramai ventennale, poiché per loro il tempo opportuno è breve (th'" de; gunaiko;" mikro;" oJ kairov" , v. 596) : l'uomo quando torna, anche se è canuto, sposa una giovinetta, mentre l'attempata nessuno la sposa, e resta seduta a fare pronostici (vv. 596-597). Anche in questa commedia, come ai nostri giorni, le pacifiste sono accusate di tramare in favore della tirannide:"ajlla; tau'q j u[fhnan hJmi'n, w\\||ndre", ejpi; turannivdi" (v. 630), ma ci imbastirono queste trame, signori, in favore della tirannide.  
La repressione sessuale è funzionale al potere, a qualsiasi potere:"Il padre primigenio vietava ai propri figli il soddisfacimento dei desideri sessuali diretti; li costrinse all'astinenza e perciò a quei legami emotivi con lui stesso e fra loro che potevano scaturire dagli impulsi la cui meta sessuale era inibita…Il capo della massa è ancor sempre il temuto padre primigenio, la massa continua a voler essere dominata da una violenza senza confini, è sempre sommamente avida di autorità, ha, secondo l'espressione di Le Bon, sete di sottomissione…Le pulsioni sessuali inibite nella meta hanno su quelle non inibite un grande vantaggio funzionale. Non essendo propriamente capaci di soddisfacimento completo, risultano particolarmente idonee a creare legami duraturi"[33].
 
In chiusura di scheda voglio mostrare una completa riabilitazione di Amore da tante calunnie attraverso alcune parole di Agatone nel Simposio  platonico: Eros è il più felice, il più bello e il più nobile fra tutti gli dèi. Ed è anche  il più giovane, sicché non derivano da Amore le mutilazioni dei tempi primordiali di cui parlano Esiodo e Parmenide, anzi , se ci fosse stato lui, non sarebbero avvenute quelle ejktomaiv, castrazioni vere e proprie, né incatenamenti reciproci, desmoi; ajllhvlwn, e molte altri prevaricazioni anche violente kai; a[lla polla; kai; bivaia (195c), ma solo amicizia e pace, come ai tempi nostri, da quando Amore regna tra i numi.  Inoltre egli è delicato: aJpalov" , tant'è vero che  cammina e si ferma sulle entità più tenere: infatti ha fondato la sua dimora nei caratteri e nelle anime degli dèi e degli uomini. Anzi ripudia le anime dure e rozze. Inoltre possiede tutte le virtù, compreso il coraggio: infatti neppure Ares tiene testa a Eros (196d) che viceversa tiene in pugno il dio della guerra.
Che è poi quanto sosterrà anche l'inno a Venere di Lucrezio.
 “Fai in modo che nel frattempo le feroci opere della guerra
per i mari e per tutte le terre riposino assopiti.
Infatti tu sola puoi con una pace tranquilla aiutare
i mortali, poiché le feroci opere della guerra governa
Marte signore delle armi che spesso si rovescia  nel tuo
grembo, vinto dall'eterna ferita dell'amore,
e così guardando da sotto, con la liscia cervice rovesciata,
pasce d'amore gli avidi occhi agognandoti, o dea,
e il respiro di lui resupino dipende dalla tua bocca.
Tu, o dea, riversa sopra di lui disteso sul
tuo corpo santo, versa dalla bocca dolci  parole,
chiedendo per i Romani, o famosa, una pace tranquilla. (De rerum natura, I, 29-40)
 
fine riquadro.
 

Bologna 8 novembre 2022 ore 18, 30
giovanni ghiselli

p. s
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[1] Si pensi a Io la fanciulla trasfigurata in mucca del Prometeo incatenato, tormentata da un assillo appunto (oi\stro~ , v. 566) e fissata dallo sguardo del pastore Argo dai diecimila occhi: “ E subito l'aspetto e la mente furono/stravolti: divenni cornigera, come vedete, e punta/da un assillo dall'acuto morso, con salti furibondi/balzai verso la corrente Cercnea dolce da bere/e alla fonte di Lerna: e il bovaro nato dalla terra/Argo violento nell'ira mi scortava/ spiando i miei passi con occhi fitti” (vv. 673-679).
[2] Medea, p. 203.
[3]"me miserum aspicite et, si vitam puriter egi,/eripite hanc pestem perniciemque mihi" (76, 19-20), guardate me disgraziato e, se ho passato la vita senza tradire,/strappatemi questa peste e rovina.
[4] L’automobile è una vera e propria arma terroristica usata contro pedoni e ciclisti in primis, poi contro gli stessi automobilisti che si ammazzano a vicenda come i nati dalla terra e dai denti del drago seminati da Giasone nelle Argonautiche (3, 1372 sgg.).
[5] Imperativo dell'aoristo III di privamai, "compro".
[6]A. La Penna-C. Grassi (a cura di) Virgilio, Le Opere, Antologia , p. 357.
[7] Lucrezio,  La Natura Delle Cose, testo e commento di Ivano Dionigi, p. 320.
[8] Dante, Inferno, V, 61.
[9] Concubitu:  forma di dativo che si trova anche nella prosa classica.
[10] segnis=segnes con funzione predicativa.  
[11]Cfr. VII,  Le Talisie , 22.
[12] =virides.
[13] In questi versi l'istinto amoroso si associa non solo al fuoco ma anche a Eris. 
[14] =amantes.
[15]Amore
[16] Da confrontare con "tum pessima tigris " e " tum saevos aper " visti sopra ( Georgica III , v. 248)
[17] Elegia di Madonna Fiammetta , ( del 343-1344) cap. 1.  E' questa una lunga lettera che la protagonista scrive idealmente a tutte le donne innamorate.
[18] La veglia di Venere, un carme anonimo, compreso nell'Anthologia latina , di novantatré versi (tetrametri trocaici catalettici), di età e attribuzione incerta, dal II secolo d. C. , al IV, al VI; da Floro, a Tiberiano, a un'autrice anonima. 
[19] La Repubblica di Platone è ambientata al Pireo, in casa del meteco Cefalo, padre di Lisia e Polemarco,  nella primavera del 408 a. C. quando Sofocle (497-406 a. C.) aveva quasi novant'anni. L'episodio raccontato risalirà a qualche tempo prima.
[20] Cfr Amarcord di Fellini
[21] Nietzsche,  Di là dal bene e dal male ,  Aforismi e interludi, 168trad. it. Mursia, Milano, 1977, p. 96.
[22]Nietzsche,   Di là dal bene e dal male, Prefazione
[23] 1885-1930.
[24] Fantasia dell'inconscio e altri saggi sul desiderio, l'amore, il piacere , Mondadori, Milano, 1978. Tratto da Lunario dei giorni d'amore , pp. 427-428.
[25]  S. Màrai, La recita di Bolzano, p. 126
[26] Nata a Santiago del Cile nel 1951.
[27] Marcela Serrano, L'albergo delle donne tristi , pp. 75 , 168-169, 192..
[28] W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, p. 43.
[29]G. Orwell, 1984 , p. 142.
[30]G. Orwell, 1984, p. 134.
[31] Del 411.
[32] 4 marzo 2003.
[33] S. Freud, Psicologia delle masse, in Freud, Opere, vol 9, pp. 312, 315, 325.

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