mercoledì 18 gennaio 2023

Nietzsche 73 La filosofia nell’età tragica dei Greci (capitoli 1-5)

 

Nietzsche 73

 

La filosofia nell’età tragica dei greci

 

Capitolo 1

 

La filosofia rende ancora più sani i popoli sani mentre aggrava le malattie dei malati. I Greci in quanto sani hanno giustificato la stessa filosofia con il loro filosofare.

La sanità di cui parla Nietzsche non esclude la visione dell’orrore del resto risanato dalle potenze artistiche dell’apollineo e del dionisiaco.

Nel tempo sterile della vecchiaia però i Greci imbolsiti ripiegarono sui devoti arzigogoli e cavilli della dogmatica cristiana.

Il dotto filisteo immagina che i Greci fossero prosaici e pazienti uomini pratici, mentre l’incolto visionario li crede sfrenati suonatori e danzatori

Altri ne fanno degli imitatori di Persiani, Egizi, Ebrei e perfino Cinesi

Invero i Greci hanno assorbito culture di altri popoli ma “giunsero così lontano perché hanno saputo scagliare più avanti la lancia da quel punto in cui un altro popolo l’aveva abbandonata a terra (…) e al pari di loro noi dobbiamo apprendere dai nostri vicini in vista della vita, non della conoscenza erudita, utilizzando quanto si è appreso come un sostegno sul quale ci si innalza sempre più in alto del vicino”.

 

E’ accaduto che durante una mia conferenza su le Troiane di Euripide nella biblioteca Ginzburg un tale che aveva sentito dire che i Greci avevano preso tutto dagli Egiziani mi invitò a non tacerlo. Gli risposi che se mi avesse indicato il testo egizio da cui dipende quella tragedia del drammaturgo ateniese, avrei imparato qualche cosa anche io da lui. Ammisi del resto che Platone nel Timeo racconta che un sacerdote egiziano molto vecchio disse Solone recatosi in Egitto:  “voi Greci siete sempre fanciulli, e un Greco vecchio non esiste ’W SÒlwn, SÒlwn, “Ellhnej ¢eˆ pa‹dšj ™ste, gšrwn d “Ellhn oÙk œstin (22b) ; voi siete giovani d’anima perché in essa non avete riposto nessuna vecchia opinione (22b 7-8 ). Questo non significa però che Euripide abbia copiato le Troiane, almeno per quanto ne sappiamo-

 

 

I Greci ebbero un impulso insaziabile verso il sapere ma hanno saputo reprimerlo quando volevano vivere subito quanto imparavano (p. 37)

Nietzsche nomina Talete, Anassimandro, Eraclito, Parmenide; Anassagora, Empedocle, Democrito e Socrate: “tra il loro pensiero e il loro carattere domina una rigorosa necessità”. C’è tra questi giganti un dialogo che prosegue indisturbato dall’accozzaglia petulante e strepitante dei nani che strisciano sotto di loro. I filosofi geci rispondono alla domanda: “qual è il valore della vita’”. Noi no possiamo rispondere perché non possediamo una  cultura  come quella greca

“Esiste una necessità ferrea che incatena il filosofo a una vera cultura; ma in che modo se questa cultura non esiste? Il filosofo è allora una imprevedibile e perciò terrificante cometa, mentre nel migliore dei casi irradia luce come una stella di prima grandezza nel sistema solare della cultura. Per questo i Greci giustificano il filosofo, perché soltanto accanto a loro non è una cometa”

Nietzsche afferma che “la filosofia presocratica è apparentata con l’arte  e le sue soluzioni degli enigmi del mondo si sono lasciate ispirare più volte dall’arte” (Frammenti postumi Estate 1875)

 

 

 

La filosofia nell’età tragica dei greci

 

Capitolo 2 pp. 40-43

I filosofi preplatonici costituiscono una collettività omogenea.

Con Platone abbiamo un filosofo nuovo. Con Platone iniziano gli epigoni.

Platone è il primo grandioso carattere ibrido : nella dottrina delle idèe riunisce elementi socratici, pitagorici ed eraclitèi. Tutti gli ibridi da Platone in poi fondarono sètte che contestarono la civiltà ellenica.

Platone è in esilio e complotta contro la sua patria.

Il fatum libellorum è maligno siccome ci ha sottratto il poema di Empedocle, gli scitti di Democrito e al loro posto ci ha fatto pervenire Stoici, Epicurei e Cicerone. Del resto la prima edizione di Die Welt als Wille und Vorstellung del 1819 finì al macero. Nemmeno la seconda edizione del 1844 ebbe successo. La terza edizione è del 1859. Nel 1869 Schopenhauer morì.

Nelle scuole prevale un innocuo chiacchiericcio tra accademici vegliardi e fanciulli.

“Tutto il moderno filosofare è politicamente e poliziescamente circoscritto  da governi, chiese, accademie, costumi, mode”(p. 42)

 

Capitolo 3 pp. 44-48

La filosofia greca nasce affermando che l’acqua è l’origine e il grembo materno delle cose. In questa affermazione è racchiuso il pensiero: “tutto è uno”.

Talete di Mileto 623-545

 Talete è il primo filosofo greco.  La sua intuizione mistica è la proposizione “tutto è uno”. La fantasia ha sollevato il mio piede.

La fantasia è possente nel fulmineo afferrare le analogie.

Per i Greci l’uomo era la verità e il nocciolo delle cose , tutto il resto soltanto fenomeno e ingannevole gioco (46). Ogni astrattezza doveva concretizzarsi in una persona.

Talete però comincia a credere nella natura. Una rarità per i Greci del suo tempo. Ferecide di Siro (VI secolo) si avvicina a Talete nel tempo e in alcune concezioni fisiche e paragona la terra a una quercia alata che si libra nell’aria ad ali spiegate- Zeus dopo avere sopraffatto Chronos  le stende addosso un manto trapunto di terre, acque e fiumi

E’ un filosofare oscuramente allegorico. Talete invece comincia a scrutare le profondità della natura senza favoleggiare.

Il sapiente- sapiens appartiene etimologicamente a sapio-ho il sapore di-e sapiens è colui che assapora e conosce. La filosofia dà risalto al disutile e si  distingue dall’accortezza. Cerca l’essenza e il nocciolo delle cose.

Il filosofo cerca di echeggiare l’universale armonia del mondo, considera se stesso un riflesso del mondo, come fa il poeta drammatico quando si trasmuta in altre persone e dà loro voce. Talete vide l’unità degli essenti e parlò dell’acqua

 

Dalla conferenza che tenni nel 2011  al festival della filosofia di Modena invitato da Remo Bodei che ne era il direttore

Questo primo filosofo  riteneva che l’acqua fosse il principio di base, la sostanza originaria, e credette che tutto fosse pieno di dèi:"Qalh'" wj/hvqh pavnta plhvrh qew'n ei\nai"[1]. Il popolo greco "nella vita della natura avvertiva la presenza della divinità"[2].

 

Quarto capitolo pp. 49-53

Con maggiore chiarezza si esprime Anassimandro di Mileto -610-546-

La sua scrittura è lapidaria e grandiosamente stilizzata

Con epigrafica efficacia scrive: “ le cose che nascono devono morire kata; to; crewvn, secondo il dovuto, siccome pagano reciprocamente il fio della loro ingiustizia (didovnai ga;r auJta; divkhn kai; tivsin ajllhvloi~ th`~ ajdikiva~) secondo l’ordine del tempo (kata; th;n tou' crovnou tavxin).

Nietzsche   cita Schopenhauer il quale nei Parerga e paralipomena asserisce che siamo tutti condannati a morte e che espiamo la nostra nascita prima con la vita poi con la morte.

La sostanza originaria deve essere indeterminata perché non si arresti il divenire

Morire è un’espiazione, una restituzione del proprio essere al tutto. L’affermarsi della vita individuale è un peccato originale contro il tutto divino.

 

 

Anassimandro Fu discepolo di Talete e maestro di Senofane nella scuola ionica.

 Scrisse Sulla natura di cui rimane un solo frammento.

Principio unico secondo lui è to; a[peiron[3], l’indefinito.

Ogni nascita è un atto di egoismo, un distacco dal tutto.

 Con la conoscenza della tragedia possiamo dire che questo distacco è la negazione del dionisiaco.

Le qualità determinate comportano la distruzione. Ma tutto quello che muore, rinasce

 

 

Nietzsche, attraverso Diogene Laerzio (VIII, 7) rileva l’attitudine tragica ed eroica di Anassimandro.: “Viveva come scriveva; parlava con la stessa solennità con cui si vestiva; sollevava la mano e piantava il piede come se questa esistenza fosse una tragedia nella quale egli era destinato, per nascita, a recitarvi la parte dell’eroe. In tutto ciò fu il grande modello di Empedocle”[4].

Fondò colonie a Efeso ed Elea. Il molteplice continuamente espia se stesso con la morte. ogni singolo essere sgorga dal grembo dell’indeterminato. L’indeterminato si determina attraverso una caduta, una declinazione.

 

Capitolo 5 pagine 54-58

 

Eraclito di Efeso (535-475) rischiara la mistica notte del divenire con un lampo divino: “il divenire io contemplo”. Non ho veduto la punizione del divenuto bensì la giustificazione del divenire. Come è possibile che Dike, la figlia di Zeus alzi il patibolo di tutti noi condannati?

“Eraclito era superbo e quando un filosofo monta in superbia, è questa una grande superbia…Andare solitari per la propria strada si identifica con l’essenza del filosofo…. “cercai e investigai me stesso” disse con parole con cui si indica la consultazione di un oracolo: come se fosse lui e nessun altro a dare verace adempimento e compimento al precetto delfico: “conosci te stesso” p. 68. Ciò che tuttavia ricavò nell’ascolto di questo oracolo, lo reputò saggezza immortale ed eternamente degna d’interpretazione”[5].

In questo Eraclito anticipa Erodoto e Sofocle che consideravano l’oracolo delfico ombelico della terra.

Le sentenze di Eraclito sono oracolari: anche lui come il signore di cui c’è l’oracolo a Delfi ou[te levgei ou[te kruvptei ajlla; shmaivnei (fr. 120 Diano)

La sua voce come quella della Sibilla esce da una bocca folle che lancia parole senza abbellimento né profumo ma oltrepassa i mille anni dia; to;n qeovn perché c’è un dio in loro (fr. 119 Diano)

Eraclito non separò più un mondo fisico dalle qualità determinate da uno metafisico dalla indefinibile indeterminatezza. (fr.p. 54)  

 

Ancora Eraclito: bisogna spengere la dismisura –u{brin crh; sbennuvnai- più che le fiamme di un incendio (fr. 108 Diano) 

,

Eraclito negò l’essere in generale: “altro non vedo che il divenire. Non lasciateci ingannare! Nel mare del divenire non c’è una terraferma. Non si entra due volte nello stesso fiume.

Eraclito intuisce direttamente la verità invece di ricorrere a combinazioni logiche

Mostra che ogni cosa ha in sé la propria antitesi senza curarsi del principio di non contraddizione. L’intera essenza della realtà è soltanto un agire.

Luce e ombra, amaro e dolce sono in ogni momento vicini e avvinghiati l’uno all’altro come due lottatori. Il mondo è un’anfora di misture che viene continuamente agitata. La preponderanza di un lottatore è momentanea

“E’ la buona Eris di Esiodo trasfigurata in principio cosmico, è il pensiero agonale dei singoli Greci e dello Stato greco trasferito dai ginnasi e dalle palestre, dai certami artistici, dalla lotta dei partiti politici e delle città tra loro, sul piano della massima universalità, così che ora su questa Eris fa perno la ruota dell’ingranaggio cosmico”[6].

 

Bologna 18 gennaio 2023- ore 9, 23

giovanni ghiselli

Sempre1313281

 

 

 

 

 



[1] Aristotele, Sull'anima, 411a 8.

[2] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 545.

[3] Cfr. pei`rar-ato~, tov, “termine”, “confine”.

[4] La filosofia…p. 52.

[5] La filosofia…p. 69

[6] Nietzsche, La filosofia nell’età tragica dei Greci, p. 57.

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CLVII. Il teatro di legno, la puszta e la csárda

.   Nella O di legno [1] del teatro   dunque l’anno seguente a questo che sto raccontando la mia giovane amante avrebbe pregato. Ch...