sabato 12 novembre 2022

Medea di Euripide, V episodio. Seconda scena (vv. 1116-1250)

0).

 

Medea

Care, già da un pezzo mentre attendo la sorte

sto a vedere dove andranno a finire le cose di là.

Ecco ora ho visto questo che viene avanti

 tra i satelliti di Giasone: il respiro affannato

indica che annuncerà una nuova sciagura. 1120

 

Messaggero

<O tu che hai compiuto un'azione terribile contraria a ogni legge>,

Medea, fuggi fuggi, non tralasciando

un veicolo marino né un cocchio che calca il suolo.

 

Medea

Che cosa mi succede che meriti questa fuga?

 

Messaggero

E' morta poco fa la principessa reale

e Creonte che l'ha generata, per i tuoi veleni.

 

Medea

Hai portato una notizia bellissima, e d'ora in avanti

sarai tra i miei benefattori e amici.

 

Messaggero

Che cosa dici? Pensi rettamente e non sei impazzita, donna,

tu che dopo avere sconciato il focolare dei padroni

ti rallegri a udire orrori siffatti e non hai paura?

 

Medea

Ho anche io qualche cosa da dire contro

le tue parole. Ma non avere fretta, amico,

e racconta: come morirono? Infatti mi rallegreresti

due volte, se sono morti in maniera orribile. 1135

 

Messaggero

Dopo che la duplice prole dei tuoi figli giunse

con il padre e furono entrati nelle stanze della sposa,

gioimmo noi servi che soffrivamo per i tuoi mali;

 per le orecchie subito si aggirava frequente il discorso

che tu e lo sposo avevate composto la contesa di prima. 1140

Uno bacia la mano, un altro il biondo capo

dei bambini; e anche io per la gioia

seguii i tuoi figli dentro le stanze delle donne.

La padrona che ora onoriamo al posto tuo,

prima di scorgere la coppia dei tuoi figli,

teneva lo sguardo appassionato diretto su Giasone;

poi però si coprì gli occhi

e girò indietro, dalla parte opposta, la candida guancia,

provando ribrezzo per l'ingresso dei bambini. Allora il tuo  sposo

cercava di eliminare l'ira e la rabbia della ragazza 1150

dicendo queste parole:" non sarai benevola verso chi ti è amico,

e  porrai fine al rancore, e volgerai di nuovo il capo,

considerando amici appunto quelli del tuo sposo,

e accetterai i doni e chiederai a tuo padre

di condonare l'esilio a questi bambini per amor mio?"

E quella, come volse lo sguardo sugli ornamenti non si trattenne,

ma promise tutto al marito e prima che fossero

 molto lontani dalla reggia il padre con i tuoi figli,

preso il peplo variopinto, lo indossò,

e postasi la corona d'oro intorno ai riccioli

si acconcia la chioma al lucido specchio ,

sorridendo all'immagine priva di vita del suo corpo". 1162

 

Pasolini nel suo film mostra il volto della ragazza riflesso da uno specchio che lo deforma: “Si fissa. Si siede. Si guarda a lungo. Poi i suoi occhi si perdono altrove, nel vuoto. Qualcosa di orribile sta succedendo. Ha il pallore della nevrosi-della ragazza che ha fatto della vita un nodo atroce di colpe e di doveri, a cui non sa far fronte. Uno sgomento infantile, invincibile le appanna gli occhi, la segna con precoci occhiaie”[1].

 

Poi, alzatasi dal trono, va attraverso

le stanze, mollemente muovendosi sul bianchissimo piede,

assai contenta dei doni, più e più volte

badando bene con gli occhi al tallone levato levato in alto . 1166

 

Cfr. Baccanti

Dioniso dice a Penteo: “ La cintura ti si è allentata e le pieghe del peplo non sono tese con ordine- koujk eJxh`~ teivnousin  - fin sotto le tue caviglie uJpo; sfuroi`si (935-936).

Penteo, la vittima, risponde: “ Anche a me sembra, almeno sul piede destro;da questo lato invece sta bene il peplo sul tendine del tallone (937-938) .

Cfr.  Saffo (fr. 57 Lobel-Page) quale tanghera ti affascina l’animo, una che indossa una stola da tanghera e non è capace di sollevare gli stracci-ta; bravke j - sopra le caviglie?-ejpi; tw`n sfuvrwn;

 

Da quel momento però ci fu uno spettacolo terribile a vedersi:

infatti cambiando colore, obliqua, retro-

cede tremando nelle membra e con uno sforzo si abbatte

nel trono prima di cadere a terra. 1170

E una vecchia tra le ancelle, credendo in qualche modo

che fossero giunte le ire di Pan o di un altro dio,

levò un grido, prima di vedere attraverso la bocca

uscire una bava bianca, e  lei  che stravolgeva le pupille

 fuori dagli occhi, e non c’ era sangue  nel corpo; 1175

la serva allora emise un grande gemito di suono diverso

dal grido. E subito una ancella si lanciò nelle stanze

del padre, un'altra dallo sposo recente,

ad annunciare la disgrazia della sposa: e tutta

la casa risuonava di  fitte corse. 1180

Già un veloce corridore alzando le gambe

avrebbe toccato il traguardo di una corsa di sei pletri,

quando la disgraziata si svegliava con un gemito terribile,

dalla perdita della parola e dall’occhio chiuso.

Infatti un tormento doppio l'assaliva: 1185

il serto d'oro posato intorno alla testa

emanava uno strano torrente di fuoco vorace,

il peplo sottile, dono dei tuoi figli,

divorava la bianca carne della disgraziata.

Fugge balzando dal seggio avvolta dal fuoco,

scuotendo da una parte e dall'altra la chioma e la testa,

con l’intento di gettare via la corona; ma saldamente

l'oro teneva stretta la presa, e il fuoco, ad ogni scuotimento

della chioma, brillava di più: due volte tanto.

Crolla a terra vinta dalla sciagura, 1195

davvero irriconoscibile a vedersi, tranne che per il padre;

non era chiara la forma degli occhi

né il bel volto, ma sangue dalla cima

del capo stillava, mescolato a fuoco,

e le carni dalle ossa come lacrima di pino 1200

scorrevano via per le fauci invisibili dei veleni,

spettacolo spaventoso. Tutti avevano paura di toccare

il cadavere: infatti avevamo la sorte come maestra.

Il padre infelice nell'ignoranza della disgrazia

entrato all'improvviso nella stanza, si getta sul cadavere. 1205

Levò un gemito subito e, cingendole intorno le braccia,

la bacia, rivolgendole tali parole:" o figlia infelice,

quale tra gli dèi ti ha uccisa in maniera così oltraggiosa?

Chi rende privo di te un vecchio che è 

già una tomba? Ohimé, vorrei morire con te, figlia”.

E quando ebbe terminato il lamento funebre e i gemiti,

volendo risollevare il vecchio corpo

rimaneva attaccato al peplo sottile, come

edera ai virgulti d'alloro, ed era terribile la lotta. 1214

Egli infatti voleva alzare il ginocchio,

ma quella lo afferrava; se poi tirava a forza,

strappava le vecchie carni dalle ossa.

Alla lunga il disgraziato desistette e spirò

l'anima; infatti non era più capace di vincere il male.

Giacciono morti la figlia e il vecchio padre

<vicini, disgrazia che sente bisogno di lacrime> .

E per me la tua parte rimanga fuori dal discorso;

conoscerai infatti tu stessa uno scampo dalla punizione.

Le cose mortali non ora per la prima volta considero ombra, 1224

e senza timore potrei dire che gli uomini i quali si credono

 pieni di sapere e indagatori di ragioni

proprio costoro meritano l'accusa della più grande follia.

Tra i mortali infatti non c'è nessun uomo che sia felice,

quando passa un'ondata di prosperità, uno può diventare

 più fortunato di un altro, ma felice nessuno. 1230

 

Sembra che il dio in questo giorno abbia accumulato

molti mali giustamente su Giasone.

<O infelice, come compiangiamo le tue disgrazie,

figlia di Creonte, tu che vai nelle case

di Ade per le tue nozze con Giasone. >1235

O care è stata decisa da me l'azione di allontanarmi

da questa terra dopo avere ammazzato i figli al più presto,

e di non  consegnare, indugiando,  i figli

da uccidere a un'altra mano più malevola. 1239

E' assolutamente necessario che muoiano: e poiché deve avvenire

li ucciderò io che li ho generati. 1241

Su, avanti, armati, cuore. Perché indugiamo

a compiere un male tremendo e necessario?

Avanti, o infelice mano mia, prendi la  spada,

prendila, vai verso il traguardo doloroso della vita,

e non essere vile, non ricordarti dei figli,

che sono carissimi, che li generavi, ma, almeno per questo

breve giorno, dimenticati dei tuoi figli

e dopo piangi; anche infatti se li ucciderai, comunque

sono per natura tuoi cari : ed io sono una donna disgraziata. 1250

 

 

Appendice di commento al verso 1224- ta; qnhta; d  j ouj nu`n prw`ton hJgou`mai skiavn-

“le cose mortali non ora per la prima volta considero ombra”

 

Sogno di  ombra è l’uomo. Pulvis et umbra sumus.

Pindaro chiama l'uomo "sogno di ombra" (skia'" o[nar/a[nqrwpo"", Pitica VIII, vv. 95-96 ).

Nell'Aiace di Sofocle Odisseo esprime la convinzione che l'ombra sia la quintessenza dell'uomo e manifesta la compassione del poeta per tutte le creature umane cadute sulle spine della vita:"oJrw' ga;r hJma'" oujde;n o[nta" a[llo plh;n--ei[dwl j o{soiper zw'men h] kouvfhn skiavn", io infatti vedo che non siamo se non immagini quanti viviamo, o inconsistente ombra (Aiace, vv.125-126).

 

Nell’Elettra di Sofocle, la protagonista, stringendo fra le mani l’urna dove crede siano state poste le ceneri di Oreste, conclude il compianto sul  fratello presunto morto dicendo: i nemici ridono (gelw'si d  j ejcqroiv) , smania di gioia la madre non madre di cui tu mi hai mandato spesso, di nascosto,  messaggi che saresti apparso a punire. Ma il destino contrario tuo e mio ci ha tolto questo esito, e ora ti ha mandato a me in queste condizioni: invece della persona carissima cenere e ombra vana (ajnti; filtavth~-morfh'~ spodovn te kai; skia;n ajnwfelh'), vv. 1153-1159).

 

Pulvis et umbra sumus”, polvere e ombra siamo, secondo Orazio (Odi, IV, 7, v. 16).Nel Seicento questa idea va di moda, tanto che  Calderòn de la Barca intitola il suo capolavoro (del 1635) La vita è sogno, e, nel corso del dramma (I, 2), scrive:" il delitto maggiore dell'uomo è essere nato", mentre Prospero in La tempesta [2] afferma:"Noi siamo fatti con la materia dei sogni, e la nostra breve vita è circondata dal sonno"(IV, 1). Quindi il duca si avvia con la mente alla sua Milano "dove un pensiero su tre, sarà la tomba" (V, 1). Nel Macbeth il protagonista afferma:"Life's but a walking shadow " (V, 5), la vita non è che un'ombra che cammina.

Mattia Pascal/Adriano Meis passeggiando per Roma riflette sulla propria ombra: “Uscii di casa, come un matto. Mi ritrovai dopo un pezzo per via Flaminia, vicino a Ponte Molle. Che ero andato a far lì? Mi guardai attorno;poi gli occhi mi s’affissarono su l’ombra del mio corpo, e rimasi un tratto a contemplarla; infine alzai un piede rabbiosamente su essa. Ma io no, non potevo calpestarla, l’ombra mia. Chi era più ombra di noi due? Io o lei? Due ombre! Là, là per terra; e ciascuno poteva passarci sopra: schiacciarmi la testa, schiacciarmi il cuore: e io, zitto, l’ombra, zitta. L’ombra d’un morto: ecco la mia vita…Ma sì! Così era! Il simbolo, lo spettro della mia vita era quell’ombra: ero io, là per terra, esposto alla mercè dei piedi altrui. Ecco quello che restava di Mattia Pascal, morto alla Stìa: la sua ombra per le vie di Roma”[3].

Concludo (per ora) con Proust:"Ci si accanisce a cercare i rottami inconsistenti d'un sogno, e intanto la nostra vita con la creatura amata continua: la nostra vita, distratta dinanze a cose di cui ignoriamo l'importanza per noi, attenta a quelle che forse non ne hanno, succube di esseri senza nessun rapporto reale con noi, piena di oblii, di lacune, di ansietà vane; la nostra vita simile a un sogno" (La prigioniera, p. 147).

 

Bologna 12 novembre 2022. ore 18, 30 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] P. P. Pasolini, Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, “visioni della Medea” di P. P. Pasolini (trattamento), p. 534

[2] Del 1612.

[3] L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal, pp. 234-325.

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