Mi venne in mente, e ricordo anche oggi, quanto mi cantava la mamma alla fine degli anni Quaranta: “triste tempo, l’alberello senza foglie resterà, ed il pover giannettello solo solo che farà?”
Invece non ero più solo e desolato come alla partenza: avevo conosciuto ragazze e ragazzi, anche persone buone, e avevo trovato un amico.
Rimasti appiedati a qualche centinaio di chilometri da casa, non potevamo chiedere aiuto perché il “maledetto e abominoso ordigno” che detesto, ossia il cellulare, ancora non esisteva, sicchè passammo la notte in una locanda campagnola scambiandoci impressioni e riflessioni sul mese passato insieme e sulle persone conosciute. Se ci fosse stato il telefonino e uno di noi , letterati ipotecnologici lo avesse avuto, avremmo perduto un simposio e uno scambio proficuo di pensieri non volgari né banali, anzi ricchi di pathos e di logos. Contento di ciò, mangiai appena un boccone.
L’anticena rispetto a quella dell’arrivo all Hungaria di Debrecen.
Mi ero già avviato sulla strada della resurrezione.
La fine della vecchia automobile ebbe una conseguenza positiva siccome il male viene per giovare quando il destino prende il verso giusto, quello che favorisce la vita.
Poco tempo dopo infatti la zia Rina mi regalò la Mini Minor da cui trassi altra libertà e altro coraggio.
Salutati l’amico che non avrei più perduto, nemmeno dopo la sua morte avvenuta diversi decenni più tardi, e, terminato il viaggio sapendo più cose di me stesso e del prossimo, mi ritrovai a Pesaro già piuttosto cambiato, e non in peggio: avevo smesso di pensare che la mia vita sarebbe trascorsa tutta tra sconfitte, umiliazioni, dolore e odio come era caduta di degradazione in degradazione da quando avevo finito il liceo: fino a quella bassa età del ferro nella quale aveva trionfato la brutalità calpestandomi il cuore e il cervello, l’anima intera. Fino a rinnegarla.
A Debrecen avevo incontrato ragazzi buoni che mi chiamavano per nome, non con epiteti carichi di ludibrio, mi parlavano senza insultarmi e mi ascoltavano con attenzione; poi avevo trovato giovani donne che mi avevano sorriso e si erano lasciate avvicinare in vari modi; avevo conosciuto persone che avevano riso e scherzato con me, non di me, e mi ero convinto che quel rispetto era giusto siccome io non ero stupido, ignorante e cattivo: lo erano piuttosto quanti mi avevano maltrattato dopo il liceo per risentimento del mio essere stato egregio nelle scuole pesaresi e per la soddisfazione di vedermi smarrito, disorientato, abbattuto avere perduto il ruolo di primo delle classi che non c’erano più.
Avevo del resto capito che quel rancore era stato scatenato non solo dal mio essere bravo ma anche dal narcisismo egoista con cui mi presentavo. Dovevo dunque tornare a primeggiare, ma per vantarmene bensì per fare del bene: il mio bene e quello degli altri, insomma volevo diventare benefico con l’aiuto di amici e ancor più di una donna del mio stampo, della mia levatura, della mia razza spirituale. Ma questa dovevo incontrarla. Un grande aiuto mi verrà dal movimento studentesco dei due anni seguenti. Sarà l'argomento dei prossimi capitoli.
Bologna 29 novembre 2022- ore 11
giovanni ghiselli
p. s
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