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Traduzione
"Le catastrofi che prima venivano raccontate a voce, ma erano confermate dai fatti molto raramente, divennero non incredibili, e a proposito dei terremoti che allora si estesero nello stesso tempo su gran parte della terra e furono proprio quelli i più forti, poi eclissi di sole-hjlivou te ejklevyei~- che capitarono più frequenti in confronto a quelle ricordate dal tempo precedente, e siccità - aujcmoi v- in alcuni luoghi si dà il caso di grandi, e, derivate da loro, anche carestie - limoi v- e l'epidemia della peste - loimwvdh" - che danneggiò non poco e fu in parte distruttiva. in effetti tutte queste calamità accaddero contemporaneamente a questa guerra”
Commento
hjlivou te ejklevyei~ - le eclissi erano considerate "tristo annunzio di futuro danno", non solo dai Greci ma anche dai loro epigoni latini, all'interno di una cultura che vede nel sole una divinità, o almeno l'immagine visibile della mente divina.
aujcmoiv... limoiv... loimwvdh": i termini sono in un crescendo, una climax che amplifica la sciagura fino al disastro epocale.
Sembra che Tucidide scriva a proposito dei giorni nostri
Tucidide fa notare la concomitanza tra i mali e la guerra, mentre la letteratura legata alla religione connette i flagelli con l'empietà.
Nel Satyricon per esempio si legge :" quia nos religiosi non sumus agri iacent "(44), i campi giacciono nell'abbandono poiché noi non siamo religiosi.
Foscolo nelle Grazie istituisce un nesso tra la ferinità dell'uomo, la sua ferocia verso altri uomini, e la mancanza di religione:"ed esiliato/ n'era ogni Dio da' figli della terra/duellanti a predarsi; e i vincitori/d'umane carni s'imbandian convito"(vv. 135-138).
The Waste Land di T. S. Eliot che ripropone questo tema si presenta con un'epigrafe tratta dalla cena di Trimalcione:"Nam Sybillam quidem Cumis, ego ipse, oculis meis, vidi in ampulla pendere et cum illi pueri dicerent Sivbulla tiv qevlei"; - respondebat illa-ajpoqanei'n qevlw- "(48). Infatti la Sibilla di certo a Cuma vidi io stesso con i miei occhi sospesa in un'ampolla, e dicendole i fanciulli-Sibilla, cosa vuoi?-, rispondeva lei-morire voglio. La profetessa vuole morire poiché la terra è sconciata dalla miscredenza.
La terra desolata
La terra desolata, arida e sterile, in Sofocle, Erodoto, Seneca, e l'interpretazione di Frazer utilizzata da Eliot.
Abbiamo vostro Tucidide I, 23, 3 un quadro della terra desolata o del "paese guasto", con eclissi, terremoti, siccità e carestie accompagnate da epidemia di peste.
Possiamo trovare una situazione del genere all'inizio dell'Edipo re di Sofocle dove una "peste odiosissima" consuma Tebe afflitta pure da carestia e sterilità. Diamo la traduzione dei vv. 25-30 della tragedia di Sofocle :"e si consuma nei calici infruttuosi della terra,/si consuma nelle mandrie dei buoi al pascolo, e nei parti/senza figli delle donne; e intanto, il dio portatore di fuoco,/scagliatosi, si avventa sulla città, peste odiosissima,/dalla quale è vuotata la casa di Cadmo,e il nero/Ades si arricchisce di gemiti e lamenti". Questa la descrizione del flagello: c'è una peste odiosissima, loimo;" e[cqisto", (v.28) che devasta la povli", la quale si consuma (fqivnousa, vv.25 e 26) nella malattia e nella sterilità, svuotandosi di vita. Il morbo è anche infecondità della terra e delle femmine, correlativa all'impotenza dei maschi.
Nell'Edipo re è frequente il verbo ojrqovw, o ajnorqovw, (vv.39, 46, 51) con il senso di risollevare moralmente, ma pure quello di raddrizzare dal punto di vista vitalistico, senza che si possa escludere l'accezione sessuale. Infatti nelle terre desolate e nei paesi guasti, il corrispettivo fisico della decadenza etica è il calo della tensione erotica. La sterilità, che può derivare dai delitti o dagli errori dei capi, non consente alla terra di produrre frutti, né alle femmine di partorire. Questo è tovpo" letterario tra i più diffusi.
Possiamo tornare per un momento a Erodoto : Cambise, feritosi a morte, dopo avere fatto ammazzare il fratello Smerdi per l'errata interpretazione di un sogno, raccomanda agli Achemenidi di non permettere che il potere passi di nuovo ai Medi, ma se questi lo conquisteranno con la forza, la supremazia dovrà essere recuperata con la forza. Se i Persiani faranno questo, augura il re ammalato:"uJmi'n gh' te karpo;n ejkfevroi kai; gunai'ke;" te kai; poi'mnai tivktoien"( III, 65, 7) la terra vi produca frutti e le donne e le greggi partoriscano; altrimenti per loro ci sarebbe stata la sterilità e la schiavitù.
Seneca nel suo Oedipus (vv.41-43) sottolinea l'aridità e la siccità:"Deseruit amnes humor atque herbas color[1],/aretque Dirces; tenuis Ismenos fluit,/et tingit inopi nuda vix unda vada ", l'acqua ha lasciato i fiumi e il colore le erbe, è disseccata Dirce; l'Ismeno scorre vuoto e con la povera onda bagna a stento i guadi nudi.
T. S. Eliot per rappresentare la sua terra desolata (The Waste land , 1922), priva di passione[2], di bellezza e di vita, ha raccolto diversi suggerimenti. Egli confessa il suo debito a due libri di antropologia: From Ritual to Romance della Weston, e Il ramo d'oro di Frazer “un’opera che ha influenzato profondamente la nostra generazione”, e di questo particolarmente ai capitoli Adone, Attis, Osiride, dove si dice che in epoche remote gli uomini facevano dipendere la forza della terra e il rigoglio della vegetazione dalla impareggiabile vitalità di una creatura straordinaria, dall’ eccezionale vigore di un capo il quale però con il volgere delle stagioni si consumava, finché doveva essere sacrificato e sostituito. La sua morte, e sostituzione, o resurrezione, simboleggiava quella annuale delle piante, particolarmente quella del grano.
"Le cerimonie della morte e della resurrezione di Adone devono essere state anch'esse una rappresentazione drammatica della morte e della rinascita delle piante...Inoltre la leggenda che Adone doveva passare metà, o, secondo altri, un terzo dell'anno nelle regioni sotterranee e il resto sulla terra, si spiega in modo assai facile e naturale ammettendo che egli rappresentasse la vegetazione, specialmente il grano, che sta metà dell'anno sotto terra ed è visibile nell'altra metà"[3].
Del resto aveva già espresso il medesimo concetto Ammiano Marcellino :" Evenerat autem isdem diebus annuo cursu completo, Adonea rito veteri celebrari, amato Veneris, ut fabulae fingunt, apri dente ferali deleto, quod in adulto flore sectarum est indicium frugum " (XXII 9,15). Avveniva poi in quei medesimi giorni che, compiuto il corso dell'anno (il 361 d. C.), si celebravano secondo l'antico rito le feste per Adone, amato da Venere e ucciso dal dente di un cinghiale selvaggio, il che è simbolo delle messi recise quando sono mature.
Anche Attis viene considerato un dio della vegetazione: “Si credeva apparentemente che Attis, come in generale gli spiriti degli alberi, esercitasse un potere sui frutti della terra o che fosse persino identico con il grano. Uno dei suoi epiteti era il “fecondissimo” e si chiamava pure “la spiga verde (o gialla) mietuta”, e la storia delle sue sofferenze, della sua morte e resurrezione veniva interpretata come se rappresentasse il grano maturo ferito dal mietitore, sepolto nel granaio, e tornato in vita dopo essere stato seminato in terra”[4].
Frazer ricorda anche il carme 63 di Catullo con il pentimento di Attis che durante l’estasi: “devolsit ilei acuto sibi pondera silice” (v. 63) con selce tagliente si recise i pesi dell’inguine.
“Catullo ha descritto a forti tinte in una celebre poesia questo ritorno di così naturali sentimenti umani dopo gli eccessi frenetici del fanatismo religioso” (p. 547).
Secondo Frazer tutte le divinità che passano per questo avvicendamento di morte e resurrezione avevano tale significato, e Cristo può essere interpretato come un epigono di Adone, Attis, Osiride: “A questo riguardo può essere di non poco valore un noto giudizio di S. Girolamo. Egli ci dice che Betlemme, il tradizionale paese nativo del Signore, era ombreggiato da un piccolo bosco che apparteneva a quel dio siriano anche più antico di lui, Adone, e là dove aveva pianto Gesù bambino, erano state versate lacrime per l’amante di Venere…Se infatti Adone era, come io credo, lo spirito del grano, si poteva trovare difficilmente un nome più adatto per la sua dimora che quello di Betlemme, “la casa del Pane”, e, molto probabilmente, egli può essere stato adorato là nella sua Casa del Pane, parecchi secoli prima che nascesse Colui che dirà: ‘Io sono il pane della vita’” (p. 540).
giovanni ghiselli
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[1] Cfr. Decolor aetas in Eneide, VIII, 326.
[2]Già in Gerontion del 1920 Eliot scrive:"I that was near your heart was removed therefrom/to lose beauty in terror, terror in inquisition./ I have lost my passion: why should I need to keep it/Since what is kept must be adulterated? "(vv. 59-62), io che ero vicino al tuo cuore ne fui scacciato per perdere la bellezza nel terrore, il terrore nella ricerca. Io ho perduto la mia passione: perché dovrei conservarla, se ciò che si conserva diviene adulterato?
[3]Frazer, Il ramo d'oro , pp.525-526.
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