sabato 28 gennaio 2023

Introduzione a Polibio II. Polibio maestro, amico e accompagnatore di Scipione Emiliano.


 

L'amicizia con Scipione Emiliano (185-129) consentì a Polibio di seguire il condottiero romano in spedizioni e campagne militari, e comunque di viaggiare vedendo personalmente i luoghi descritti nella sua opera e ascoltando direttamente le persone che videro i fatti raccontati: nel 151 accompagnò l'allievo e amico nella penisola Iberica; nel 150 andò con lui in Africa e in Gallia, e, tornando in Italia, ripercorse la via di Annibale.

 

A questo proposito  lo storico dichiara : io posso parlarne con cognizione di causa, perché delle vicende mi sono informato direttamente da coloro che hanno vissuto personalmente l'esperienza, mentre i posti li ho visti io: per osservarli e rendermi conto di persona ("gnwvsew" e{neka kai; qeva"", III, 48, 12), ho fatto la traversata delle Alpi. Né questa è l'unica dichiarazione in tal senso: poco più avanti (III, 59, 7-8) Polibio infatti ribadisce la necessità dell'autopsia dei luoghi: infatti, afferma, ho affrontato i pericoli e i disagi che mi sono capitati nel lungo giro attraverso la Libia, l'Iberia, la Gallia e il mare che bagna le coste di queste regioni, soprattutto allo scopo di correggere gli errori di chi ha scritto in passato su questo argomento(" i{na diorqwsavmenoi th;n tw'n progegonovtwn a[gnoian ejn touvtoi"") e di far conoscere anche questa parte del mondo abitato.

 

La correzione  sta a cuore, scolasticamente, a Polibio il quale nel Proemio delle sue Storie afferma che per gli uomini non c'è nessuna correzione (diovrqwsi") più disponibile che la conoscenza dei fatti passati (th'" tw'n progegenhmevnwn pravxewn ejpisthvmh" , 1, 1).

 

Alla precisione descrittiva di Polibio dà grande credito il Perrotta che pure lo valuta "come scrittore...uno dei peggiori", in quanto "la sua lingua è quella delle cancellerie ellenistiche, che conosciamo dalle iscrizioni, innalzata alla sfera della letteratura".

Tuttavia questo storico è da ammirare per :" la lucidità, l'esattezza, la precisione con la quale egli racconta una battaglia o una trattativa diplomatica. Chi vuole intendere veramente Annibale che traversa le Alpi o la battaglia di Canne, deve leggere non Livio ma Polibio. Perrotta conclude citando la Storia romana  del Momnsen ( del  1856) che ha scritto:" suoi libri, nella storia romana, sono come il sole: dove essi cominciano, cade il velo di nebbia che copre ancora le guerre sannitiche e la guerra di Pirro; dove essi finiscono, comincia una nuova oscurità, se è possibile, ancora più fastidiosa"[1].

Polibio assisté, tra l'altro alla distruzione di Cartagine, nella primavera del 146, e al pianto  del suo amico vincitore che, citando due versi dell'Iliade [2] con i quali Ettore prevede la caduta di Troia, e riflettendo sul rapido destino delle cose umane, pronunciò il nome della sua patria per la quale temeva.

 

Nello stesso anno 146 la lega Achea si sollevò contro Roma, ma il console Mummio la sconfisse a Leucopetra, sull’istmo di Corinto. Quindi prese la città che venne brutalmente saccheggiata[3]. Con le opere d’arte di cui era ricca la città urbem totamque Italiam refersit (Cicerone, Orator 232), riempì Roma e tutta l’Italia.  

Cicerone nel De officiis sostiene che fu giusto distruggere le città dei nemici crudeles, immanes in bello, come Cartagine (nel 146)  e Numanzia (nel 133) ; invece Corinto poteva essere risparmata, ma se venne distrutta, delle ragioni ci furono: “nollem Corinthum, sed credo aliquid secutos, oportunitatem loci maxime, ne posset aliquando ad bellum faciendum locus ipse adhortari” (I, 35), non avrei voluto Corinto, ma credo che abbiano seguito qualche ragione, soprattutto le opportunità offerte dal luogo, affinché non potesse un giorno incoraggiare a una nuova guerra.

 

Fromm assimila il genocidio di Cartagine perpetrato dai Romani ad altri scempi commessi dai vincitori nei confronti dell’umanità: “The history of civilization, from the destruction of Carhage and Jerusalem to the destruction of Dresden, Hiroshima, and the people, soil, and trees of Vietnam, is a tragic record of sadism and destructiveness” (The anatomy of human destructiveness, p. 192), la storia della “civiltà”  dalla distruzione di Cartagine e Gerusalemme, alla distruzione di Dresda, Hiroshima, e del popolo, del suolo, degli alberi del Vietnam, è un documento tragico di sadismo e distruttività. 

 

Velleio Patercolo nota che Mummio fu così rozzo che, presa Corinto, quando appaltava il trasporto in Italia di quadri e statue fatte alla perfezione dalle mani di massimi artisti, fece avvisare gli appaltatori che se le avessero perdute, avrebbero dovuto restituirne delle nuove (si eas perdidissent, novas eas reddituros, Historiae, I 13, 4).

 

Le leghe greche furono disciolte ma lo storico amico degli Scipioni poté intercedere in favore dei suoi connazionali ricordando la fedeltà degli Achei a Roma, tanto che il popolo gli fece erigere una statua di marmo " e[sthsen aujtou' liqivnhn eijkovna", XXXIX, 3, 11). Quindi Polibio tornò a Roma dove continuò a frequentare Scipione Emiliano che probabilmente seguì, quando era oramai settantenne, nell'assedio di Numanzia la quale cadde nel 133.

 

Nel 129 a. C. morì, probabilmente vittima di una vendetta politica, Scipione Emiliano che aveva approvato l'assassinio del cognato Tiberio Gracco e la strage dei suoi sostenitori del 133. A questo proposito sentiamo Velleio Patercolo: “mane in lectulo repertus est mortuus, ita ut quaedam elisarum faucium in cervice reperirentur notae” (Historiae, II, 4, 5), una mattina fu trovato morto nel letto, in modo tale che sul collo vennero trovati segni di strangolamento. Aveva 56 anni.

 

Cicerone nel De officiis  scrive al figlio Marco  che Scipione Emiliano distruggendo Numanzia  (133) non giovò allo Stato più di Scipione Nasica che da privato cittadino in quel medesimo tempo uccise Tiberio Gracco  ( Nec plus Africanus, singularis et vir et imperator , in excidenda Numantia rei publicae profuit quam eodem tempore P. Nasica privatus, cum Ti. Gracchum interemit (I, 76)

 

 Velleio aggiunge che sulla morte di così grande cittadino non si fecero inchieste (De tanti viri morte nulla habita est quaestio); anzi il  corpo dell’uomo grazie al quale Roma aveva alzato la testa sul mondo intero  venne portato al sepolcro velato capite, con la testa coperta da un velo. 

 Polibio sopravvisse una decina d'anni al suo allievo, amico e protettore: dopo la morte di lui compose gli ultimi libri della sua opera, e, intorno al 120, finì i suoi giorni, in patria, ultraottantenne, per una caduta da cavallo.

 

 Bologna  28 gennaio 2023 ore 12, 01. giovanni ghiselli

Sempre1317060

 

 



[1]Sono parole che cito da un vecchio Disegno storico della letteratura greca (p. 408) che diversamente dai recenti, spesso pletorici e noiosi, è fatto di poche pagine con non molte notizie, date però e scritta in maniera tale che restano nella memoria.

[2] VI 448-449 dove  Ettore dice alla moglie: verrà il giorno in cui andrà distrutta la sacra Ilio (" e[ssetai h'jmar oJvt& a[n pot& ojlwvlh / [[Ilio" iJrh;";) e Priamo e il popolo di Priamo buona lancia.

[3]Marguerite Yourcenar nelle Memorie di Adriano  fa dire all'imperatore:"Erano dappertutto visibili le tracce dei nostri crimini: le mura di Corinto demolite da Memnio", p. 73.

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