Capitolo XXII
Sommario di tutto il XII capitolo
Per quanto riguarda i discorsi pronunciati, non fu possibile a Tucidide ascoltarli tutti né ricordare con precisione quelli ascoltati direttamente; perciò li ha ricostruiti tenendo conto di come l'oratore avrebbe dovuto plausibilmente parlare. I fatti poi li ha raccontati come li ha visti o come glieli hanno riferiti persone non casuali. L'autore ha dovuto comunque aggiungere la sua ricerca e la sua scelta poiché la simpatia e l'antipatia suggerivano spesso versioni diverse. L'opera potrà apparire meno piacevole di altre per la mancanza del favoloso, ma tale carenza è compensata dall'utilità che potranno ricavare i lettori dal racconto di fatti che si ripeteranno sempre e potranno essere eternamente interpretati in maniera proficua alla luce di questo "possesso perenne"
Traduzione e commento di I, 22, 1-2.
I, 22, 1
Quanto a ciò che ciascuno disse con un discorso - me;n lovgw /- o in procinto di fare la guerra o mentre già c'era dentro, era difficile calepo;n sia per me ricordare- diamnhmoneu`sai la precisione alla lettera(th;n ajkrivbeian aujth;n) delle parole dette che io stesso ascoltai, sia per quelli che me le riferivano da qualche altro luogo.
calepo;n: significa che la precisione (th;n ajkrivbeian) non può essere letterale (aujth;n = ipsam ) ma sarà relativa al contenuto generale dei discorsi, alle idee e alla linea politica (una volta si sarebbe detto "ideologia") di chi li pronuncia.
me;n lovgw/- correlato al contrapposto ta; d’ e[rga di I, 22, 2 che commenteremo più avanti. Faccio intanto notare che la parola il verbum viene prima dell’azione: in principio.
La storia come guerra contro il tempo e contro l’oblio
E' difficile ricordare diamnhmoneu`sai , ma Tucidide farà del suo meglio. Infatti, ci ricorda A. Momigliano, "per i greci, e conseguentemente per i romani, la storia è un'operazione contro il tempo che tutto distrugge, volta a salvare la memoria di eventi degni di essere ricordati. La guerra contro l'oblio è combattuta mediante la ricerca di testimonianze valide"[1].
Così la pensa anche "il buon secentista" autore del "dilavato e graffiato autografo" dell'Introduzione del romanzo di Manzoni I Promessi Sposi :"L'Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo".
Viceversa Orwell in 1984 rileva la guerra che i regimi assoluti fanno alla storia:" né alcuna notizia, ovvero alcuna opinione che fosse in contrasto con le esigenze del momento, era concepibile che rimanesse affidata a un documento. La Storia era un palinsesto grattato fino a non recare nessuna traccia della scrittura antica e quindi riscritto di nuovo tante volte quante (...) necessario (p.44)
Nell'opera i discorsi sono 141
I Discorsi di Tucidide
"Questi discorsi ci sono in Tucidide,
anzi in lui soprattutto; vecchia maniera d'origine epica, a cui Tucidide diede
un'anima nuova; da lui la consuetudine dei discorsi arrivò a Cassio Dione e
alla moderna storiografia umanistica e classicheggiante.
Nella forma tucididea, essi hanno il carattere di una intellettualistica connessione fra il pensiero e la prassi". Essi "sono l'essenza stessa della riflessione storica, che per l'uomo greco si articola nei vari, e spesso opposti, "punti di vista" dei personaggi attori della storia"[2].
“Tucidide fu in grado di trascrivere alcune testimonianze scritte (lettere, iscrizioni e trattati) che rientravano nei suoi criteri di attendibilità, ma è importante notare che egli non si scostò dalla regola erodotea di preferire la testimonianza orale a quella scritta”[3].
I discorsi inseriti nella storia invero non sono sempre del tutto plausibili, come vedremo, e a volte svolgono la funzione che Manzoni attribuisce al coro della tragedia: nella Prefazione a Il conte di Carmagnola l'autore afferma che i "Cori del greci" possono essere rinnovati poiché hanno un vantaggio per l'arte, "in quanto, riserbando al poeta un cantuccio dov'egli possa parlare in persona propria, gli diminuiranno la tentazione d'introdursi nell'azione, e di prestare ai personaggi i propri sentimenti".
Nell’opera di Tucidide non si tratta tanto del cantuccio dell’autore quanto di quello dei vari personaggi
Prendo lo spunto per questo collegamento da G. De Sanctis il quale afferma che i discorsi offrivano a Tucidide "il modo di esporre, senza turbare o aggravare di considerazioni personali il racconto dei fatti, quelle che erano o parevano a lui le ragioni profonde di essi, i moventi veri delle deliberazioni...Con ciò i discorsi acquistavano la verità della interpretazione di uno storico che vuol "ficcar lo viso in fondo" agli eventi che narra"[4].
Torniamo a tradurre I, 22, 1 di Tucidide
"ma come mi sembrava che ciascuno avrebbe potuto dire nella maniera più plausibile le parole dovute –ta; devonta- sulle circostanze via via presenti, attenendomi il più vicino possibile al senso generale delle parole veramente dette moi ejcomevnw/ o[ti ejgguvtata th`~ xumpavsh~ gnwvmh~ tw`n ajlhqw`~ lecqevntwn-
così sono state riportate
ta; devonta: participio sostantivato da devw.
Tucidide ricostruisce i discorsi a seconda di come i personaggi avrebbero dovuto parlare in conseguenza del loro orientamento. Così l'autore, nota Jaeger, [5]"parla ai suoi lettori ora da Spartano o da Corinzio, ora da Ateniese o da Siracusano, ora in veste di Pericle ora d'Alcibiade. Per questa tecnica oratoria poteva servir di modello, esteriormente, l'epos, e un poco anche Erodoto. Ma Tucidide ha applicato tale mezzo in grande stile, e a ciò dobbiamo se quella guerra, combattuta invero al tempo dell'apogeo intellettuale greco e accompagnata da una discussione che agitò gli animi nel profondo, ci si presenta anzitutto quale lotta degli spiriti e soltanto secondariamente quale fatto militare".
Questa dichiarazione di Tucidide rientra nella categoria della obiettività epica ora del tutto perduta: si pensi alle due opposte propagande che falsificano la verità effettuale, cioè quella dei fatti.
ejcomevnw/ o[ti ejgguvtata th`~ xumpavsh~ gnwvmh~ tw`n ajlhqw`~ lecqevntwn-
“Tucidide attesta puntigliosamente di essersi attenuto “al senso generale delle cose effettivamente dette” dai protagonisti del suo racconto. E nonostante lo scetticismo di taluni tra i moderni, quelle parole vanno prese sul serio. Tucidide ci dà un campione significativo dell’oratoria politica del tempo (come ben sapeva Cicerone)[6]: colma una gravissima lacuna della nostra conoscenza della città antica. All’epoca i politici non scrivevano i loro discorsi : tesori di oratoria si sono perciò dispersi nel vento. Se dunque vogliamo farci un’idea di come parlavano Pericle, Alcibiade, Cleone, Nicia, Brasida, Atenagora siracusano ecc., dobbiamo ricorrere a Tucidide, che intuì l’importanza del ragionamento politico e della parola pubblica, e dei suoi effetti, come decisivo fatto storico(…) La parola ha uno spazio grandissimo nella vita collettiva (teatro, assemblea, tribunale) e perciò anche nel racconto storiografico antico è largamente presente, e talvolta dominante. Non è un semplice ritrovato artistico: è un fedele rispecchiamento della realtà molto parlata della città greca. La scrittura-soprattutto quella esposta-è un surrogato marginale”[7].
Cultura logocentrica è quella ateniese. Lo era anche la nostra del liceo classico quando lo frequentavo e l’ho messa in pratica insegnando, e la pratico ancora
Adesso del lovgo~ si fa strame da parte dei politici e pure di tanti presunti intellettuali. Il Mario ecologista nelle sue trasmissioni dice che l’uomo si distingue dalla bestia per l’abilità manuale. Obietto che ci sono scimmie manualmente più abili di tanti uomini colti e intelligenti. Noi siamo animali linguistici pima di tutto. Ma ora si deve fare propaganda alle scuole professionali.
Passiamo a I, 22, 2
Le azioni dei fatti bellici - ta; d’ e[rga tw`n pracqevntwn - poi ho ritenuto opportuno descriverle non informandomi dal primo venuto, né come pareva a me -oud j wJ~ ejmoi; ejdovkei-, ma ho raccontato i fatti ai quali ero presente, e quelli riferiti da altri, solo dopo averli esaminati uno per uno con esattezza per quanto possibile- o{son dunatovn ajkibeiva/-
ta; d j e[rga tw`n pracqevntwn -
Dopo le parole, le azioni e i fatti, correlati tra loro da me;n lovgw /( ...) ta; d’ e[rga
L'uomo classico si esprime appunto attraverso l'azione e la parola. Peleo chiede a Fenice, l'educatore di Achille, di accompagnare il ragazzo a Troia per insegnargli:"muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn", a essere dicitore di parole ed esecutore di opere (Iliade , IX, 443).
Cicerone nel De oratore (III, 57) chiama l'antica saggezza:"et recte faciendi et bene dicendi magistra "; allora non c'erano due maestri distinti,"neque disiuncti doctores , ma era uno solo il precettore "vivendi... atque dicendi ", come Fenice"qui se a Peleo patre Achilli iuveni comitem esse datum dicit ad bellum, ut efficeret oratorem verborum actoremque rerum ".
Potrebbe costituire un buon obiettivo per tanti ragazzi odierni: afasici, neghittosi e insolenti.
" I giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i nuovi modelli imposti dal capitalismo, rischiando così una forma di disumanità, una forma di atroce afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una faziosa passività"[8].
Facciamo un altro esempio di parola che equivale ai fatti: la Medea di Euripide, dopo avere dichiarato il suo proposito di uccidere i propri nemici, e pure i propri figli, quando ancora nulla è stato compiuto, ma già deciso e detto a parole, assicura:“pavntw" pevpraktai tau'ta koujk ejkfeuxetai” (v. 1064), comunque questa è cosa fatta e non ci sarà scampo.
"La mentalità greca arcaica-scrive Canfora- pone sullo stesso piano la parola e l'azione. Tale modo di concepire la parola come "fatto" è vivo anche nella tradizione storiografica, che rivela, anche in questo, la propria matrice epica. Vi è un assai noto passo di Tucidide, dove lo storico, nel descrivere il proprio lavoro e la materia trattata, adopera un'espressione quasi intraducibile: ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I 22 2). Si dovrebbe tradurre "i fatti dei fatti", che in italiano non dà senso (...) Lì vi è invece una distinzione: la categoria generale degli "eventi" (ta; pracqevnta) comprende sia le "azioni" (e[rga) che le "parole" (lovgoi), delle quali si è appena detto nel periodo precedente (...) La parola infatti-scriverà secoli dopo Diodoro- la parola retoricamente organizzata, è l'elemento che distingue gli inciviliti dai selvatici, i Greci dai barbari"[9].
Faccio notare di nuovo che in questo capitolo il lovgo~ (I, 22, 1) precede gli e[rga (I, 22, 2) le azioni devono essere preparate dalle parole pensate.. Non sono d’accordo con Canfora dunque sulla mentalità greca che “pone sullo stesso piano la parola e l'azione”
E nemmeno sulla traduzione di ta; pracqevnta con “eventi”.
tw'n pracqevntwn: genitivo del participio dell'aoristo passivo di pravttw che significa “metto in atto”, non “accado”.
Ma andiamo avanti con il commento delle parole di Tucidide
oud j wJ~ ejmoi; ejdovkei: detto in polemica con il soggettivismo della storiografia precedente, e in particolare, probabilmente, con il proemio di Ecateo:"tavde gravfw, w{" moi dokei' ajlhqeva ei\nai", le racconto come mi sembrano vere.
o{son dunatovn ajkibeiva/-
Essa sembra ridimensionare la verità storica a verisimiglianza:"Lo stesso Tucidide, che più di ogni altro storico greco esprime la tormentosa esigenza della 'verità storica'-scrive Musti-segnala puntigliosamente l'impossibilità di andare, per i discorsi , al di là del recupero di un nucleo autentico e di un alone di verosimiglianza, e accompagna la sua affermazione di voler perseguire una ricostruzione rigorosa dei fatti non vissuti direttamente (ma conosciuti sulla base della testimonianza altrui), con le prudenti parole 'per quanto possibile'...Perciò, formulazioni come quella di Luciano di Samosata (Come si deve scrivere la storia , 39):" il compito dello storico è uno solo: dire come sono andate le cose"[10], riflettono un ottimismo semplificatore, che può trovare riscontro solo in ben note, generose illusioni del positivismo storiografico ottocentesco. Nella storia della storiografia greca, il criterio della verità come 'scelta' ha dovuto in effetti molto spesso far luogo realisticamente a quello dell' 'oggettività', concepita come imparzialità, come equidistanza fra versioni e posizioni diverse"[11].
Nella forma tucididea, essi hanno il carattere di una intellettualistica connessione fra il pensiero e la prassi". Essi "sono l'essenza stessa della riflessione storica, che per l'uomo greco si articola nei vari, e spesso opposti, "punti di vista" dei personaggi attori della storia"[2].
“Tucidide fu in grado di trascrivere alcune testimonianze scritte (lettere, iscrizioni e trattati) che rientravano nei suoi criteri di attendibilità, ma è importante notare che egli non si scostò dalla regola erodotea di preferire la testimonianza orale a quella scritta”[3].
I discorsi inseriti nella storia invero non sono sempre del tutto plausibili, come vedremo, e a volte svolgono la funzione che Manzoni attribuisce al coro della tragedia: nella Prefazione a Il conte di Carmagnola l'autore afferma che i "Cori del greci" possono essere rinnovati poiché hanno un vantaggio per l'arte, "in quanto, riserbando al poeta un cantuccio dov'egli possa parlare in persona propria, gli diminuiranno la tentazione d'introdursi nell'azione, e di prestare ai personaggi i propri sentimenti".
Nell’opera di Tucidide non si tratta tanto del cantuccio dell’autore quanto di quello dei vari personaggi
Prendo lo spunto per questo collegamento da G. De Sanctis il quale afferma che i discorsi offrivano a Tucidide "il modo di esporre, senza turbare o aggravare di considerazioni personali il racconto dei fatti, quelle che erano o parevano a lui le ragioni profonde di essi, i moventi veri delle deliberazioni...Con ciò i discorsi acquistavano la verità della interpretazione di uno storico che vuol "ficcar lo viso in fondo" agli eventi che narra"[4].
Torniamo a tradurre I, 22, 1 di Tucidide
"ma come mi sembrava che ciascuno avrebbe potuto dire nella maniera più plausibile le parole dovute –ta; devonta- sulle circostanze via via presenti, attenendomi il più vicino possibile al senso generale delle parole veramente dette moi ejcomevnw/ o[ti ejgguvtata th`~ xumpavsh~ gnwvmh~ tw`n ajlhqw`~ lecqevntwn-
così sono state riportate
ta; devonta: participio sostantivato da devw.
Tucidide ricostruisce i discorsi a seconda di come i personaggi avrebbero dovuto parlare in conseguenza del loro orientamento. Così l'autore, nota Jaeger, [5]"parla ai suoi lettori ora da Spartano o da Corinzio, ora da Ateniese o da Siracusano, ora in veste di Pericle ora d'Alcibiade. Per questa tecnica oratoria poteva servir di modello, esteriormente, l'epos, e un poco anche Erodoto. Ma Tucidide ha applicato tale mezzo in grande stile, e a ciò dobbiamo se quella guerra, combattuta invero al tempo dell'apogeo intellettuale greco e accompagnata da una discussione che agitò gli animi nel profondo, ci si presenta anzitutto quale lotta degli spiriti e soltanto secondariamente quale fatto militare".
Questa dichiarazione di Tucidide rientra nella categoria della obiettività epica ora del tutto perduta: si pensi alle due opposte propagande che falsificano la verità effettuale, cioè quella dei fatti.
ejcomevnw/ o[ti ejgguvtata th`~ xumpavsh~ gnwvmh~ tw`n ajlhqw`~ lecqevntwn-
“Tucidide attesta puntigliosamente di essersi attenuto “al senso generale delle cose effettivamente dette” dai protagonisti del suo racconto. E nonostante lo scetticismo di taluni tra i moderni, quelle parole vanno prese sul serio. Tucidide ci dà un campione significativo dell’oratoria politica del tempo (come ben sapeva Cicerone)[6]: colma una gravissima lacuna della nostra conoscenza della città antica. All’epoca i politici non scrivevano i loro discorsi : tesori di oratoria si sono perciò dispersi nel vento. Se dunque vogliamo farci un’idea di come parlavano Pericle, Alcibiade, Cleone, Nicia, Brasida, Atenagora siracusano ecc., dobbiamo ricorrere a Tucidide, che intuì l’importanza del ragionamento politico e della parola pubblica, e dei suoi effetti, come decisivo fatto storico(…) La parola ha uno spazio grandissimo nella vita collettiva (teatro, assemblea, tribunale) e perciò anche nel racconto storiografico antico è largamente presente, e talvolta dominante. Non è un semplice ritrovato artistico: è un fedele rispecchiamento della realtà molto parlata della città greca. La scrittura-soprattutto quella esposta-è un surrogato marginale”[7].
Cultura logocentrica è quella ateniese. Lo era anche la nostra del liceo classico quando lo frequentavo e l’ho messa in pratica insegnando, e la pratico ancora
Adesso del lovgo~ si fa strame da parte dei politici e pure di tanti presunti intellettuali. Il Mario ecologista nelle sue trasmissioni dice che l’uomo si distingue dalla bestia per l’abilità manuale. Obietto che ci sono scimmie manualmente più abili di tanti uomini colti e intelligenti. Noi siamo animali linguistici pima di tutto. Ma ora si deve fare propaganda alle scuole professionali.
Passiamo a I, 22, 2
Le azioni dei fatti bellici - ta; d’ e[rga tw`n pracqevntwn - poi ho ritenuto opportuno descriverle non informandomi dal primo venuto, né come pareva a me -oud j wJ~ ejmoi; ejdovkei-, ma ho raccontato i fatti ai quali ero presente, e quelli riferiti da altri, solo dopo averli esaminati uno per uno con esattezza per quanto possibile- o{son dunatovn ajkibeiva/-
ta; d j e[rga tw`n pracqevntwn -
Dopo le parole, le azioni e i fatti, correlati tra loro da me;n lovgw /( ...) ta; d’ e[rga
L'uomo classico si esprime appunto attraverso l'azione e la parola. Peleo chiede a Fenice, l'educatore di Achille, di accompagnare il ragazzo a Troia per insegnargli:"muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn", a essere dicitore di parole ed esecutore di opere (Iliade , IX, 443).
Cicerone nel De oratore (III, 57) chiama l'antica saggezza:"et recte faciendi et bene dicendi magistra "; allora non c'erano due maestri distinti,"neque disiuncti doctores , ma era uno solo il precettore "vivendi... atque dicendi ", come Fenice"qui se a Peleo patre Achilli iuveni comitem esse datum dicit ad bellum, ut efficeret oratorem verborum actoremque rerum ".
Potrebbe costituire un buon obiettivo per tanti ragazzi odierni: afasici, neghittosi e insolenti.
" I giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i nuovi modelli imposti dal capitalismo, rischiando così una forma di disumanità, una forma di atroce afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una faziosa passività"[8].
Facciamo un altro esempio di parola che equivale ai fatti: la Medea di Euripide, dopo avere dichiarato il suo proposito di uccidere i propri nemici, e pure i propri figli, quando ancora nulla è stato compiuto, ma già deciso e detto a parole, assicura:“pavntw" pevpraktai tau'ta koujk ejkfeuxetai” (v. 1064), comunque questa è cosa fatta e non ci sarà scampo.
"La mentalità greca arcaica-scrive Canfora- pone sullo stesso piano la parola e l'azione. Tale modo di concepire la parola come "fatto" è vivo anche nella tradizione storiografica, che rivela, anche in questo, la propria matrice epica. Vi è un assai noto passo di Tucidide, dove lo storico, nel descrivere il proprio lavoro e la materia trattata, adopera un'espressione quasi intraducibile: ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I 22 2). Si dovrebbe tradurre "i fatti dei fatti", che in italiano non dà senso (...) Lì vi è invece una distinzione: la categoria generale degli "eventi" (ta; pracqevnta) comprende sia le "azioni" (e[rga) che le "parole" (lovgoi), delle quali si è appena detto nel periodo precedente (...) La parola infatti-scriverà secoli dopo Diodoro- la parola retoricamente organizzata, è l'elemento che distingue gli inciviliti dai selvatici, i Greci dai barbari"[9].
Faccio notare di nuovo che in questo capitolo il lovgo~ (I, 22, 1) precede gli e[rga (I, 22, 2) le azioni devono essere preparate dalle parole pensate.. Non sono d’accordo con Canfora dunque sulla mentalità greca che “pone sullo stesso piano la parola e l'azione”
E nemmeno sulla traduzione di ta; pracqevnta con “eventi”.
tw'n pracqevntwn: genitivo del participio dell'aoristo passivo di pravttw che significa “metto in atto”, non “accado”.
Ma andiamo avanti con il commento delle parole di Tucidide
oud j wJ~ ejmoi; ejdovkei: detto in polemica con il soggettivismo della storiografia precedente, e in particolare, probabilmente, con il proemio di Ecateo:"tavde gravfw, w{" moi dokei' ajlhqeva ei\nai", le racconto come mi sembrano vere.
o{son dunatovn ajkibeiva/-
Essa sembra ridimensionare la verità storica a verisimiglianza:"Lo stesso Tucidide, che più di ogni altro storico greco esprime la tormentosa esigenza della 'verità storica'-scrive Musti-segnala puntigliosamente l'impossibilità di andare, per i discorsi , al di là del recupero di un nucleo autentico e di un alone di verosimiglianza, e accompagna la sua affermazione di voler perseguire una ricostruzione rigorosa dei fatti non vissuti direttamente (ma conosciuti sulla base della testimonianza altrui), con le prudenti parole 'per quanto possibile'...Perciò, formulazioni come quella di Luciano di Samosata (Come si deve scrivere la storia , 39):" il compito dello storico è uno solo: dire come sono andate le cose"[10], riflettono un ottimismo semplificatore, che può trovare riscontro solo in ben note, generose illusioni del positivismo storiografico ottocentesco. Nella storia della storiografia greca, il criterio della verità come 'scelta' ha dovuto in effetti molto spesso far luogo realisticamente a quello dell' 'oggettività', concepita come imparzialità, come equidistanza fra versioni e posizioni diverse"[11].
Bologna 6 novembre 2022- ore 11, 40
giovanni ghiselli
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Continua. Ora vado a pedalare in salita: gli e[rga dolpo i lovgoi.
[1] Arnaldo Momigliano, Tradition and the Classical Historian , trad. di M. De Nonno in La storiografia greca a cura di D. Musti, p. 83.
[2]S. Mazzarino, Op. cit. pp. 8 e 11 I vol.
[3] A. Momigliano, La storiografia greca, pp. 8-9.
[4]Storia Dei Greci , vol. II, pp. 425-426.
[5] in Paideia , I vol., p. 65
[6] De oratore, II, 93; Brutus, 27.
[7] L. Canfora, Prima lezione di storiografia, p. 58.
[8] Pasolini, Scritti corsari , p. 287.
[9]L. Canfora, L'agorà: il discorso suasorio in Lo spazio letterario della Grecia antica , I, 1, p. 385.
[10]Tou' de; suggrafevw" e[rgon e{n, wJ" ejpravcqh eijpei'n.
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