venerdì 13 gennaio 2023

Nietzsche 56- La chiarezza di Sofocle. Il fatalistico senso della giustizia di Eschilo. Prometeo segno di contraddizione.


 

La nascita della tragedia. Capitolo IX  

 

Soprattutto la lingua degli eroi sofoclei ci sorprende per la sua chiarezza, la bella claritas [1] apollinea, e noi crediamo di giungere fino alla loro intima essenza. Ma quelle macchie luminose sono conseguenza dello sguardo gettato nel fondo terribile della natura, e servono a salvare l’occhio offeso dall’orrenda notte. Il contrario di quello che succede dopo aver guardato il sole: quando ci volgiamo abbagliati, vediamo scure macchie colorate. La serenità greca è questa.

Edipo è la figura più dolorosa della scena greca: è concepito da Sofocle come l’uomo nobile che è destinato all’errore e alla miseria nonostante la sua saggezza, ma che alla fine, in virtù del suo immenso soffrire esercita intorno a sé un’azione magica e benefica che è ancora più efficace dopo la sua dipartita (p. 65)

Infatti Edipo è l’uomo dell’errore,  poi l’eroe della passività:

 ejpei; tav g j e[rga me-peponqovt j i[sqi ma`llon h] dedrakovta” (Edipo a Colono, 266-267), poiché, sappilo, le mie opere sono state piuttosto subite che fatte. Queste parole dice al Coro dei vecchi di Colono il vecchio cieco che vede ascoltando le voci.

Più avanti, nel III Stasimo il coro di vecchi cittadini dell’Attica, dopo avere espresso la sapienza silenica che si confà soprattutto ai vecchi come loro e come Edipo, paragona quell’infelice a una scogliera boreale bovreio~ w[~ ti~ ajktav (v. 1240) percossa da ogni parte dalle onde invernali che lo investono senza tregua.

“L’uomo nobile non pecca, vuol dirci il profondo poeta”(p. 65)

Dal suo agire può essere compromesso l’ordine morale e perfino quello naturale, ma il suo fare traccia un superiore cerchio magico di effetti che fondano un mondo nuovo sulle rovine di quello crollato. L’intreccio aggrovigliato si scioglie e su tutta l’opera soffia una superiore serenità. Sofocle è poeta religioso e mostra che dalla sfera divina si irradia una serenità ultraterrena. L’eroe raggiunge la sua più alta attività con il suo comportamento passivo che si estende oltre la sua vita, mentre gli sforzi consapevoli nella fase precedente lo avevano condotto solo alla passività. La natura ci mostra quelll’immagine luminosa dopo che abbiamo gettato gli occhi nel baratro, Teseo dice alle ragazze penqei`n ouj crhv , non bisogna piangere: nevmesi~ gavr, sarebbe colpa (1753), infatti il favore dell’aldilà (cavri~ hJ cqoniva, 1752) arride al popolo.

Edipo ha ucciso il padre, seminato la madre, e ha sciolto l’enigma della Sfinge.

 

L’incesto

Una leggenda Persiana dice che un mago sapiente può nascere solo da un incesto.

Cfr. Catullo 90, 3-4: “nam magus ex matre et gnato gignatur oportet,/si vera est Persarum impia relligio”.

Nell’Andromaca di Euripide, Ermione dice che la razza dei barbari è tale: il padre si unisce con la figlia, il figlio con la madre, la ragazza con il fratello, i congiunti uccisono i congiunti e non c’è legge che lo vieti.

 

Diogene Laerzio I, 7) riferisce da Aristippo (Della lussuria degli antichi in realtà di ignoto autore del III a. C.) che Periandro si unì con la madre Crateia innamorata di lui.

Periandro ha in comune con Edipo anche la zoppia genetica (cfr. Labda nonna di Periandro  e Labdaco, nonno di Edipo)

 

La zoppia del tiranno

La tirannide, sovranità claudicante, non può procedere a lungo nel suo successo. L'oracolo, che aveva dato via libera a Cipselo per aprirgli la porta del potere, aveva fissato, fin dall'inizio, il termine al di là del quale la discendenza di Labda, non diversamente da quella di Laio, non avrebbe avuto il diritto di perpetuarsi. "Cipselo, figlio di Eezione, re dell'illustre Corinto" aveva proclamato il dio; ma per aggiungere subito:"lui e i suoi figli, ma non più i figli dei suoi figli"[2]. Alla terza generazione, l'effetto della "pietra rotolante" uscita dal ventre di Labda non si fa più sentire [3]. Per la stirpe dei claudicanti, istallati sul trono di Corinto, è venuto il momento in cui il destino vacilla, precipita, sprofonda nella sventura e nella morte"[4].

A proposito della zoppìa del tiranno, Periandro dunque era figlio di Cipselo, nato da una Bacchiade zoppa (cwlhv, V, 92 b), Labda, che nessun membro di questa oligarchia dominante Corinto voleva sposare. La sposò invece uno di origine Lapita, Eezione il quale, siccome non nascevano figli, andò a interrogare l'oracolo di Delfi. La Pizia rispose che Labda era già incinta e avrebbe partorito un masso rotondo[5] che si sarebbe abbattuto sui governanti punendo Corinto.

Umberto Curi ricorda che “Labdaco è nome che deriva direttamente dalla lettera dell’alfabeto greco labda (l), usata abitualmente in età arcaica, per l’asimmetria fra le due “gambe” del segno grafico , come simbolo dello zoppo, come zoppo sarà Edipo, nipote di Labda-co (Endiadi, Figure della duplicità, p. 25 n. 13)

Zoppicante è anche the bloody king  (IV, 3), il re sanguinario di Shakespeare, Riccardo III   il quale si presenta dicendo di essere:"so lamely and unfashionable/That dogs bark at me, as I halt by them "(I, 1), così claudicante e goffo che i cani mi latrano contro quando gli passo.

 

Per costringere la natura a rivelare i suoi segreti bisogna contrastarla vittoriosamente mediante l’innaturale. Edipo ha spezzato la legge dell’individuazione confondendo le generazioni. Il mito sembra bisbigliare che la sapienza, in particolare quella dionisiaca è un orrore contro natura. Eppure la corda del mito toccata da Sofocle risuona armoniosamente.

Infatti non viene criticata la sapienza ma il sapere limitato alla logica: il lovgo" non è solo logica.

 

Sofocle in effetti smonta il sapere di Edipo, un sapere sofovn che  non è sapienza (sofiva) secondo la distinzione fatta dal Coro delle Baccanti di Euripide: "to; sofo;n  d  j ouj  sofiva" ( v. 395), il sapere non è sapienza.

E. Dodds indica un nesso tra questa sentenza del primo stasimo delle Baccanti e la transvalutazione denunciata da Tucidide : “ cleverness is not wisdom’, ‘the world’s Wise are not wise’ (Murray). Here again the Chorus take up a thought expressed in the preceding scene: to; sofovn has the same implication as in 203[6]; it is the false wisdom of men like Pentheus, who fronw'n oujde;n fronei' (332, cf. 266 ff., 311 ff.), in contrast with the true wisdom of devout acceptance (179, 186)…for the paradoxical form cf. I. A. 1139 oJ nou'~ o{d j aujto;~ nou'n e[cwn ouj tugcavnei[7], Or. 819 to; kalo;n ouj kalovn[8]. Such paradoxes are the characteristic product of an age when traditional valuations are rapidly shifting in the way described in the famous passage of Thucydides on the transvaluatation of values, 3, 82”[9], ‘l’ingegnosità non è sapienza’, ‘la Maniera del mondo, non è saggia’ (Murray). Qui di nuovo il Coro assume un pensiero espresso nella scena precedente: il sapere ha la stessa implicazione che al v. 203; è la falsa sapienza di uomini come Penteo, il quale pur avendo la mente non ha la sapienza (332, cfr. 266 ss.[10] 311 ss.[11]), in contrasto con la vera saggezza della della pia accettazione (179, 186[12])…per il modulo paradossale cfr. Ifigenia in Aulide 1139 , Oreste 819. Tali paradossi sono il prodotto caratteristico di un’età in cui le valutazioni tradizionali stanno rapidamente cambiando nel modo descritto nel famoso passo di Tucidide sulla transvalutazione dei valori, Storie, III, 82.

 

Torniamo A Nietzsche

“Alla gloria della passività contrappongo ora la gloria dell’attività che illumina il Prometeo di Eschilo” (p. 67)

Nietzsche cita l’Inno a Prometeo del giovane Goethe

"Io non conosco al mondo/nulla di più meschino di voi, o dèi/

Ich kenne nichts Ärmer's
Unter der Sonn' als euch Götter
.

 

…Io renderti onore? E perché?/Hai mai lenito[13] i dolori/di me ch'ero afflitto?/

Hai mai calmato le lacrime/di me ch'ero in angoscia?/…

Ich dich ehren? Wofür?
Hast du die Schmerzen gelindert
Je des Beladenen?
Hast du die Tränen gestillet
Je des Geängsteten?

 

Io sto qui e creo uomini/a mia immagine e somiglianza,/una stirpe simile a me,/fatta per soffrire e per piangere,/per godere e gioire/e non curarsi di te,/come me!"[14].

Hier sitz' ich, forme Menschen
Nach meinem Bilde,
Ein Geschlecht, das mir gleich sei,
Zu leiden, weinen,
Genießen und zu freuen sich,
Und dein nicht zu achten,
Wie ich
.



 

Questo inno ricorda la concezione del mondo eschilea che vede troneggiare la Moira come eterna giustizia su dèi e uomini (p. 67)

 

Nel Prometeo incatenato, Necessità e Destino sono le divinità supreme:

 (v. 514): “ tevcnh d  j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/ ”, la conoscenza pratica è molto più debole della necessità.

Il predominio del fato non risparmia nessuno, e il martire aggiunge, consolandosene, che nemmeno Zeus "potrebbe in alcun modo sfuggire alla parte che gli ha dato il destino (ou[koun a]n ejkfuvgoi ge th;n peprwmevnhn)"(v. 518).

 

Eschilo mette il mondo olimpico sulla sua bilancia della giustizia con stupefacente arditezza. Sfogava i suoi impulsi scettici sugli dèi olimpici in quanto il suo pensiero metafisico era basato sui misteri.

 

Settembrini, il letterato illuminista di La Montagna Incantata [15] di Thomas Mann,  esalta la figura di Prometeo come l'archetipo dell'umanista:"Che cos'era però in fondo l'umanesimo? Nient'altro che amore verso gli uomini, quindi: politica e ribellione contro tutto ciò che macchiava e offendeva l'idea dell'uomo. Gli si era rimproverato un eccessivo rispetto della forma, ma anche la bella forma era da lui[16] curata per amore della dignità umana, in splendido contrasto col medioevo che non solo era caduto nell'abisso della inimicizia verso gli uomini e nella superstizione, ma nella più vergognosa trascuratezza di forma. Fin dal principio egli[17] aveva parteggiato e combattuto per la causa dell'umanità, per i suoi interessi terreni, proclamando sacra la libertà di pensiero, la gioia della vita, e pretendendo che il cielo fosse lasciato agli uccelli. Prometeo! Quello era stato il primo umanista, identico a quel Satana cui Carducci aveva dedicato un inno" (p.176 I vol.).

Più avanti Settembrini santifica anche l’ u{bri~ di Prometeo in quanto amica dell'umanità e favorevole alla ragione:"Ma l'"Hybris" della ragione contro le oscure potenze è altissima umanità, e se chiama su di sé la vendetta di dèi invidiosi...questa è sempre una rovina onorata. Anche l'azione di Prometeo era "Hybris" e il suo tormento sulla roccia scita noi lo consideriamo il martirio più santo. Ma come siamo invece di fronte all'altra "Hybris", a quella contraria alla ragione, all'"Hybris" della inimicizia contro la schiatta umana?".

 

Prometeo è l’artista titanico che ha fede di poter creare uomini o di distruggere gli dèi olimpici grazie alla sua superiore sapienza che deve però scontare con un’eterna sofferenza. Il suo è l’aspro orgoglio dell’artista.

 

Invece Sofocle nell’Edipo intona il canto di vittoria del santo.

  Eschilo dà del mito un’interpretazione che non ne scandaglia il sottostante abisso di terrore: la serenità del creare artistico è una luminosa immagine di nuvole e cielo che si rispecchia in un lago di nera tristezza.

La leggenda di Prometeo rispecchia la profondità tragica dei popoli ariani; questo mito ha la stessa importanza di quello del peccato originale per i semiti: i due miti sono come fratello e sorella. Il presupposto del mito di Prometeo è l’importanza del fuoco come il vero palladio di ogni civiltà ascendente. Ma che l’uomo ne disponesse liberamente apparve a quei contemplativi uomini arcaici come un sacrilegio, come una rapina ai danni di una natura divina. La conquista del fuoco avviene con un crimine che crea una contraddizione tra l’uomo e dio. Tale delitto porta un intero flusso di dolori e di affanni all’umanità.

La dignità conferita al crimine contrasta stranamente con il mito semitico del peccato originale dove l’origine del male è dato dalla curiosità, dal raggiro menzognero, dalla seducibilità, dalla lascivia.

La virtù prometeica è il peccato attivo.

L’ariano meditativo non è incline a negare la sventura nell’essenza delle cose ed essa deriva dalla lotta di due mondi diversi, quello divino e quello umano, ognuno dei quali deve combattere per la sua individuazione. Ognuno dei due mondi vuole negare l’individuazione dell’altro per volere essere lui stesso l’unica essenza del mondo. Gli ariani considerano maschio il delitto, i semiti femmina: Il crimine originale viene commesso dal maschio, il peccato dalla donna.

Il coro delle streghe del Faust dice che la donna fa le cose con mille passi, l’uomo d’un balzo. Questa u{bri~ di Prometeo è antiapollinea in quanto Apollo impone la conoscenza di sé e la misura come sacre leggi. Ma la volontà unilateralmente apollinea che cerca di limitare la grecità rischia di irrigidire le forme in egiziana durezza e freddezza e di immobilizzare le superfici, allora interviene l’alta marea del dionisiaco che alza le onde.

Prometeo di Eschilo è una maschera dionisiaca quando vuole prendere sul dorso le singole piccole cime ondulate degli individui. Mentre nella profonda tendenza alla giustizia, Prometeo rivela la sua discendenza paterna da Apollo, dio dell’individuazione e dei limiti della giustizia.

La sua natura insieme dionisiaca e apollinea potrebbe essere formulata così: “tutto ciò che esiste è giusto e ingiusto, e in entrambi i casi è ugualmente giustificato”.

Il fatalismo di Eschilo trova una sintesi estrema in queste tre parole dette da Cassandra: “to; mevllo h{xei (Agamennone, 1240,  il futuro verrà) Con tutto quello che deve accadere naturalmente.

 

Bologna 13 gennaio 2023 giovanni ghiselli

 

 

 

 



[1] :"San Tommaso dice: Ad pulchritudinem tria requiruntur: integritas, consonantia, claritas…Lo splendore di cui parla san Tommaso è la quidditas scolastica, l'essenza di una cosa" J. Joyce, Dedalus, p. 258

. Boitani traduce claritas con “trasparenza”: “La trasparenza: quella che Tommaso d’Aquino chiamava claritas, e, associandola a consonantia e integritas, considerava uno dei tre criteri della bellezza”.    .

Sulle orme di Ulisse, p. 151.

[2]Erodoto, V, 92, e 8-9.

[3]Erodoto, V, 92, e 2. Così le streghe del Macbeth  promettono il regno al signore di Glamis, ma la successione ai figli di Banquo (I, 3).

[4]Vernant e Vidal-Naquet, Mito e tragedia due , pp. 39,  48 e 49.

[5] Erodoto, V, 92 b 2

[6] Le tradizione ricevute dai padri, quelle che possediamo/

coeve con il tempo, nessun ragionamento le abbatterà,/

neppure se per opera di menti appuntite viene trovato il sapere (oujd j eij di j a[krwn to; sofo;n hu{rhtai frenw'n) (Baccanti, vv. 201-203), parla Tiresia (ndr)

[7] Questa astuzia, sebbene costui abbia astuzia, non funziona. Clitennestra parla ad Agamennone che fa il finto tonto Ndr.

[8] E’  secondo stasimo: il  Coro di fanciulle argive che deplora l’assassinio di Clitennestra, un atto ambiguo : può apparire bello ma non lo è. Ndr.

[9] E. R. Dodds, Euripides Bacchae,  p. 121

[10] Quando un uomo saggio abbia preso buoni spunti/per le sue parole, non è grande impresa il parlare bene;/tu hai sì una lingua sciolta, come se avessi senno,/

ma nei tuoi discorsi non c'è senno (Baccanti, 266-269). Ndr

 

[11] Via Penteo, da' retta a me:/non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini,/e non credere, se tu hai un'opinione, ed è un'opinione malata,/di avere una qualche sapienza; invece accogli il dio nella nostra terra/e fai libagioni e baccheggia e incoronati la testa. (Baccanti,  309-313) Ndr.

 

[12] O Carissimo,  poiché ho inteso udendo la tua voce/saggia da un uomo saggio, stando nella reggia/eccomi pronto con questo costume del dio;/bisogna infatti che quello essendo figlio della figlia mia/(Dioniso che si rivelò dio agli uomini)/per quanto ci è possibile sia esaltato come grande./Dove bisogna danzare, dove fermare il piede,/e scuotere la testa canuta? Fai da guida tu vecchio/a me vecchio, Tiresia: tu infatti sei saggio./Poiché non potrei stancarmi né di notte né di giorno/di battere la terra con il tirso: ci siamo dimenticati volentieri/di essere vecchi (Baccanti, 178-190). E’ Tiresia che parla a Cadmo.  Ndr.

 

[13] Cfr. Il testamento di Tito di Fabrizio de Andrè “davvero lo nominai invano”

[14] Vv. 13-14, 38-42, 52-58 dell'Inno  Prometeo  del 1774 (l'anno del Werther) trad. it. di G. Baioni

[15] Del 1924.

[16] Dall’umanesimo, come si capisce meglio nella traduzione di Renata Colorni (La montagna magica, Mondatori, 2010).

[17] L’umanesimo

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