lunedì 23 gennaio 2023

Ifigenia XI. Il seno di ifigenia riflesso nel sole.


 

Ifigenia arrivò poco dopo. Dissi: “vedi quanto è depresso questo fondo? Ti ci ho portato per mostrarti il correlativo oggettivo della mia decadenza. Non ti conviene amarmi bellezza. Potrei trascinare in basso anche te.

Non si lasciò impressionare: tirò dentro i polmoni l’aria  recuperando la lena perduta, tirò fuori la voce e sorridendo disse:

“Gianni, dammi un bacio, ti prego”

Mi trovai spiazzato di nuovo. Ancora una volta mi stava superando con la forza della sua concretezza e semplicità.

Provai comunque a replicare per metterla in guardia da me:

“Perché vuoi che ti baci? Non hai sentito quello che ti ho detto? Potrei farti del male”.

“Ho sentito-rispose con sicurezza aristocratica, senza accennare a scomporsi né a stupirsi- ho sentito e ho capito ma non sono d’accordo. Non sarai tu a farmi precipitare in un burrone con te, sarò io piuttosto a tirarti con l’entusiasmo che sento per te e la forza della mia giovinezza: tu salirai con me in luoghi alti e illuminati dal sole, com’è ancora la cima di questo colle dove torneremo tra poco tenendoci stretti per mano. Io ho bisogno di te, del tuo metodo, della tua cultura, della tua disciplina, e tu hai bisogno dei miei slanci, della mia ammirazione,  se vuoi comprendere tutto il tuo raro, reale valore e trovare il coraggio di manifestarlo. Hai già avuto l’ammirazione dei tuoi studenti, ora hai il mio amore che può darti  molto di più. Io ti adoro e non posso non fare di tutto per essere contraccambiata”.

Riuscìi a non abbracciarla e baciarla, ma non potei evitare di guardarla con ammirazione mentre il suo volto si accendeva di luce amorosa e confidente nel fondo tenebroso di quelle colline. Le ero grato del fatto che mi incoraggiava a essere strano e inusuale, senza sentirmi in difetto per la mia radicale diversità dai più che poi sono i morti e i borghesi ignoranti.

Eppure avevo paura di amarla. Non ero ancora abbastanza inattuale rispetto alla volgarità del tempo. Mi inceppavano troppi pregiudizi contrari alla felicità. Temevo di perdere l’appoggio economico delle zie che mi volevano vedere con la testa a posto, cioè fidanzato e poi sposato con una vergine di “buona famiglia”, poi temevo di perdere le due amanti bolognesi che non amavo punto però mi facevano comodo venendo a letto con me non senza portarmi del cibo cucinato da loro, e dopo il concubinatus se ne tornavano a casa lasciandomi in pace.

Questa ragazza magari invece poteva crearmi difficoltà con il marito che avevo visto una volta venire a prenderla ed era grande e grosso: poteva spezzarmi le ossa leggere, da ciclista dotato per le salite, o lasciare la moglie, e allora avrei dovuto occuparmi pure troppo di lei.  Insomma, chi me lo faceva fare? Tuttavia quella ragazza mi piaceva molto e addirittura l’amavo. Era dai tempi oramai lontani delle tre finniche che non desideravo tanto una donna.

Ifigenia a un tratto interruppe questo mio almanaccare.

“Gianni, fra pochi minuti quaggiù farà buio. Torniamo lassù a prendere l’ultimo sole, accompagnamolo a letto”. Pensai che volesse poi accompagnare anche me fino al letto di casa mia.

“Dammi la mano-aggiunse- e tirami su perché sono stanca ma voglio risalire in fretta la china”

Non potei rifiutargliela. La sua piccola mano fremeva: la pelle sottile pulsava sollevata dal sangue.  A mano a mano che si saliva, la luce cresceva. Quando giungemmo in cima, il sole non era ancora calato nel nido del suo riposo notturno. Ifigenia con volto raggiante disse: “hai visto gianni che hai avuto la forza di innalzare me e te stesso verso la luce? Io ti amo”

“Anche io pensai”, ma non glielo dissi per le ragioni dell’utile. Ma è un utile falso quello che nega l’amore. Me l’avevano inculcato fin da bambino. Quando portai Ifigenia a Pesaro l’estate seguente le donne di casa mamma e zie dissero in coro: “bella è bella, ma non ha un soldo”. Nemmeno vergine era, e lo sapevano bene.

Ci accostammo dunque alla nera Volkswagen poi riprendemmo gli abiti cittadini per cambiarci di nuovo. Allora non usava la tuta in città.

Questa volta ci svestimmo e rivestimmo senza allontanarci l’uno dall’altro e dal cocuzzolo che solo oramai emergeva alla luce.

Ifigenia mi chiese di voltarmi e non guardarla spogliarsi fino a quando non ci saremmo trovati per fare l’amore. Mi spostai di pochi metri e mi girai verso il sole occidente.

 Mentre guardavo il santo volto di luce  le domandai a voce alta: “Ifigenia quale parte del tuo splendido corpo ti piace di più?”

“Il seno”  a voce alta rispose

Allora mi  parve di vedere riflesso quel magnifico  seno  nell’ultimo sorriso del sole. Il cielo intanto si stava accendendo di bagliori rossi  da crepuscolo degli dèi.

Bologna  23 gennaio 2023

giovanni ghiselli

p. s

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