Luciano: Tucidide legiferò
Traduzione e commento di I, 22, 4
I 22, 4 e la mancanza del favoloso- to; mh; muqw`de~ aujtw'n di questi fatti , verosimilmente, apparirà meno piacevole all'ascolto-ej" me;n ajkrovasin-
Canfora intende il sostantivo ajkrovasi~ come "pubblica lettura" e commenta questo passo inserendolo nel "rapporto con Erodoto" che è centrale anche su piano del "pubblico: un terreno non facile, sul quale anche Tucidide ha affrontato, sia pure-come fa intendere [1] con scarso successo, l'akroasis , la pubblica lettura, quella che in un celebre passo chiamerà la "gara per il successo effimero"[2].
-to; mh; muqw'de" aujtw'n (ossia degli e[rga). Tucidide esclude dalla sua storia quei miti che lo stesso poeta Pindaro aveva criticato nell'Olimpica I : certo sono molti i portenti, e in qualche modo, credo, anche le favole ("mu'qoi", v.29) diceria dei mortali oltre la verità, intarsiate di iridescenti bugie, traggono in inganno.
Il favoloso già secondo Cicerone caratterizzava il racconto di Erodoto e caratterizzerà quelle di Teopompo, un rappresentante della tendenza retorica, di scuola isocratea, che scriverà le Storie Filippiche e le Elleniche che continuavano la Storia di Tucidide fino al 394, cioè fino alla battaglia di Cnido.
Sentiamo dunque Cicerone: et apud Herodotum, patrem historiae, et apud Theopompum sunt innumerabiles fabulae". De legibus I, 5.
“Qualche volta mi è venuto il sospetto che Tucidide vedesse Erodoto come un Cleone tra gli storici. Sia Cleone sia Erodoto cercavano di piacere ai loro lettori: agli occhi di Tucidide entrambi erano demagoghi”[3].
“Con questa dichiarazione programmatica Tucidide esprime nella maniera più esplicita la consapevolezza di rappresentare qualcosa di assolutamene nuovo e di assai importante: in effetti, rinunciare al fine edonistico della narrazione, alla ricerca del gradimento degli ascoltatori e alle pubbliche letture (almeno come destinazione primaria dell’opera), per puntare sul fine utilitaristico e su una fruizione più meditata e attenta, quale si poteva avere solo con la lettura, significava operare una svolta profonda e radicale sul piano del metodo, dei contenuti e dei moduli espressivi rispetto alla storiografia tradizionale”[4].
Tucidide rifiuta le fabulae imprimendo sulla storiografia quella svolta pragmatica che "è valsa ad affermare l'identificazione tra storia e politica"[5].
Luciano in Come si deve scrivere la storia (del 164 d. C.) riconosce la validità della legislazione storiografica di Tucidide e, pertanto, sostiene che neppure è dilettevole ciò che nel racconto storico è totalmente favoloso ("oujde; terpno;n ejn aujth'/ to; komidh'/ muqw'de"", 10).
Quindi l'opuscolo lucianeo confuta gli autori i quali, per ottenere applausi anche dalla turba e dalla feccia, trascurano i critici severi e condiscono la storia oltre misura con favole, encomi ed altre lusinghe ( "h]n de; ajmelhvsa" ejkeivnwn hJduvnh/" pevra tou' metrivou th;n iJstorivan muvqoi" kai; ejpaivnoi" kai; th'/ a[llh/ qwpeiva/") facendone qualcosa di simile ad Eracle in Lidia, il quale, asservito ad Onfale, cardava la lana avvolto in vesti color zafferano e sopravvesti di porpora e ogni tanto veniva colpito dal sandalo della donna (paiovmenon uJpo; th'" jOmfavlh" tw'/ sandalivw/, 10).
Così abbiamo incontrato di nuovo Eracle in Lidia, dopo Erodoto I, 7 e nelle Trachinie di Sofocle (v. 70).
Lo storico (suggrafeuv", 41) dunque secondo Luciano deve essere impavido, incorruttibile, libero ( a[fobo", ajdevkasto", ejleuvqero") amico della verità e della parola schietta (parrhsiva" kai; ajlhqeiva" fivlo"), giudice imparziale (i[so" dikasthv",), indipendente (aujtovnomo"), non soggetto ad alcun potere (ajbasivleuto"), obiettivo espositore dei fatti accaduti (tiv pevpraktai levgwn,) come Tucidide che diede queste norme senza sbagliare:" JO d j ou\n Qoukudivdh" eu\ mavla tou't j ejnomoqevthse", 42). Tucidide dunque legiferò
“All’ideale storiografico della seconda sofistica Luciano oppone un ideale che ad un’ epoca malata non dice alcunché, l’ideale dell’obiettività pura; questa poteva avere un senso all’epoca di Tucidide, ma non aveva senso in un periodo che nella imitazione paludata cercava di nascondere la minaccia di una dissoluzione delle forme antiche”[6].
Tacito segue la lezione di Tucidide, ma solo fino a un certo punto,
quando scrive:
" Ut conquirere fabulosa et fictis oblectare legentium animos procul
gravitate coepti operis crediderim, ita vulgatis traditisque
demere fidem non ausim. die, quo Bedrĭaci certabatur, avem
invisitata specie apud Regium Lepidum celebri luco conse-
disse incolae memorant, nec deinde coetu hominum aut cir-
cumvolitantium alitum territam pulsamve, donec Otho se ipse
interficeret; tum ablatam ex oculis: et tempora reputantibus
initium finemque miraculi cum Othonis exitu competisse. Historiae , II, 50), come reputerei lontano dalla serietà dell’opera iniziata andare in cerca di miti e dilettare le anime dei lettori con delle invenzioni, così non oserei togliere credito a tradizioni diffuse.
Nel giorno in cui si combatteva a Bedriaco, gli abitanti ricordano che un uccello di aspetto mai visto si posò in un frequentato bosco sacro presso Reggio Emilia, e che non venne spaventato né scacciato di lì dalla grande quantità delle persone né degli uccelli che svolazzavano intorno, finché Otone non si fu ucciso; allora scomparve alla vista; e per chi tiene conto dei tempi, il principio e la fine del prodigio coincide con la fine di Otone.
Marziale professa realismo scrivendo. “ Non hic Centauros, non Gorgonas Harpyasque/invenies: hominem pagina nostra sapit "(X, 4, 9-10), non qui troverai Centauri, Gorgoni e Arpie: la nostra pagina sa di uomo
Nietzsche, vede il movimento contrario al realismo, refrattario e retrogrado rispetto alla realtà, nel Platonismo e ancor più nel cristianesimo: “ forma fino ad oggi insuperata di mortale avversione contro la realtà”
(L’ anticristo, 27)
Traduzione
"Ma sarà sufficiente che li giudichino utili- wjfevlima krivnein- quanti vorranno esaminare la chiarezza to; safe;" skopei'n:degli avvenimenti accaduti e di quelli che potranno verificarsi ancora una volta, siffatti o molto simili, secondo la natura umana".
Commento
wjfevlima krivnein - Non è un utile meschino ma riguarda il comportamento umano e politico.- wjfevlima: è un neutro plurale: per spiegarlo bisogna richiamare ancora il lontano e[rga, ossia i fatti, le azioni e l'opera di Tucidide che li ripresenta. E' dunque utile conoscere quanto è avvenuto poiché è possibile che accada di nuovo. E' quel ripetersi degli avvenimenti che Tacito chiama orbis :"Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur "(Annales , III, 55), forse in tutte le cose c'è una specie di ciclo, in modo che, come le stagioni, così si volgano le vicende alterne dei costumi. Sull'orbis tacitiano dovremo tornare studiando Polibio.
Sul fatto che gli avvenimenti si ripetano in una sorta di "eterno ritorno" e che il passato si presti a fare da modello o da contromodello al presente, si trova d'accordo il Machiavelli il quale mette sempre gli esempi antichi davanti agli occhi del suo Principe :" Ma, quanto allo esercizio della mente, debbe el principe leggere le istorie, et in quelle considerare le azioni delli uomini eccellenti...come si dice che Alessandro Magno imitava Achille, Cesare Alessandro, Scipione Ciro... sendo l'intento mio scrivere cosa utile a chi la intende "[7].
La categoria dell’utile sta molto a cuore anche a Machiavelli che infatti Nietzsche accosta a Tucidide.
Il segretario fiorentino nel proemio ai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (del 1513 ) contrappone quelli che leggono le storie per trarne piacere ai propri intenti nello scrivere di storia: “acciò che coloro che questi miei discorsi leggeranno possano trarne quella utilità per la quale si debba ricercare la cognizione delle istorie”.
Chi invece si oppone a tale concezione paradigmatica della storia è un altro autore politico del Rinascimento, Francesco Guicciardini il quale nei Ricordi (110) scrive:"Quanto si ingannano coloro che a ogni parola allegano e' romani! Bisognerebbe avere una città condizionata come era loro, e poi governarsi secondo quello essemplo: el quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facessi el corso di uno cavallo".
-to; safe;" skopei'n: è il coraggio di fissare la chiarezza della realtà che abbaglia i più.
Torniamo a Tucidide I 22, 4.
Traduzione
"Infatti come un possesso kth'ma per l'eternità più che come declamazione da udire per il momento di una gara ajgwvnisma, essa è composta".
Commento
La parola kth'ma, possesso, segnala tutta la concretezza di Tucidide; è, come sottolinea opportunamente Savino che ha tradotto La guerra del Peloponneso :"una rocciosa eredità materiale...parola concreta, corposa, che sa di terre e bottini e prede adunate in anni di fatica e trasmesse ai discendenti, beni palpabili, visibili, materiale espressione della famiglia e del sangue"[8].-
ajgwvnisma, evoca un altro aspetto fondamentale della civiltà ellenica: l'agonismo appunto del popolo greco la cui vita era tutta contrassegnata da gare.
Momigliano si chiede come facessero gli storici a raggiungere il loro pubblico “dato che non erano né insegnanti né attori di una cerimonia come lo erano gli oratori. Questo problema, per quanto è stato preso in considerazione, ha prodotto una risposta che può essere riassunta nei termini seguenti. “Nel V secolo a. C. gli storici cominciarono ad attrarre, letteralmente, un pubblico organizzando recitazioni pubbliche delle loro opere. Erodoto lo faceva regolarmente, ma Tucidide attaccò queste rappresentazioni erodotee come meretricie e contrarie all’interesse della verità (I, 22): quanto a lui, egli decise di scrivere (non di parlare) a beneficio dei futuri lettori. Dopo Tucidide la lettura pubblica di opere storiche cessò, o perse importanza rispetto alla diffusione di informazione storica per mezzo della parola scritta[9]”. [10].
Insomma: “Questo vincerà quello”
E' il titolo di un capitolo di Notre-Dame de Paris di Victor Hugo il quale spiega:" Era innanzitutto un pensiero da prete. Era il terrore del sacerdote di fronte ad un elemento nuovo, la stampa. Era lo spavento e lo sbalordimento dell'uomo del santuario di fronte al torchio luminoso di Gutenberg"(p. 191).
Subito dopo Momigliano però confuta questa ipotesi “ingannevole” che attribuisce ad altri e afferma viceversa che nel periodo ellenistico e romano si facevano letture pubbliche di opere storiche. Anzi su queste letture abbiamo testimonianze più rassicuranti di quella su Erodoto che si trova in Luciano (Su Erodoto, I) “ il quale scriveva sei secoli dopo la morte di Erodoto”[11].
Momigliano ricorda, tra le altre, una testimonianza di Seneca: “Al tempo di Augusto lo storico Timagene era solito leggere le sue storie in pubblico (Seneca, Sull’ira 3, 23, 6)”[12].
In conclusione: “Semplicemente, noi non sappiamo se Tucidide, Senofonte e, per questo aspetto, gli altri eminenti storici del IV secolo a. C. (Eforo, Teopompo), abbiano mai letto le loro opere davanti a un pubblico”[13].
Ma tutto questo non credo che abbia grande impotanza.
Per me è importante che Tucidide sia arrivato fino a noi e che da lui si possa imparare molto sul nostro tempo e su noi stessi
Bologna 6 novembre 2022 ore 19, 10
giovanni ghiselli
p. s.
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[1]Tucidide, I, 22, 4:"nella pubblica lettura apparirà sgradevole" Nota del testo citato.
[2]Canfora-Corcella, op. cit., p. 458
[3] A. Momigliano, Lo sviluppo della biografia greca, p. 41.
[4] Mauro Moggi, Op. cit., p. 2300.
[5]Canfora, Teorie e tecnica della storiografia classica , p. 12.
[6] S. Mazzarino, L’impero romano, 2, p. 331.
[7]Capp. XIV e XV.
[8] Tucidide, La Guerra Del Peloponneso , introduzione, traduzione e note al testo di Ezio Savino, Guanda, Milano, 1978. P. XXIV introduzione.
[9] Cfr. per esempio B. Gentili e G. Cerri, Le teorie del discorso storico nel pensiero greco e la storiografia romana arcaica, Roma 1975.
[10] A. Momigliano, La storiografia greca, p. 109.
[11] La storiografia greca, p. 111.
[12] La storiografia greca, p. 110.
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